Paolo Condò, SportWeek 13/2/2016, 13 febbraio 2016
GIOCARE PER SOLDI SENZA IL SENSO DEL RIGORE
Fra tre settimane inizia il campionato cinese – si chiama Super League – che ha già avuto il maggior impatto sul nostro calcio: tra affari conclusi (Gervinho e Guarin) e trattative saltate (Luiz Adriano), la Cina è diventata un polmone finanziario per la Serie A. Aggiungeteci il trasferimento a Pechino di Alberto Zaccheroni, deciso a ripetere i trionfi di Marcello Lippi, e la necessità per un appassionato di tenere un occhio aperto sulla Super League diventa evidente. Con le conseguenti scoperte: per esempio che allo Shanghai Sipg, secondo nel 2015, gioca Asamoah Gyan, forse il più iconico dei giocatori africani (se la vede con Yaya Touré) in attività. Col consueto amore per le storie di calcio, elenganche.es ha pubblicato un reportage di Francisco Orti su questo attaccante che ha da poco doppiato la boa dei trent’anni, ed è incredibile perché sembra sulla scena dalla notte dei tempi.
Il motivo va ricercato nel suo precoce approdo in Europa: l’Udinese lo ingaggiò a 18 anni mandandolo in prestito a Modena per due stagioni, e poi trattenendolo fino al 2008, quando scelse il Rennes. Da lì in poi Gyan ha proseguito il suo percorso “marginale” giocando pure in Premier – ma nel Sunderland – e accettando, a soli 26 anni, il “pensionamento” arabo, nell’Al-Ain. Di lì alla Cina, il nuovo Eldorado, il passo era scontato: attaccante bravo ma non eccezionale, ha impostato la carriera sulla ricerca del denaro, tanto che ora risulta essere uno dei giocatori più pagati del mondo. La gloria è stata inseguita con la nazionale, per la quale ha disputato gli ultimi tre Mondiali. Ed è l’amara storia di due importantissimi rigori falliti con la maglia del Ghana il tema della story di Orti. Ricorderete la drammatica conclusione del quarto della Coppa 2010 fra Ghana e Uruguay. Al 120’, sull’1-1, Suarez ribatté di mano sulla linea una conclusione destinata alla rete: rigore ed espulsione, ma Gyan, calciando il penalty sulla traversa, fallì il match point procrastinando la soluzione della gara alla serie dal dischetto. «Chiesi di tirare il primo perché dovevo riscattarmi», racconta. «Andando a calciarlo promisi a me stesso che se avessi sbagliato ancora mi sarei ritirato dal calcio». Stavolta Gyan fece gol, ma il Ghana ugualmente ebbe la peggio: e il peso della chance fallita gli rimase addosso.
Detto che il nostro amico africano ha sempre difeso la scelta di Suarez («avrei fatto lo stesso»), la ferocia della sorte fa sì che due anni dopo, nella semifinale di Coppa d’Africa, Gyan si trovi in una situazione simile: rigore a favore sullo 0-0. «La mente mi dice di girare la testa, il cuore di assumermi la responsabilità». Vince il cuore, Gyan va sul dischetto, il portiere para e in finale ci va lo Zambia. «Ho dovuto giurare a mia madre che non avrei più calciato un penalty». L’anno scorso, nella finale di Coppa d’Africa, la Costa d’Avorio ha battuto il Ghana ai rigori. Se sbirciate il tabellino, scoprirete che Gyan è stato sostituito (da un rigorista) al 120’.