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 2016  gennaio 30 Sabato calendario

L’EREDITÀ SMARRITA DEI DUELLANTI DI CARTA


In casa Mondadori non si poteva citare il nome Rizzoli. Il fondatore Arnoldo si limitava a usare la lettera “Erre” per parlare del concorrente. «Erre ha fatto, Erre ha detto...». Era un vero divieto, una regola di vita. In famiglia, in compenso, si parlava, e tanto, dell’azienda. Cristina Mondadori da bambina sentiva così spesso citare questa “azienda” da pensare, raccontava, «che si trattasse di una parente stretta». Anche Angelo Rizzoli, il cumenda milanese che assieme all’austero Mondadori ha accompagnato lo sviluppo dell’editoria nel Novecento, non manifestava simpatie per il rivale. Anzi. Il suo obiettivo era di battere Arnoldo in tutti i campi. Rizzoli era stato provato duramente dalla vita e voleva divertirsi con il cinema, il calcio, lo yacht Sereno ancorato a Portofino, godersi i soldi che il sacrificio e l’ingegno gli avevano messo in tasca dopo anni di miseria.
La competizione tra i due non era solo un’agguerrita rivalità combattuta con i giornali, i periodici, i libri, le tipografie. C’era qualche cosa di più profondo: il desiderio di primeggiare, di battere l’avversario col quale ci si salutava cordialmente, senza mai eccedere, nelle vacanze a Cortina – Rizzoli scendeva all’Hotel Miramonti, Mondadori al Cristallo – perché alla fine, nella testa dei duellanti, contava solo il desiderio di diventare l’unico, grande editore di Milano.
Per tutta la vita non hanno fatto altro che scontrarsi. E certo non si sarebbero mai alleati, nessuno dei due avrebbe ceduto all’altro i libri come invece avviene oggi con la clamorosa rinuncia di Rcs a favore di Mondadori.
Per un disegno forse superiore si sono fatti sempre compagnia: Angelo Rizzoli nacque il 31 ottobre del 1889 a Milano, tre mesi dopo la morte del padre suicida dentro al Cimitero di Musocco e diventò grande in orfanotrofio dai Martinitt; Arnoldo Mondadori aspettò due giorni, il 2 novembre dello stesso anno per venire al mondo, a Poggio Rusco, nel mantovano. Angelo morì nel settembre 1970, Arnoldo lo seguì nel giugno del ’71.
Oreste Del Buono, che si vantava di avere il record delle dimissioni, scrisse uno splendido ritratto – M.&R. La nascita dell’odio – dei due editori per la Stampa che poi riprese in un libro (Amici, amici degli amici, maestri..., Baldini&Castoldi, 1994). «Non furono mai amici, anche se le loro sorti s’intrecciarono più e più volte», racconta Del Buono, «avevano uguale audacia e uguale spregiudicatezza rispetto ai predecessori, ma maggiore lucidità e conoscenza dei mezzi di riproduzione e di diffusione, erano titanici autodidatti, mai sfiorati dalla preoccupazione di istruirsi in qualche modo, ma sempre assillati dall’urgenza di istruire al bene e al male gli altri, una folla continuamente in aumento di altri (...) Costruttori di imperi di carta stampata, figure leggendarie all’incipiente maturità, eroi delle gaffe inculturali più devastanti e delle imprese culturali più esaltanti, sono inconfrontabili con i loro successori. Chi ha avuto la fortuna e la difficoltà, l’onere e l’onore di lavorare alle loro dipendenze nella costruzione di nuove chimere e nella conquista di nuovi mercati non può dimenticarli, ma sa bene che la morte che li ha folgorati presso a poco alla stessa età è stata tempestiva nel toglierli dall’impaccio e dal dolore, dalla delusione e dalla frustrazione di vedere i loro mondi creduti tanto solidi, smarrire il senso dell’eternità per una precarietà ribelle alle leggi del profitto, alla logica imprenditoriale».
