Lanfranco Vaccari, SportWeek 30/1/2016, 30 gennaio 2016
LO SCIENZIATO DEL GOLF CHE SI SENTE EINSTEIN
Porta la coppola, che nel golf è una tradizione anglosassone fin dagli inizi del gioco. Comune all’epoca di Harry Vardon (fra ’800 e ’900), era diventata un tratto distintivo a metà del secolo scorso, quando la usava Ben Hogan, e decisamente rara verso la fine, quando era legata all’immagine di Payne Stewart.
Tutti i bastoni che ha nella sacca sono della stessa lunghezza, 37,5 pollici (92,25 cm), che è la misura standard di un ferro 6. Verso la fine degli Anni 80, la Tommy Armour Golf aveva cercato di proporli al mercato, ma senza molto successo. Usa solo palline il cui peso è distribuito in modo perfettamente simmetrico, cosa che testa immergendole in un bicchiere pieno d’acqua, in cui discioglie sale di Epsom. Lo faceva anche Byron Nelson, negli Anni 30.
Legge i green secondo il metodo elaborato da un certo H.A. Templeton in un libro del 1984, intitolato Vector Putting. È una formula che calcola distanza dalla buca, inclinazione del terreno e velocità del green. Niente di quello che fa Bryson DeChambeau è originale. Ma nessuno, finora, aveva messo insieme tutte le eccentricità come questo dilettante di 22 anni che promette di essere il prossimo fenomeno sul Pga Tour, dove entrerà probabilmente nella seconda metà dell’anno. È uno dei cinque che hanno vinto nella stessa stagione il titolo della Ncaa e lo Us Amateur (gli altri sono Jack Nicklaus, 1961; Phil Mickelson, 1990; Tiger Woods, 1996; Ryan Moore, 2004) – impresa meno comune che aggiudicarsi due major, cosa che nello stesso arco di tempo hanno fatto in 20. La settimana scorsa si è presentato sull’European Tour andando in testa dopo il primo giro ad Abu Dhabi (ha finito il torneo T54).
Si sta per laureare in fisica alla Southern Methodist University di Dallas, Texas, e questo spiega alcune cose. Si definisce “lo scienziato del golf” e ha tutte le caratteristiche del tipo compulsivo-ossessivo in preda ai numeri e alla tecnologia. Compresa un’enorme fiducia in se stesso, tanto da accostarsi a Albert Einstein e George Washington, «due che non seguivano la corrente». Aveva 15 anni quando il suo maestro, Mike Schy, gli mise in mano The Golfing Machine, libro scritto (e pubblicato a sue spese) nel 1969 dal tecnico aeronautico Homer Kelly, che insegna uno swing con 24 componenti e 144 variazioni. «Ci abbiamo lavorato sopra un paio d’anni e siamo arrivati a quello che Kelly chiama movimento a variabilità zero», ha detto DeChambeau. «L’ho adattato alle mie caratteristiche fisiche ed è venuto fuori lo swing che ho oggi».
Non è per nulla convenzionale e un paragone appropriato è quello con Dick Fosbury, che negli Anni 60 cominciò a saltare dando la schiena all’asticella e non passandoci sopra con il ventre. Impugna i bastoni nel palmo della mano e non alla base delle dita. Oltre alla stessa lunghezza (quelli “normali” sono in una scala che aumenta di mezzo pollice dal più corto al più lungo), i suoi ferri hanno anche uguali bounce (la curvatura della suola delle facce) e lie (l’angolo formato da suola e canna). Le teste dei bastoni sono più pesanti di quelle usuali ma soprattutto peso e flessibilità degli shaft cambiano a ogni ferro. Solo la progressione del loft (l’angolo fra il terreno e la faccia del bastone) è tradizionale. In questo modo ha sempre la stessa posizione sulla palla, lo swing si semplifica, diventando più ripetibile, e si sviluppa su un piano solo, con un minimo piegamento dei polsi. È tutto molto eccentrico, ma lui riesce a farlo funzionare. Dopo tutto, anche Jim Furyk e BubbaWatson hanno movimenti per nulla tradizionali eppure hanno
messo insieme tre majors, 25 vittorie sul Tour e 95 milioni di dollari.