ALBERTO D’ARGENIO, Affari&Finanza – la Repubblica 8/2/2016, 8 febbraio 2016
VESTAGER: LA DANESE, L’UNCINETTO E LA SPADA CHE FANNO SOFFRIRE LE BANCHE E GOOGLE
ROMA - Ama fare l’uncinetto, anche durante le sedute della Commissione europea, non smette di fare la maglia. E’ amata dai collaboratori. Persino i suoi "avversari" la descrivono come una donna estremamente cortese e alla mano. Quando entra in una riunione del suo staff se non conosce qualcuno subito si presenta al nuovo arrivato. Nei meeting di lavoro se carpisce un’informazione di suo interesse lascia ferro e gomitoli di lana e si appunta tutto su un quadernetto, senza rivolgersi ad assistenti o segretarie. È una donna piacevole. Eppure Margrethe Vestager ha la fama di una Iron Lady, è trattata alla stregua di un nemico pubblico dai media di mezza Europa.
C’è l’uncinetto e c’è la spada, incute timore ai padroni del mondo, a giganti come Google e Gazprom. Quarantasette anni, tre figli adolescenti con un professore delle superiori, a sua volta figlia di un pastore luterano, la Vestager viene considerata dai governanti e dai manager italiani che finiscono nel suo mirino come una super burocrate insensibile alle ragioni di un Paese mediterraneo. Eppure il commissario europeo alla Concorrenza prima di sbarcare a Bruxelles, nel 2014, in Danimarca è stata una stella politica con una carriera folgorante che l’ha portata ad essere vicepremier. Ministro più giovane nella storia politica di Copenaghen, a soli ventinove anni, l’attrice danese Sidse Babett Knudsen si è ispirata a lei per il ruolo della protagonista di Borgen, la serie tv danese che ha riscosso successo in tutto il globo appassionando anche Hillary Clinton. Il perché dei sospetti nei suo confronti, allora, non va ricercato nella presunta mentalità da eurocrate, bensì nel suo modo di interpretare il ruolo che le è stato attribuito in seno alla Commissione. È il carattere di questa liberale di sinistra, molto religiosa, fuso alla carica che le è stata assegnata, capo dell’Antitrust europeo, a spiegarne la forza.
Quello alla Concorrenza è il commissario con maggiori poteri coercitivi a Bruxelles, più potente anche del responsabile agli Affari economici, può prendere decisioni vincolanti su aziende e governi senza risponderne a nessuno. L’unico limite ai suoi dettami è la Corte di giustizia del Lussemburgo, un controllore che non fa sconti. Ma la Vestager, come i suoi predecessori, può contare sul lavoro della Dg Competition, la Direzione generale dove lavorano probabilmente i migliori funzionari della Commissione. Dunque è il ruolo a darle tanta visibilità e ad attirarle antipatie, specialmente se unito ad una personalità molto forte che si intuisce subito entrando nel suo ufficio, dove svetta una statuetta regalatale da un sindacalista danese: un pugno serrato con il dito medio alzato. "Mi ricorda che non puoi essere d’accordo con tutti", spiega lei a chi le chiede spiegazioni su un oggetto decisamente stravagante in un palazzo che lascia poco alla personalità e alla fantasia come il Berlaymont. Dunque una donna quanto meno determinata nell’andare per la sua strada.
E sarà per questo che il New York Times l’ha definita "completamente priva di sentimenti ", descrizione che cozza con i racconti non solo dei suoi collaboratori, ma dei suoi avversari negoziali, che non mancano di riconoscerle oltre alla competenza l’attenzione alle ragioni altrui (solo se la convincono). E così in due anni a Bruxelles la Vestager ha riportato sui media di tutto il mondo il timore che si deve all’Antitrust europeo dopo dieci anni in cui la Commissione sotto la guida di Barroso era diventata una sorta di ventre molle con decisioni pilatesche che in nome del quieto vivere politico non scontentavano nessuno. Quello stesso rispetto che aveva circondato Mario Monti, quando nei primi anni 2000 nel ruolo oggi della Vestager aveva sfidato, e battuto, il colosso dei colossi: la Microsoft di Bill Gates. La Vestager non è stata da meno. In Italia è famosa per la sua (presunta) intransigenza sulle banche. Dal salvataggio negato di Tercas, alla penalizzazione degli obbligazionisti Etruria, Marche, Ferrara e Chieti. Finendo con l’avvio dell’indagine per aiuti di Stato in favore dell’Ilva. Tutti casi nei quali, in realtà, la commissaria danese altro non ha fatto che far rispettare le regole. Tanto è vero che al termine di negoziati, a tratti durissimi ed estenuanti, dietro le quinte chi la affrontava per conto del governo ne riconosceva l’intelligenza e la competenza.
Ma alzando lo sguardo si capisce che le accuse di diversi ambienti nostrani di trattare l’Italia con disparità sono infondate. La Vestager per proteggere i consumatori e il fisco di svariati paesi europei, il suo mandato, per pratiche commerciali illegali o accordi fiscali scorretti sta mettendo alle corde colossi come Google (rischia una multa da sei miliardi), Gazprom, General Electrics, Starbucks, eBay, Netflix, Mastercard, Disney e Warner Bros. E per capire la linearità con cui affronta simili battaglie, basta rileggersi la risposta a chi la accusava di attaccare i big statunitensi: "Io e i miei figli non ci chiediamo se un’azienda sia americana o europea, la usiamo perché ha dei buoni prodotti. Ma deve rispettare le regole". D’altra parte in Danimarca, Paese caratterizzato dai governi di minoranza e coalizioni ballerine, nei sedici anni passati al governo si è guadagnata il soprannome di "Margrethe III". Un’allusione al fatto che la sua influenza politica fosse ben superiore a quella del premier Helle Thorning-Schmidt, pari giusto a quella dei Sua Maestà Margrethe II. In un quadro frastagliato come quello di Copenaghen, la Vestager ha saputo sempre imporsi come quando ha colpito il generoso sistema sociale nazionale commentato con scandinava serenità: "Andava fatto, le cose vanno così".
In Europa si è fatta apprezzare nel 2012, quando ha guidato per sei mesi l’Ecofin, il tavolo dei ministri delle Finanze dei Ventotto. Quindi il salto da Copenaghen e Bruxelles. Dove si è creata una squadra di duri e puri, funzionari estremamente competenti di provenienza prevalentemente nordica che non guardano in faccia alle ragioni (e alle pressioni) politiche che puntualmente si nascondono dietro ad ogni dossier. D’altra parte quando lasciò Copenaghen per l’avventura europea regalò al suo successore un elefantino di lana che lei stessa aveva fatto all’uncinetto. Con un bigliettino: "Gli elefanti sono animali sociali, perspicaci. Vivono in comunità e – devo dire – in gruppi matriarcali. Non portano rancore, ma ricordano bene". Una donna così alla Concorrenza non poteva che calpestare i piedi a tutto il mondo.
di ALBERTO D’ARGENIO, Affari&Finanza – la Repubblica 8/2/2016