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 2016  febbraio 13 Sabato calendario

DA UN FREY ALL’ALTRO

Frey è tante cose insieme: un ex genoano e un presente rossonero, un portiere che esordì giovanissimo in una squadra di Milano (come Donnarumma, che ora lavora con il suo vecchio preparatore, Magni), un ex numero uno coi capelli mesciati e un saggio padre di famiglia che ora si occupa di seguire Daniel, punta esterna dei Giovanissimi Regionali del Milan.

Sebastien, che fine ha fatto?

«Mi sono ritirato a dicembre, sono sparito un po’ per staccarmi da tutto. Dopo tanti anni di calcio, e specialmente dopo l’ultimo in Turchia, ero mentalmente cotto. Ho capito che nel calcio contano sempre meno i valori umani, al Bursaspor mi hanno trattato da schifo e li ho denunciati alla Fifa. Ero capitano e un giorno l’allenatore mi chiama e mi dice: “Stranieri in porta non ne voglio, arrangiati”. Ora penso a ricostruire la mia vita, commento in tv e punto sul settore immobiliare».

Il calcio le ha regalato anche grandissime soddisfazioni: sta invogliando lei suo figlio Daniel a portare avanti il mestiere?
«Non spingerei nessuno, lui a maggior ragione. L’ho sempre protetto, mai una partita o un giornale sportivo in casa, mai. Credo di aver prodotto l’effetto contrario: Daniel è un innamorato del calcio, ce l’ha nel sangue. Semmai mi sento di dovergli stare ancora più vicino. Prima si giocava per strada con le scarpe rotte, oggi si guarda prima al gel nei capelli: c’è troppa esibizione. Anch’io scatto foto e le posto sui social ma per condivisione, non per vanto. Vorrei che Daniel pensasse come prima cosa alla passione, a divertirsi giocando. E che non sottovalutasse lo studio, è troppo importante: io ero matto, compravo venti macchine all’anno, oggi ho altre priorità e mi sono guardato indietro. Mi sono spaccato il ginocchio nel 2006: mi fosse successo prima, senza mezzo diploma in tasca, cosa avrei combinato nella vita?».
Da portiere era più spericolato: è l’incoscienza che ora aiuta Donnarumma?

«Ha solo tre anni più di mio figlio, per questo credo che siano fondamentali le persone che gli sono vicino. E’ nella fase più delicata: sento come ne parlano, gli elogi, le cifre folli che i grandi club spenderebbero per lui. Erano molte delle cose che dicevano di me, mi rivedo in lui anche per l’incoscienza, sì. Ha fisico, tecnica e carattere, ma ora va soprattutto protetto. Non vorrei che un potenziale enorme come il suo fosse disturbato: deve invece pensare a stare sempre sul pezzo. A Genova giocavo con il fratello Antonio e durante qualche vacanza venne anche lui ad allenarsi con noi: notai la struttura pazzesca, ma devo dire che ora ha sorpreso in positivo anche me».

Di Milan-Genoa cos’altro le viene in mente?
«Del Milan penso al mio connazionale Niang, cresciuto in maniera impressionante. E’ più completo e più maturo, sono felice per lui, come me sta riuscendo a farsi rispettare anche in Italia. Del Genoa penso alla squadra, una delle ex a cui sono rimasto più affezionato, insieme alla Fiorentina, il mio grande amore».
Tra le sue ex c’è anche l’Inter. E nell’Inter ha giocato insieme a Paulo Sousa, l’allenatore che oggi guida il suo «grande amore». Stupito?
«La prima volta che l’ho rivisto giuro che non l’ho riconosciuto, fa effetto! Ma non mi stupisce: si è sempre distinto per classe, eleganza e diplomazia. Ho sempre pensato che fosse portato per la gestione, di un gruppo, di una squadra o anche di un’azienda. All’inizio, in partita, ci sarà un po’ di paura: l’Inter fatica, la Fiorentina ultimamente soffre sempre un po’. Comunque, non me la perdo e presto tornerò a Firenze: ho investito anche lì».