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 2016  febbraio 11 Giovedì calendario

COSÌ È, SE VI PARO

E se è un maschio si chiamerà Futuro. Il suo nome, detto quella notte, metteva già paura. Agli altri. E pazienza se in realtà si trattava di un leggermente più banale Gianluigi. In epoca di timori millenaristici e di terrorismo psicologico sui presunti disastri informatici, il bambino si presentava a mamma e papà il 25 febbraio 1999, inconsapevolmente pronto ad affrontare un mondo che secondo qualcuno stava per finire e che invece stava solo diventando un po’ più complicato. Ma non per lui. per Gigio Donnarumma, che si lasciava cambiare i primi pannolini quando il Gianluigi al quale deve il nome. Buffon, era già un astro del calcio. Italiano sicuro, ma anche internazionale.
Castellammare di Stabia. Un luogo d’ispirazione, un punto geografico che aiuta a volare e a fare quel mestiere lì, un po’ da pazzi, che spinge a buttarsi con la faccia dove gli altri mettono i piedi. Castellammare di Stabia, dice la carta d’identità alla voce “luogo di nascita”. La famiglia ha sempre abitato a Pompei, ma è proprio questo il bello. In quel paese, con la maglia del Napoli Club Castellammare, sono cresciuti Antonio Mirante. Gennaro Iezzo e anche Antonio Donnarumma. che poi è il fratello maggiore di Gigio, che poi è uno dei motivi per cui Gianluigi è quello che è, uno straordinario talento precoce con la certezza quasi assoluta che diventi anche longevo. Questione di ispirazione, questione di feeling. E anche questione di buon insegnamento, perché al Napoli Club Castellammare per anni ha dispensato saggezza calcistica Ernesto Ferrara, un signore che ha sempre avuto la pazienza e il gusto dì scegliere fior da fiore e di segnalare al calcio italiano portieri da urlo. E poi c’era anche uno zio, Enrico Alfano, primo tifoso di Giorgio e del fratello Antonio, altro grande benemerito nella formazione del giovane fenomeno. Peccato solo che il destino se lo sia portato via impedendogli di vivere: l’emozione di un nipote titolare nel Milan.
Crescera e non avrà paura. Anzi, è cresciuto e non ha avuto paura. «Troppe responsabilità? Sì, ma io per carattere mi faccio scivolare timo addosso. Cerco di dare serenità alla squadra e proseguire per la mia strada». Una frase che è il suo manifesto e la sua filosofia. Paura zero. Emozioni poche. Si impara da piccoli (ammesso che sia mai stato veramente piccolo), ci si forma giocando sempre con i ragazzi più grandi e più sgamati. Svettare quattordicenne in mezzo a un’area popolata da sedicenni sembra qualcosa di semplice, ma pensandoci bene non è proprio così. Per Gigio è stato sempre tutto normale, non c’era gusto a parare tiri adolescenziali dei coetanei. Un solletico nemmeno troppo fastidioso. La sfida era sventolare la sua data di nascita con il numero 99 quando gli altri dovevano accontentarsi di un 97 o addirittura di un 96. I genitori che andavano a vedere i tornei erano convinti del contrario, sempre portati a dire: non vale, quel portiere lì è più forte degli altri perché è più grande. No, quel portiere lì era più forte perché era già grande e basta, non perché era “più” grande.
Ancora il luogo magico. Castellammare di Stabia. Un breve passaggio per il settore giovanile della Juve e Stabia, proprio nel periodo della grande decisione. La scelta della vita. Era quasi Inter. Quasi. Dopo qualche torneo giovanile disputato con i nerazzurri, ecco la controffensiva del Milan, la grande intuizione. Ma no, non è stata un’intuizione. Semplicemente il fratello Antonio, cresciuto nelle giovanili rossonere, gli ha aperto la strada e gli ha facilitato un cammino che già si poteva intravedere. «Sì, sono sempre stato milanista». Il salto non è esattamente un saltello. Qualcosa dei giorni felici gli manca, come ha detto in un’intervista a La Gazzetta dello Sport: «La famiglia e gli amici. E la pizza: quando torno a casa, vado subito a mangiarla... Mio padre Alfonso e mia madre Maria quando possono vengono a Milano, ma a Castellammare c’è ancora Nunzia, mia sorella. Mamma era dispiaciuta di vedermi partire, come già aveva fatto mio fratello Antonio. Ma lei e papà mi hanno lasciato seguire la mia strada. Vogliono solo il diploma di ragioneria, anch’io penso sia fondamentale». Una saudade moderata, che rischiava di tradirlo un po’ durante i primi tre giorni di allenamento milanese, ma che poi è scomparsa davanti alla prospettiva di avere una carriera da fenomeno.