Mondadori e Rizzoli sono scomparsi prima che il loro mondo crollasse, non hanno vissuto le vicende, per certi versi drammatiche, delle loro creature e delle loro famiglie. La Mondadori è da oltre vent’anni di proprietà di Silvio Berlusconi, editore televisivo diventato presidente del Consiglio, dopo una guerra finanziaria e giudiziaria interminabile con Carlo De Benedetti. La vecchia Rizzoli si chiama Rcs Mediagroup, pubblica il Corriere della Sera e la Gazzetta dello Sport, ed è in mano a un gruppo di azionisti famosi che vendono un pezzo dopo l’altro per provare a mettere in equilibrio il bilancio. Anche se i nomi di Mondadori e Rizzoli restano nella ragione sociale delle due holding, non è rimasto niente dei fondatori e a poco è valso il timido tentativo di quegli eredi che, in passato, avevano provato a rinnovare antichi successi. Nessuno ricorda più nulla. Nemmeno in occasione della vendita della Rcs Libri a Mondadori nessuno ha sentito la necessità di rilevare un’incongruenza storica: come si fa a cedere un pezzo così importante della Rizzoli proprio al più strenuo concorrente? Significa privarsi della propria anima, della propria identità culturale, è una resa davanti al vecchio nemico. Invece niente: gli affari sono affari, in attesa della benedizione dell’Antitrust.
Certo, qualcuno si è adombrato. Qualche autore si è imbarcato su La nave di Teseo, il nuovo vascello diretto da Elisabetta Sgarbi che affronta i mari procellosi dell’editoria. Ma scrittori, intellettuali e giornalisti sono rimasti quasi tutti al loro posto. Non è tempo di gesti eclatanti. E poi i giganti editoriali si assomigliano tutti, rispondono solo a logiche industriali.
Eppure, a volte, nelle pieghe della memoria si possono trovare insegnamenti e spiegazioni utili anche oggi per capire i misteri di un successo e le ragioni dell’odio. Pare che all’origine dell’insofferenza tra i due editori ci fosse proprio un affare, l’unico, siglato negli anni ’20. Mondadori aveva deciso di vendere quattro riviste (Il Secolo Illustrato, Comoedia, La donna, Novella) per rafforzare le proprie finanze dopo l’avventura sfortunata nel quotidiano Il Secolo in cui l’aveva coinvolto l’industriale senatore Borletti, proprietario della Rinascente. Le rilevò a sorpresa, con una montagna di cambiali, lo sconosciuto Angelo Rizzoli, stampatore. Le riviste erano un vero disastro, ma la fortuna aiuta gli audaci. Novella abbandonò i racconti letterari e fu trasformata in un giornale popolare, in rotocalco, con immagini di star del cinema e storie che lasciavano trasparire inquietanti segreti e chissà quali peccati. Il primo numero fu stampato così male che Rizzoli pensò di buttare tutto all’aria. Il giornale, non si sa come, fu un successo incredibile: 100 mila copie a numero, soldi a palate. Così Angelo diventò un editore, con gli scarti di Arnoldo. Fu un brutto colpo per Mondadori, tentò di porvi rimedio con altre riviste, tra cui Grazia. La sconfitta e la rabbia, però, furono indelebili. Sono storie lontane, di editori capaci di cogliere lo spirito del tempo, di inventarsi giornali, di pubblicare Hemingway e Mann, di lanciare gli Oscar per la letteratura di massa (Mondadori) o di produrre La dolce vita di Fellini e di scommettere, contro tutti, su Il male oscuro di Giuseppe Berto, un successo planetario (Rizzoli). Uomini attenti, all’anima e ai conti. Editori «fatti di un’altra pasta» come diceva Giorgio Bocca, «perché hanno visto la povertà e la guerra». I due rivali avevano un’abitudine comune. La sera, prima di tornare a casa, passavano negli uffici e avvertivano i dipendenti: «Spegnete la luce, che costa...». Il primo segreto per creare una grande impresa.