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 2016  febbraio 12 Venerdì calendario

I BABBUINI SUPERANO IL TEST

I touch screen sono arrivati... alle scimmie! Messi liberamente a disposizione dei babbuini ospitati nel centro di primatologia di Rousset, ad Aix-en-Provence, permettono di sottoporre gli animali a un’ampia gamma di test cognitivi. E consentono di fornire nuove prove sperimentali di una continuità tra le facoltà mentali degli esseri umani e quelle dei primati non umani, già evocata nel 1871 da Charles Darwin nella sua opera La discendenza dell’uomo e la selezione sessuale.
I primi contatti europei con le scimmie risalgono alle spedizioni cartaginesi del V secolo a.C., ma i primi studi scientifici su questi animali cominciano solo nel XVIII secolo. Naturalisti come George-Louis Leclerc de Buffon ne forniscono poi una precisa descrizione anatomica. E negli anni venti del Novecento gli etologi organizzano alcune spedizioni in Africa e in Asia al fine di comprenderne il comportamento e lo stile di vita, e ne importano alcuni esemplari destinati agli zoo e alle collezioni private.
Successivamente gli studi sulle facoltà cognitive dei primati hanno imboccato due strade: la prima consiste nell’osservazione del comportamento degli animali nel loro ambiente naturale, la seconda nello studio in condizioni di cattività, entro un ambiente controllato. I due metodi hanno prodotto ognuno un patrimonio di scoperte. Le ricerche sul campo hanno rivelato la straordinaria complessità dell’organizzazione sociale delle scimmie: la primatologa britannica Jane Goodall, in particolare, ha osservato che gli scimpanzè della Tanzania vivono in piccoli gruppi guidati da un maschio dominante e si coordinano per cacciare selvaggina di piccola taglia. In laboratorio, sottoponendo alle scimmie alcuni compiti precisi e ricompensando i loro successi con porzioni di cibo, i ricercatori hanno svelato in questi animali capacità cognitive insospettate. Combinando alcuni simboli di plastica, nel 1972 il ricercatore statunitense David Premack ha insegnato a una femmina di scimpanzè a usare un semplice linguaggio.

Un laboratorio dove le scimmie vivono in gruppo
In cattività, però, gli animali non sfruttano l’intero patrimonio di risorse cognitive che mobilitano nel proprio ambiente naturale. Con la nostra équipe abbiamo perciò elaborato una nuova strategia, a metà fra gli studi di laboratorio e quelli sul campo. Abbiamo installato alcuni strumenti di test accanto a un recinto di babbuini, rendendoli liberamente disponibili agli animali all’interno di appositi scomparti aperti. Ogni scimmia poteva scegliere di allontanarsi temporaneamente dal gruppo sociale per entrare in uno degli scomparti, dove uno schermo tattile proponeva alcuni test computerizzati e un distributore di ricompense forniva chicchi di grano. Ogni babbuino era dotato di un segnalatore elettronico che permetteva di verificarne l’identità.
Il metodo si ispira al concetto di condizionamento operativo proposto dagli psicologi statunitensi Edward Thorndike, a metà dell’Ottocento, e Burrhus Skinner, a metà del secolo scorso: un animale (o un uomo) tende a riprodurre i comportamenti che gli procurano conseguenze positive. Ricompensando le risposte corrette dell’animale lo induciamo a sottoporsi volontariamente al test, e collocando il dispositivo nel suo ambiente di vita lo stimoliamo a usarlo restando nel suo gruppo sociale: in questo modo riusciamo a studiare l’influenza del gruppo sulle sue capacità cognitive.
Al contrario, di solito nei laboratori, gli animali vivono in luoghi diversi da quelli di sperimentazione, dove vengono trasferiti per eseguire i test. Il ricercatore sceglie l’individuo con cui lavorare e gli impone il proprio ritmo. Nel nostro caso il procedimento è completamente diverso. Noi iniziamo ogni esperimento proponendo i test all’intero gruppo di 24 animali. Alcuni babbuini imparano il compito, altri no: non tutti, infatti, hanno la stessa capacità di afferrare i problemi proposti.