Subito a Milano, subito nelle mani di Davide Pinato, altro maestro importante per la formazione del fenomeno Donnarumma, che in un’intervista al Corriere dello Sport-Stadio si è espresso così: «Gigio e arrivato al Milan che aveva 14 anni, era un po’ sovrappeso e, nonostante questo, ciò che impressionava era la capacità di apprendere i gesti motori in un breve lasso di tempo. Ha un talento innato, è rapido di testa e da lì parte tutto; è sempre stato preciso e pulito nei movimenti, che per essere così giovane è davvero sorprendente. Tutto poi viene fatto con forza, tecnica e una coordinazione fuori dal comune. Io lo paragono a un giocatore di NBA: sono tutti alti, come Gianluigi, ma snelli, forti e intensi nonostante la loro mole». A Castellammare lo chiamavano predestinato e forse non avevano tutti i torti. A Milano hanno semplicemente assecondato la sua predestinazione, hanno dato le ultime pennellate e poi hanno svelato il capolavoro al mondo.
I russi, i russi, gli americani. Quelli se lo sognano un ragazzo del genere. Se fosse nato a Minneapolis, sarebbe titolare fisso della Nazionale a stelle e strisce e lo avrebbero eletto stella della MLS. Se fosse nato a Mosca, direbbero che è il nuovo Lev Jascin. Gli inglesi, invece, quello lo vorrebbero. Non è una semplice espressione di marketing, Il Manchester United nella perenne ricerca di un grande portiere, ci investirebbe anche 40 milioni per assicurarsi dieci gol subiti in meno a campionato. Niente da fare. Gli spagnoli, anche quelli se lo porterebbero a casa. I catalani, per essere veramente precisi. Ma anche il Barcellona dovrà accontentarsi di tenere il suo Ter-Stegen. Quanto al futuro, può essere già considerato in cassaforte. Dallo scorso anno Gigio è entrato nella scuderia dell’onnipotente Mino Raiola, il re degli agenti, l’uomo che si scomoda e si spende solo per i fuoriclasse veri e che in una bella intervista realizzata da Claudio Raimondi per Premium Sport ha messo immediatamente il carico in tavola:«Donnarumma? Lo paragono a un Modigliani. Vale 170 milioni. Ha un grande avvenire, è un ragazzo straordinario e si fa ben volere da tutti. È già un piccolo campione, ma potrà diventare un grande campione».
La Cina, altro posto magico di questa favola. In Cina, l’estate scorsa, ha parato un rigore in amichevole a Toni Kroos del Real Madrid. Ma non è stata l’unica prodezza di un precampionato nel quale ha lasciato tutti a bocca aperta. Milan compreso. Filippo Galli, responsabile del vivaio rossonero, l’ha griffato con parole scolpite nell’oro: «Dalle giovanili esce un portiere su un milione come Donnarumma». Decine di squadre hanno bussato alla porta del Milan durante il mese di agosto, tutte disposte ad assicurargli una stagione da titolare fisso. Adriano Galliani non ha mai risposto al telefono quando intuiva che l’argomento era quello. Nessuno ha avuto dubbi: Gigio doveva restare al suo posto, continuare a dormire nel convitto e prendere il pullman per andare a Milanello. Mihajlovic l’ha usato all’inizio come deterrente. Diego Lopez gli piaceva poco e si era capito subito. Lo spagnolo, nonostante l’esperienza, ha un modo di trattare la palla con i piedi che irrita il tecnico serbo come una mosca nel cappuccino. Bastava una palla scaraventata lontano e Miha si girava verso la panchina: «Scaldati Gigio». Lopez dalla porta vedeva, capiva e provava ad adeguarsi, ma se uno nasce tondo non può morire quadrato. Lo diceva Gattuso, quando il Milan era ancora un grandissimo Milan. E a questa sacrosanta verità si è dovuto arrendere anche uno che aveva tolto il posto a Iker Casillas nel Real Madrid.
