Angiolo Bandinelli, l’Unità 12/02/2016, 12 febbraio 2016
M5S, IL VINCOLO DI MANDATO E LE TEORIE DELL’ON. TONINELLI
Caro direttore,
l’on. Danilo Toninelli, deputato M5S, sostiene, a difesa del regolamento fatto firmare agli aspiranti sindaci e consiglieri di Roma – secondo il quale chi di loro non rispetti le regole dettate dal Movimento, insomma chi le “tradisca”, dovrà pagare una forte multa e magari essere espulso – che il “divieto di vincolo di mandato” nasce dall’epoca di Mussolini, o in un tempo immediatamente successivo, nella paura «che uno pseudodittatore possa imporre istanze che gli eletti non condividono».
Secondo l’on. Toninelli, oggi, «parlamentari, sindaci, consiglieri devono rispettare il mandato loro affidato dai cittadini».
Io avevo una diversa concezione della questione.
Come è noto, il divieto di mandato imperativo (o principio del libero mandato) significa che l’eletto riceve dai suoi elettori un mandato generale, in virtù del quale non ha alcun impegno giuridicamente vincolante nei loro confronti; questi non possono impartirgli istruzioni né lo possono revocare, potranno eventualmente non rieleggerlo al termine del mandato. È questa una forma di rappresentanza molto specifica, la rappresentanza politica (o fiduciaria) che si discosta dal modello privatistico.
Negli Stati democratici il divieto di mandato imperativo vale anche per quel che riguarda i rapporti tra l’eletto e il suo partito (anche se il rapporto con il gruppo politico parlamentare di appartenenza, e la disciplina di partito, possono comportare una certa compressione e affievolimento di tale libertà).
Il divieto di mandato imperativo non ha niente a che fare con le fantasiose motivazioni addotte dall’on Toninelli, ma è incorporato in quasi tutti i sistemi costituzionali di paesi a democrazia rappresentativa.
Fu ispirato alla dottrina della sovranità nazionale, propugnata da Emmanuel Joseph Sieyès in contrapposizione alle tesi care a Rousseau con la sua democrazia diretta. Venne poi rigorosamente formulato da Edmund Burke nel suo famoso “Discorso agli elettori di Bristol”, in cui propugnò la difesa dei principi della democrazia rappresentativa contro l’idea secondo cui gli eletti dovessero agire esclusivamente a difesa degli interessi dei propri elettori. Infine: la Costituzione francese del 1791 sancì in questi termini il divieto di mandato imperativo: “I rappresentanti eletti nei dipartimenti non saranno rappresentanti di un dipartimento particolare, ma della nazione intera, e non potrà essere conferito loro alcun mandato” (Costituzione francese del 1791, art. 7, sez. IlI, capo I, titolo III).
Il principio ha dunque radici esclusivamente liberali, ed è cardine di ogni democrazia.
Mi si consenta un ricordo tratto dalla mia personale esperienza: nello Statuto del Partito Radicale è affermato esplicitamente e categoricamente che gli eletti radicali non sono legati ad alcun obbligo verso il loro partito. Nelle loro esperienze parlamentari i radicali si sono scrupolosamente sempre attenuti a questa norma.
Grazie per l’ospitalità.