Quando abbiamo aperto il laboratorio le scimmie hanno capito rapidamente di poter ottenere ricompense toccando gli schermi. Hanno cominciato a effettuare numerosi passaggi quotidiani nei comparti sperimentali e a poco a poco abbiamo aumentato la complessità dei problemi. Raccogliamo circa 25.000 tentativi al giorno, che corrispondono a una media di circa 1000 partecipazioni quotidiane per ogni animale. È evidente che le scimmie amano i nostri esperimenti. Lavorano in sessioni di qualche minuto, e i computer non alterano i loro comportamenti spontanei, né le loro relazioni sociali.
Di conseguenza abbiamo potuto proporre alle scimmie processi di apprendimento particolarmente complessi, che potevano richiedere anche decine di migliaia di tentativi, e abbiamo scoperto nelle scimmie facoltà cognitive insospettate. Il babbuino, per esempio, è capace di metacognizione: sa di sapere o di non sapere.
Anche le capacità di ragionamento analogico (ovvero la capacità di trovare la soluzione corretta ragionando per analogia con un modello) si sono rivelate molto elaborate nei babbuini. Sappiamo ormai da oltre trent’anni che le scimmie sono in grado di riconoscere le relazioni tra gli oggetti. Per esempio nel 1984 Anthony Wright, dell’Università del Texas, ha insegnato ad alcuni macachi ad abbassare una leva in presenza di oggetti diversi, e a non abbassarla in presenza di oggetti identici. Gli animali hanno quindi sviluppato i concetti di uguaglianza e diversità fra oggetti.
Usando il protocollo di test a libero accesso abbiamo dimostrato che il babbuino è in grado di stabilire relazioni oggettuali. Numerosi ricercatori avevano finora considerato questa attitudine appannaggio esclusivo dell’uomo, in grado per esempio di paragonare la relazione esistente tra un gatto e un topo a quella fra un uccello e un verme di terra: in entrambi i casi il primo mangia il secondo. Noi abbiamo elaborato un protocollo per studiare questo tipo di ragionamento complesso nei babbuini. Mostriamo prima sullo schermo una coppia di forme uguali o differenti (la coppia «modello»), che il babbuino deve memorizzare e toccare. Poi presentiamo due nuove coppie, una costituita da due forme identiche e l’altra da due forme differenti. Per ottenere una ricompensa il babbuino deve toccare la coppia che esprime la stessa relazione del modello. Dopo la fase di apprendimento (troppo lunga per essere realizzata con un test classico), si mettono alla prova le scimmie con forme nuove, mai viste prima. In queste condizioni alcuni babbuini riescono nel compito, rivelando la capacità di stabilire relazioni tra relazioni: se negli esperimenti di Anthony Wright i babbuini dovevano confrontare soltanto due oggetti, qui si trovano ad analizzare anzitutto la relazione fra gli oggetti della coppia modello, poi quelle fra gli elementi di ogni coppia del test, e infine devono capire che una di queste relazioni è identica a quella del modello.
Un’altra versione, più difficile, dello stesso compito consiste nel rendere la coppia modello «sbagliata» quella che la scimmia non deve selezionare più somigliante al modello di quella giusta. La scimmia può quindi scegliere fra due risposte, una fondata sulla relazione tra gli elementi di ogni coppia e l’altra sul loro aspetto globale. I babbuini adottano di preferenza la prima strategia, vale a dire che stabiliscono un legame tra le relazioni.
Nel 2007 lo studioso statunitense Dedre Gentner ha somministrato lo stesso test a bambini di età diverse. A partire dai quattro anni e mezzo i bambini sanno associare le relazioni, ma lo fanno solo se vengono nominate le coppie di forme, eventualmente con l’aiuto di parole immaginarie. Lo sperimentatore mostra per esempio la coppia modello dicendo: «Guarda, è un puffetto!». Quindi, nel presentare al bambino le due coppie del test gli domanda: «Quale altra, tra queste due, è un puffetto?». Quando non si nominano le coppie, vale a dire in condizioni analoghe al test con i babbuini, i bambini fra i quattro e gli otto anni abbandonano le strategie relazionali per guardare solo le forme. In questo compito, quindi, i babbuini sembrano avere spontaneamente strategie cognitive più complesse rispetto a bambini di terza elementare a cui non si fornisce alcuna indicazione verbale.

