Gaia Puliero, Pagina99 13/2/2016, 13 febbraio 2016
CONSOLLE E PASTICCHE L’E-SPORT DELLA SREGOLATEZZA
PARIGI. Smuovono folle entusiaste, riempiono gli stadi, incollano allo schermo milioni di fan. Con più spettatori del football americano e montepremi da milioni di dollari – 18 quelli di The International, finalissima del gioco Dota 2 – gli sport elettronici (e-sport) sono diventati un vero e proprio fenomeno di massa. Si tratta dell’ultima frontiera dei videogame, un mondo parallelo fatto di competizioni e tornei fra giovanissimi dove agilità e strategia sono i requisiti indispensabili del successo.
Ce n’è per tutti i gusti. Simulatori (Rocket League, Fifa, Pro Evolution Soccer), giochi di squadra (i Moba – Multiplayer Online Battle Arena - come Lol, DotA, Dota2, Smite o Heroes of the Storm),i Fps (First Person Shooter) di tiro (Call of Duty) ma anche i Rts (Reai Time Strategy) di strategia (Starcraft, Age of Empires), i Ccg (Collectible Card Game) di carte (Hearthstone) o i giochi di ruolo multigiocatore (Dofus, Final Fantasy XIV): intorno a loro si è strutturata tutta un’industria dello streaming, del commento e dello spettacolo che ne ha fatto in pochi anni il fulcro di un business da non lasciarsi sfuggire.
Lo ha capito rapidamente Amazon, che nel 2011 ha comprato per un miliardo di dollari la piattaforma di video-streaming Twitch (il sito registra ogni mese 100 milioni di visitatori unici, con un picco di 239 milioni di ore viste solo nel mese di agosto per gli streamers di League of Legende (Lol), Counter-Strike: Global Offensive, Dota 2 e Hearthstone), e con lui numerosi marchi divenuti sponsor di riferimento nel settore. Quanto alla stampa, dalla Bbc (che ha trasmesso i quarti di finale del Mondiale di Lol) a L’Equipe (ideatrice della E-Football League su Fifa16), fino alla statunitense Espn (ha inaugurato da poche settimane un canale di e-sport), generalisti e specialisti si stanno interessando sempre più seriamente al fenomeno (e alla sua audience).
In questa corsa al piazzamento l’e-sport arriva al grande pubblico per vie progressive. Al folgorante successo di League of Legends (sul mercato da sei anni, 36 milioni di spettatori internet connessi alla finale mondiale) e alle proiezioni live nei barcrafts (barche trasmettono o organizzano tornei di e-sport, ndr) si sovrappone il dibattito sulla natura delle cyber competizioni: sono o non sono sport? Si discute addirittura di farli diventare disciplina olimpica: una possibilità che, per quanto irrealizzabile a breve termine – fra i criteri manca anche una federazione internazionale di e-sport – sta iniziando a prendere forma: a gennaio dello scorso anno la sudcoreana Kespa (Korean E-sport Association, già riconosciuta dal ministero della Cultura, Sport e Turismo) è entrata nel comitato nazionale olimpico coreano (Koc).
A stuzzicare l’attenzione del pubblico generalista è poi arrivato anche il primo caso di doping elettronico. Lo scandalo coinvolge un anfetaminico – l’Adderall – facilmente reperibile e utilizzato dagli studenti americani per aumentare la concentrazione e ridurre la fatica durante la preparazione agli esami. Tutto nasce a marzo del 2015, quando Kory “Semphis” Friesen, giocatore professionista di Counter-Strike: Global Offensive, durante un torneo con in palio 250 mila dollari, parlando del suo team Cloud 9, dichiara candidamente: «We’re all on Adderall». La lega Esl (Electronic Sports League) annuncia controlli e la stampa improvvisamente si appassiona a un settore relegato fino ad allora a tecnici e appassionati.
«Sappiamo da tempo che le droghe in grado di migliorare le performance di e-sport sarebbero state una sfida cui far fronte una volta che il professionismo e gli interessi in gioco fossero aumentati», commentava a luglio la portavoce Esl, Anna Rozwandowicz. «L’antidoping va affrontato a livello sostanziale per indurre tutta l’industria del settore a mantenere integro questo sport».
Nei fatti, Esl, la più grande organizzazione del settore, è l’unica lega e-sportiva ad aver applicato delle misure antidoping. La lista di sostanze proibite è stata stilata in collaborazione con l’antidoping mondiale (Wada) e tedesco (Nada). Ma il buon esempio rischia di non essere seguito in un contesto così aperto e appetibile, dove il pubblico è re: già dotato di una “Champions League” (per giochi come Lol o Dota2) ma privo di strutture nazionali di riferimento così come di una federazione internazionale, il mercato dell’e-sport si conquista oggi a suon di gomitate.
In questo vortice proattivo che coinvolge editori (Riot, Ubisoft), diffusori (Twitch, Azubu, Youtube, Dailymotion) e sponsor (Coca-Cola, New Balance, Samsung), organizzare un torneo è un’ottima mossa per promuovere il proprio gioco, marchio o ruolo: capita così che le grandi organizzazioni e-sportive (Eswc, Cpl, Evo) cedano alle lusinghe degli editori, come ha fatto in questo gennaio la Mlg (Major League Gaming), acquisita da Activision Blizzard (casa madre di Call of Duty, StarCraft e Warcraft).
«Al momento ci sono troppi interessi in ballo perché il settore si strutturi con delle regole», commenta Fabien Martinez di Millenium, «l’evoluzione di internet ha migliorato la tecnica dei giochi elettronici competitivi (sono giochi di strategia, non sport) e il mercato ha reagito positivamente». In Italia, dove Sony ha lanciato Playstation Italian League e 30 milioni di persone giocano ai videogiochi – per gli e-sport il conteggio è più difficile – da un anno esiste il Gec, il settore Giochi elettronici competitivi creato da Asi, un ente sportivo riconosciuto dal Coni.
Per il ceo di Newzoo Peter Warman l’assenza di organizzazioni nazionali di e-sport è un problema: se nello sport tradizionale le federazioni permettono di redistribuire gli introiti che vengono da sponsor e pubblicità (e far crescere il movimento a livello locale), nell’e-sport questo “buco” fa sì che i guadagni siano assorbiti dai soli diffusori più potenti, da Youtube a Facebook. «È possibile controllare i diritti di contenuti che sono interamente digitali come avviene con le diffusioni tv di calcio o basket?», s’interroga lo specialista. In qualche modo la domanda è la stessa anche in tema di doping: che misure è possibile prendere in campo europeo per prevenirne la diffusione all’interno di un settore dai poteri disuguali?
A interessarsi a un inquadramento legale dell’e-sport è stata nelle ultime settimane la Francia. Qui il governo ha stilato una lista di videogiochi da riconoscere ufficialmente come e-sport (sarà aggiornata ogni anno), e il primo ministro Manuel Valls si è espresso a favore di uno sviluppo regolamentato del settore. L’azione rientra nel quadro della “conquista digitale”, fortemente promossa dall’esecutivo francese nell’ultimo anno, all’interno della quale l’e-sport rappresenta un’opportunità strategica da cogliere nella corsa al posizionamento europeo su questo mercato.