Wendy Williams, Le Scienze 3/2016, 4 marzo 2016
LA VITA SEGRETA DEI CAVALLI
Più o meno 35.000 anno fa, quando gran parte dell’Europa era sepolta sotto uno strato di ghiaccio, un artista si procurò un frammento di avorio da una zanna di mammut e iniziò a intagliare. Il risultato fu un capolavoro, un cavallo grande circa cinque centimetri: il suo collo arcuato è una meravigliosa combinazione di potenza muscolare e grazia naturale. La testa, leggermente inclinata, dà all’animale un’aria contemplativa. Si può quasi sentirlo nitrire e vederlo scuotere la testa, mentre avverte i rivali di fare attenzione. Non si sa chi sia stato a creare questa meraviglia in miniatura, chiamata «cavallo di Vogelherd» dal nome della grotta in Germania in cui è stata scoperta, ma è chiaro che lo scultore deve aver passato molto tempo a osservare i cavalli selvaggi, studiando le loro interazioni sociali e imparando il loro linguaggio del corpo.
Purtroppo, nel mondo moderno si è perduto l’amore per quest’arte; gli esperti equini si sono dedicati all’addestramento dei cavalli a scopo di intrattenimento, a identificare la dieta migliore per i cavalli da corsa, o a come guarire la delicata struttura ossea di una zampa ferita. Ma, al contrario di specie come scimpanzé, balene o elefanti, tra le altre, il comportamento dei cavalli in natura ha suscitato raramente l’interesse della scienza, e ben pochi studi sono stati di lungo periodo.
Di recente si è cercato di colmare questa lacuna, e i risultati sono stati sorprendenti. Gli scienziati hanno documentato comportamenti tra i cavalli in natura che hanno messo in seria discussione idee radicate su come questi animali interagiscano tra loro.
Giumente e stalloni
I cavalli sono un’eccezione tra i mammiferi ungulati. Molti membri di questo gruppo generalmente si riuniscono in grandi mandrie, cercando la sicurezza nel numero. I cavalli selvaggi, invece, vivono tutto l’anno in piccoli gruppi, o branchi, da tre a dieci esemplari, centrati su un gruppo di giumente e i loro piccoli.
I membri di un branco non sono solo animati da una mentalità gregaria: gli etologi hanno scoperto che, come negli esseri umani, i legami tra individui nel branco possono essere più importanti dell’identità di gruppo. Queste relazioni sono a volte basate su legami familiari, ma spesso sono solo dettate da preferenze personali, che possono cambiare: le amicizie vanno e vengono, i puledri crescono e vanno a vivere lontano, le relazioni tra maschi e femmine a volte funzionano e a volte no. Il risultato è che la vita sociale dei cavalli è piuttosto turbolenta; osservare questi animali in natura per lunghi periodi somiglia molto a seguire una telenovela. C’è una costante corrente sotterranea di liti, manovre per il potere, battaglie per la posizione sociale, lealtà e tradimenti.
Le ultime indagini etologiche (cioè studi oggettivi del comportamento animale in condizioni naturali) mostrano che queste dinamiche sociali sono più complicate di quanto si pensasse. Le idee prevalenti, come sono descritte in un recente rapporto della statunitense National Academy of Sciences, sono che «un harem, o branco, consiste di uno stallone dominante, altri maschi e femmine adulti subordinati, e i piccoli». A prima vista, questo sembrerebbe vero: osservando i branchi di cavalli selvaggi, l’attività più evidente è il trambusto creato dagli stalloni. Ma le ricerche di Jason Ransom, della Colorado State University, assieme ad altri colleghi, mostrano che questa visione maschiocentrica è sbagliata. Le cavalle non sembrano affatto subordinate, spesso invece sono proprio loro a decidere e dare inizio alle attività del branco. Gli stalloni sovente si aggregano e basta.
Ransom racconta di aver osservato un branco di femmine fermo a brucare, che aveva iniziato a muoversi verso l’acqua. Lo stallone non se n’era accorto; quando ha alzato gli occhi e visto le sue compagne che si allontanavano, è stato preso dal panico. «Ha iniziato a rincorrerle – dice Ransom – sembrava un bambino che chiamava “dove state andando?”». Le giumente lo ignoravano, e non sembravano preoccuparsi se il maschio riuscisse a raggiungerle o meno.