Più dotati di bambini di otto anni?
Tra i 24 individui del gruppo, solo una dozzina ha svolto con successo questo complesso compito di associazione fra relazioni. In generale, spesso constatiamo una grande variabilità di questo aspetto fra gli animali. Da che cosa derivano queste discrepanze? La spiegazione sta forse nella differente efficacia delle funzioni esecutive. Queste funzioni cognitive permettono, per esempio, di dirigere volontariamente l’attenzione verso gli elementi pertinenti di un problema, o di decidere un cambio di strategia di fronte a un ostacolo. Nell’uomo è stato dimostrato che le caratteristiche del controllo esecutivo condizionano la capacità di ragionamento. Il maggiore o minore grado di efficacia di questo sistema di controllo nelle scimmie potrebbe spiegare la differenza di prestazioni nei compiti assegnati.
Con i colleghi Elodie Bonté e Timothy Flemming abbiamo messo alla prova questa ipotesi sottoponendo i babbuini ad alcuni test al computer. Abbiamo proposto agli animali un compito detto «del Wisconsin», dove sullo schermo compaiono tre elementi, e l’animale deve toccarne uno in base a una regola determinata (per esempio, «toccare l’elemento giallo, qualunque sia la sua forma»); la scimmia impara la regola per tentativi, ottenendo una ricompensa per ogni risposta giusta. Una volta che l’animale ha capito la regola, la si cambia improvvisamente, trasformandola per esempio in «toccare il triangolo, qualunque sia il suo colore». Le scimmie devono dare prova di flessibilità cognitiva adattandosi rapidamente.
Abbiamo così constatato che i babbuini giovani riescono meglio, analogamente a quanto si osserva nell’uomo. Inoltre, l’analisi incrociata dei risultati nel compito di associazione di relazioni e in quello che misura l’efficacia del controllo esecutivo ha confermato che queste caratteristiche sono collegate: le scimmie con una migliore flessibilità cognitiva sono le stesse che riescono meglio nel compito di associazione fra relazioni.
Il nostro dispositivo offre inoltre un’occasione unica di esaminare attraverso una progressione sperimentale l’influenza delle interazioni sociali sulle performance cognitive delle scimmie. In natura, questi animali vivono in gruppi gerarchici composti da alcune decine fino ad alcune centinaia di individui, che hanno interazioni molto ricche. Anche nel centro di primatologia di Rousset i babbuini formano gruppi sociali, da cui non vengono isolati durante lo svolgimento dei test.

L’Influenza del gruppo
Nel corso della giornata, talvolta, scimmie diverse lavorano insieme in compartimenti adiacenti con le pareti in plexiglas trasparente, dove ogni individuo può vedere i propri compagni all’opera. Altre volte invece è presente solo un babbuino, e gli altri restano nel recinto. Si può dunque misurare l’effetto dei partner sociali sulle prestazioni dei babbuini.
In uno studio condotto insieme a Pascal Huguet, del nostro laboratorio, e Isabelle Barbet dello CNAM (Conservatoire National des Arts et Métiers), abbiamo proposto agli animali un compito semplice: quando vedevano un cerchio, nella schermata successiva dovevano toccare la forma situata a sinistra dello schermo; se era un poligono, dovevano toccare la forma situata a destra. Abbiamo constatato che la velocità di risposta degli animali era legata alla presenza di compagni nelle postazioni di lavoro contigue: questa presenza tendeva ad accelerare la risposta, soprattutto quando il compito era stato imparato bene.