Doveva arrivare, prima o poi, anche il giorno del debutto. Che nella fattispecie è datato 25 ottobre 2015. Milan-Sassuolo. Si era capito prima, nessuna sorpresa alla lettura delle formazioni. «Non guardo l’età. Quando decido chi deve giocare, guardo solo se è buono o no. È un gioiello per il Milan e per il futuro del calcio italiano»: questa la sentenza inappellabile di Mihajlovic. Basta. Finita lì e ciao Diego Lopez. Senza rimpianti, nonostante una prestazione che per Donnarumma è stata considerata giusto sufficiente, con qualche colpa in occasione del gol subito da Berardi su punizione. «Una fortissima emozione. Non avevo capito prima che mi avrebbe fatto giocare. Io di solito le emozioni le tengo dentro, ma quel giorno fu difficile. Dopo l’allenamento chiamai subito i miei genitori e loro partirono da Castellammare per venire a vedermi. In pullman verso lo stadio provai sensazioni particolari. E poi... entro in campo, tocco la traversa (rito scaramantico che ha conservato, ndr) e via: si gioca». Questa è la forza di un ragazzo che non sembra un ragazzo, che dà sicurezza a giocatori esperti e navigati, che compie miracoli con la semplicità di una partita alla Playstation, che dice di non avere una ragazza perché «adesso è meglio così» e che passa la sue serate (non nottate) in giro per il centro di Milano con i suoi coetanei, sentendosi in fondo in fondo (ma proprio in fondo) ormai anche un po’ milanese. Di quell’esordio gli rimarrà solo un piccolo retrogusto amaro: è il portiere più giovane della storia milanista, ma non il più giovane della storia della Serie A, perché il 9 marzo 1980 Gianluca Pacchiarotti del Pescara entrò al minuto 80 di Perugia-Pescara al posto dell’infortunato Pirri quando aveva 16 anni, 6 mesi e 12 giorni. Gigio però ha giocato contro il Sassuolo dal primo minuto, all’età di 16 anni e 8 mesi precisi. Beffa che comunque non influirà sul suo destino. Pacchiarotti, per la cronaca, smise con il calcio professionistico a soli 24 anni, dopo aver tentato un improbabile terno al lotto vestendo la maglia dello Schalke 04.
E chissà come sarà lui domani. Su quali strade camminerà, cosa avrà nelle sue mani. Stretto, questo sì che è sicuro, tra la necessità di doversi migliorare ogni giorno, ogni settimana, ogni mese, e lo spettro di un’involuzione che quando si è così giovani aspetta sempre dietro l’angolo. La possibilità di diventare Buffon e quella di impantanarsi come Scuffet. La testa sulle spalle a dispetto dell’età da una parte, le mille milionate di tentazioni che gravitano intorno a un giovane campione dall’altra. Dipende da tanti fattori. Dipende anche dai buoni maestri e qui illumina ancora un intervento di Pinato, che non è stato Zoff, ma è una persona di grande sensibilità e intelligenza: «I pregi sono tanti: la precisione nei movimenti e la pulizia che per avere 16 anni è davvero sorprendente. Legge le traiettorie in maniera straordinaria per la sua età. Per quanto riguarda i difetti, dovrà solo imparare i piccoli trucchi. Ha ancora bisogno di fare esperienza: magari, quando prende gol sul primo palo, deve imparare il trucco di coprirlo meglio per costringere l’avversario a tirare sul secondo. Sono dettagli che si imparano crescendo e giocando con continuità».
Quando uno è bravo, si prende l’applauso anche da chi, per colpa sua, si è dovuto mettere sulla corsia di destra a novanta all’ora accontentandosi di qualche briciola in Coppa Italia. Qualche anno fa Christian Abbiati avrebbe ingaggiato un duello all’ultimo volo con il giovane rivale, oggi da saggio fratello maggiore con l’occhio clinico può guardarlo passare sulla corsia del sorpasso: «Avete visto tutti le sue qualità. Ha grandi margini di miglioramento ed è un ragazzo con la testa sulle spalle, davvero eccezionale. Deve solo pensare a questo lavoro e farlo al meglio. In pochi hanno queste doti a 16 anni. Il Signore ha guardato giù e gli ha detto “Tu devi fare il portiere”. Impressionante». Il Signore di tutti o semplicemente il Dio del calcio: qualcuno ha guardato giù e l’ha mandato al Milan. E gli ha messo in bocca anche parole che non necessitano commenti: «Ho sempre voluto fare questo: il portiere. Nient’altro. Da bimbo chiesi io di stare in porta. Naturalmente poi spero di vincere trofei importanti, ma il mio sogno l’ho già realizzato». Sarà diverso, bravo come una stella, non sarà in miniatura. Aspettiamo, senza avere paura, domani.
Enzo Palladini