A volte le femmine hanno preferenze sessuali: resistono ai maschi che non gradiscono con sorprendente determinazione, anche dopo la sua affermazione come stallone dominante. Joel Berger dell’Università del Montana ha studiato il comportamento di due giumente non legate da parentela che avevano passato diversi anni insieme. La coppia si è unita a un branco in cui, in seguito, un certo stallone ha preso il comando e ha cercato di imporre la propria autorità provando ad accoppiarsi con le due cavalle a forza in diverse occasioni. Le giumente hanno rifiutato le sue attenzioni e sono andate ripetutamente in soccorso l’una dell’altra, con calci e morsi allo stallone che cercava di accoppiarsi con violenza, come Berger racconta nel suo libro Wild Horses of the Great Basin. Da tempo è noto che le femmine di elefante si aiutano a vicenda e cooperano, ma prima che gli etologi iniziassero a studiare sistematicamente i cavalli allo stato brado, pochi sospettavano che le giumente riuscissero non solo a ingaggiare questi combattimenti, ma addirittura a vincerli. Alla luce di questi fatti, la parola «harem» sembra un po’ datata.
Difendersi da attenzioni sessuali indesiderate non è il solo momento di ribellione. Da anni Laura Lagos e Felipe Bárcena, dell’Università di Santiago de Compostela in Spagna, studiano il comportamento di un tipo particolare di cavallo, chiamato «Garrano». I cavalli di questa specie fanno una vita dura, nelle rocciose colline della Spagna nord occidentale e nel Portogallo settentrionale, costantemente minacciati dai lupi. Nel corso del loro lavoro, Lagos e Bárcena hanno catalogato il comportamento di un paio di femmine di un branco legate da una relazione molto forte, che spesso se ne stavano un po’ in disparte.
Nel periodo della riproduzione, le due giumente andavano insieme a visitare lo stallone di un altro branco, e Lagos ha osservato una delle due accoppiarsi con questo stallone anziché con il maschio dominante del proprio branco. Poi le due sono tornate al gruppo di provenienza. Quando la seconda è stata pronta per l’accoppiamento, di nuovo le due sono andate insieme nell’altro branco, e la seconda giumenta si è accoppiata con lo stallone «straniero». Poi entrambe sono tornate a casa. Non è stata un’anomalia: l’anno seguente, le due cavalle hanno fatto lo stesso. «Preferivano il proprio territorio, ma lo stallone dell’altro branco», dice Lagos.
La costanza ripaga
Fino a quando gli scienziati non hanno applicato le tecniche di ricerca etologiche ai cavalli, in pochi ritenevano le giumente capaci di inganni del genere, ma solo perché non erano state effettuate osservazioni approfondite. Si scopre che le femmine, al contrario dei maschi, non devono combattere ferocemente per ottenere quello che vogliono: usano la costanza. Per esempio, Ransom racconta la storia di Coda Alta, una cavalla di aspetto insignificante, con il fondoschiena cadente e un po’ spelacchiata. Coda Alta, così chiamata perché l’attacco della sua coda era un po’ più in alto del solito, faceva parte di una popolazione di cavalli selvaggi che scorrazzano nei monti Pryor negli Stati Uniti occidentali. Se non si conoscesse la storia della sua vita, questa cavalla potrebbe sembrare un pony per bambini o un cavallo da tiro in pensione. Con il suo periodo di gloria chiaramente alle spalle, non le si darebbe una lira. Eppure, i dati raccolti da Ransom hanno mostrato che questa giumenta ha una vita ricca e varia, con un buon numero di compagni di sua scelta.
Ransom ha incontrato Coda Alta per la prima volta nel 2003. La giumenta passava il tempo in compagnia di Sam, uno stallone nato nel 1991. Secondo Ransom, i due si sono incontrati durante la giovinezza e sono rimasti insieme per anni. Con il tempo, altre giumente si sono unite alla coppia, formando un branco. Gli studi mostrano che circa metà delle volte i cavalli si legano in questo modo pacifico: non c’è bisogno che uno stallone «conquisti» la giumenta, perché molto spesso lei è più che disponibile.