Non solo. Le interazioni sociali influiscono sulle performance cognitive anche in un altro modo, vale a dire modificando lo stato emotivo. Negli animali, come nell’uomo, gli scambi con gli altri hanno il potere di tranquillizzare, stressare, eccitare, rattristare e via dicendo. Nel 2014 abbiamo cercato di verificare se le interazioni spontanee fra i babbuini modificassero i risultati ottenuti in alcuni compiti svolti con il computer.
Abbiamo proposto un test in cui gli animali dovevano riconoscere – e toccare sullo schermo – uno stimolo a forma di T nascosto in mezzo ad alcune L con orientamenti diversi. Parallelamente, rilevavamo l’insieme dei comportamenti sociali che si manifestavano nel recinto.
Le prestazioni sono risultate modificate dagli avvenimenti accaduti alcuni minuti prima dell’esecuzione del compito. Le scimmie erano più rapide a riconoscere la forma sullo schermo dopo un’interazione sociale positiva, e più lente dopo uno scambio burrascoso con i compagni. Diversi studi mostrano che anche nell’uomo gli scambi relazionali stressanti hanno un effetto negativo sulle prestazioni cognitive.
I nostri risultati rivelano l’esistenza di un’interazione tra le funzioni cognitive che gestiscono la vita sociale e le funzioni coinvolte nella risoluzione di problemi non sociali. Questa interazione finora è stata poco studiata. I primi dati mostrano il grande potenziale del nuovo metodo sperimentale per l’analisi delle influenze sociali sulle funzioni cognitive.

Quando le culture evolvono
Nel 2014 abbiamo esaminato un ulteriore aspetto della vita sociale: la trasmissione culturale. Questo fenomeno, osservato in molti animali, riguarda diversi aspetti della vita quotidiana: dall’uso di utensili all’esecuzione di canti particolari, fino alle strategie per la ricerca del cibo. Ma ogni successivo depositario di questo tipo di conoscenze migliora via via i contenuti che riceve? In passato una simile evoluzione cumulativa era stata constatata solo nell’uomo.
Con lo studioso marsigliese Nicolas Claidière mi sono domandato se anche i babbuini ne siano dotati, e insieme abbiamo perciò ideato un compito da eseguire al computer dove i risultati di un partecipante venivano usati come base di partenza per il partecipante successivo. Nell’uomo il metodo può essere applicato con linguaggi semplificati: il primo partecipante deve apprendere un linguaggio e trasmetterlo al secondo e così via. Con il susseguirsi delle trasmissioni si rileva un perfezionamento dei risultati (i partecipanti memorizzano sempre più fedelmente il linguaggio), una migliore strutturazione (compaiono regole sintattiche) e una «speciazione» (ogni catena di trasmissione approda a un linguaggio specifico).
Nel nostro studio veniva presentata a una scimmia una griglia comprendente quattro quadrati rossi in mezzo a 12 bianchi, e quando tutti i quadrati diventavano bianchi l’animale doveva toccare il punto dove, inizialmente, si trovavano quelli rossi. Se forniva tre o quattro risposte esatte riceveva una ricompensa, e il motivo dei quattro quadrati che aveva toccato veniva presentato al partecipante successivo.
Abbiamo osservato le tre caratteristiche di un’evoluzione culturale cumulativa: il miglioramento delle prestazioni (nei partecipanti successivi il successo nel compito era sempre più frequente), la strutturazione (i motivi evolvevano, finendo frequentemente per essere costituiti da quattro caselle adiacenti) e la speciazione (ogni catena di trasmissione conduceva a un risultato diverso). I babbuini hanno quindi la capacità cognitiva di far evolvere quanto trasmesso.
Le nostre ricerche rivelano l’importanza di arricchire il contesto di vita e di studio dell’animale in laboratorio, in particolare il suo contesto sociale. Anche altri gruppi – in Giappone, in Europa e negli Stati Uniti – si sono ispirati al nostro metodo, e stanno cominciando ad adottarlo. Il nuovo modello di sperimentazione ha molte probabilità di sviluppo, in quanto permette di studiare le facoltà cognitive dell’animale nelle loro molteplici dimensioni proteggendo al contempo il suo benessere.