Quando Ransom ha iniziato a seguire il branco di Coda Alta e Sam, ben presto ha notato un secondo giovane stallone che si aggirava a poca distanza, e lo ha chiamato «Toro Seduto». Sam non ne era molto contento: più Toro Seduto cercava di unirsi al branco, più Sam lo attaccava e cercava di liberarsene, impegnando molte energie in questa battaglia, ma senza grandi risultati.
Ogni volta che Ransom ha osservato il gruppo di Coda Alta in quel periodo, ha visto anche Toro Seduto a poca distanza, che, come uno stalker delle giumente, aspettava il momento per conquistare il branco. La letteratura scientifica riferisce che alcuni stalloni «satellite» cooperano con lo stallone dominante ottenendo via via il privilegio di accoppiarsi con alcune femmine, ma non era il caso di Sam e Toro Seduto. I due combattevano continuamente, eppure Toro Seduto non se ne andava e aspettava la sua occasione.
Occasione che è arrivata nel 2004. I cavalli che vivono alle pendici dei monti Pryor hanno il costante problema di trovare acqua da bere. Il gruppo di Coda Alta spesso scendeva le ripide valli del Canyon Bighorn per dissetarsi. Un giorno sono scesi in branco, e Sam ha impedito a Toro Seduto di seguirli. Mentre il giovane stallone aspettava più in alto, i cavalli si sono fermati su una piccola sporgenza per bere. A poca distanza si è scatenato un temporale, che ha provocato un’ondata di piena tagliando la via di fuga del gruppo. Per circa due settimana Coda Alta, Sam e il loro branco sono rimasti intrappolati sulla roccia senza cibo.
Capita la gravità della situazione, alcune persone sono intervenute e hanno aiutato i cavalli a portarsi in salvo. Gli animali, gravemente emaciati, sono riusciti a risalire su per il dirupo; Sam era particolarmente provato, e aveva perso il suo fisico muscolare. Denutrito, è diventato una facile preda per Toro Seduto, che aspettava in cima alla vallata. Quando il branco è arrivato, Toro Seduto «si è messo a capo del gruppo, estromettendo Sam», racconta Ransom. Sam ha tentato varie volte di ritornare a capo del branco, combattendo con il suo giovane rivale, ma non aveva più la forza.
Gran parte del branco ha accettato il giovane stallone, ma non Coda Alta. A ogni opportunità, la cavalla lasciava il gruppo e partiva alla ricerca del suo compagno di una vita, Sam. Ogni volta che si allontanava, Toro Seduto la rincorreva e la riportava indietro, scuotendo la testa e scoprendo i denti per minacciarla. Per evitare i morsi, lei accettava di tornare nel branco, ma non appena Toro Seduto si distraeva, ripartiva un’altra volta. Tutto questo è continuato per settimane, fino a quando il giovane stallone si è arreso e ha smesso di rincorrerla. «Da allora, Sam e Coda Alta hanno fatto coppia fissa», dice Ransom. «Sono tornati in salute e all’inizio Sam ha tentato ancora di cacciare Toro Seduto, ma senza successo». Coda Alta è rimasta con Sam fino alla morte dello stallone, nel 2010. (Gli stalloni vivono assai meno delle giumente, a causa delle lotte con gli altri maschi.) Dopo la morte di Sam, gli scienziati hanno visto Coda Alta con un altro stallone, chiamato l’Ammiraglio. Alla fine Coda Alta si è stancata dell’Ammiraglio, e Ransom non è riuscito a capire perché. A luglio 2010 abbiamo visto Coda Alta di nuovo, un pomeriggio. Era con due altri cavalli; una femmina del suo branco di origine e Toro Seduto. Rifiutato da Coda Alta quando era giovane, ora era diventato uno dei suoi compagni abituali.
I primatologi hanno scoperto da tempo flussi e riflussi delle relazioni nei gruppi di animali, ma finora nessuno aveva osservato cavalli selvaggi per un tempo sufficiente a capire che si comportano allo stesso modo. Ho chiesto a Ransom se ci fossero, e quali fossero, le regole fisse del comportamento dei cavalli allo stato brado. «Di rado scelgono di stare da soli», mi ha risposto.