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 2016  gennaio 30 Sabato calendario

PACE STELLARE PRIMO EPISODIO


[Simonetta Di Pippo]

"Always positive” è il suo motto su Skype. Ti risponde da Vienna, dall’ufficio delle Nazioni Unite, trovando il tempo tra un viaggio a New York e uno a Pechino, o tra un volo per Bonn e uno per Bruxelles. E “always positive” suona vero. Perché Simonetta Di Pippo, una laurea in astrofisica e trent’anni di carriera nel settore spaziale, oggi fa l’astrodiplomatica nei panni di direttore dell’Ufficio per gli Affari dello Spazio Extra-Atmosferico delle Nazioni Unite (Unoosa). Mentre spiega sorridendo cosa significhi “astrodiplomazia”, e perché l’Onu abbia un ufficio che si occupa di affari spaziali, racconta di un mondo che tra le stelle costruisce pace e democrazia.
Di Pippo, romana, cinquantasei anni, è la prima italiana a ricoprire quest’incarico. Per spiegarlo meglio parte dalle definizioni: «Lo scopo del nostro ufficio è promuovere la cooperazione internazionale attraverso l’uso pacifico dello spazio a beneficio dell’umanità, con particolare attenzione ai paesi in via di sviluppo». Cioè? «Basti pensare ai dati che raccogliamo con i satelliti»: sono quelli che ci permettono di avere il meteo sullo smartphone aggiornato di ora in ora, o che ci aiutano a cavarcela nel traffico e ci fanno vedere i film on demand. Bene, prosegue Di Pippo, «in quest’ufficio quei dati li usiamo per intervenire durante i disastri naturali, come alluvioni, frane, terremoti. Oppure per pianificare la ricostruzione, ed evitare che alla piena successiva le case si trovino di nuovo lì, dove il fiume tornerà a esondare. Ma gli stessi dati possiamo anche usarli per l’agricoltura, quando si devono strappare i campi al deserto che avanza. Oppure per individuare villaggi di profughi che si sono installati nel Sahara all’insaputa di tutti. E così via».
L’astrodiplomazia di Simonetta Di Pippo comincia da qui, dai satelliti che girano intorno alla Terra e che devono essere impiegati anche laddove i nostri problemi di smartphone o di film on demand non sono prioritari. E non è tutto così lineare. «Perché ci sono paesi in cui le condizioni di vita medie sono arretrate, ma che hanno eccellenti programmi spaziali. Come l’India». Difficile definirla terzo mondo, se parliamo dell’India che è arrivata su Marte con la sonda Mangalyaan, senza sbagliare un colpo e spendendo quasi dieci volte meno di quello che ha speso la Nasa per la sua analoga missione. Ma il punto è anche questo: l’astrodiplomazia interviene su una geografia diversa da quella che vediamo noi, e nello spazio le cose in genere vanno un po’ meglio che quaggiù.
Un esempio? Stati Uniti e Russia, in questo periodo, sulla Terra non vanno molto d’accordo, invece «nello spazio lavorano insieme, in pace. E devono continuare a farlo», prosegue Di Pippo insistendo sul “devono”. Quindi per raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale, gli americani devono chiedere un passaggio alla navicella russa Soyuz: «Non hanno alternative, perché il loro Shuttle è andato in pensione». E la Russia deve darglielo, il passaggio, qualsiasi cosa stia succedendo in Medio Oriente o in Iran. Allo stesso modo americani e russi collaborano per consentirci l’utilizzo di tutti i sistemi di navigazione satellitare: quelli già costruiti (come il Gps che usiamo oggi) e quelli che lo saranno. E così lavorano anche con cinesi, indiani ed europei. Insomma: se non c’è pace quaggiù, c’è pace lassù. E il lavoro astrodiplomatico di Simonetta Di Pippo serve a far sì che questa pace duri a lungo e porti più benefici possibile.
«Il motivo per cui questo lavoro mi appassiona è che siamo in un momento chiave, e c’è da pensare al futuro». Ed è un futuro pronto ad arrivare per tutti: «Siamo anche in un momento dell’esplorazione spaziale simile a quando si capì che l’aviazione poteva essere interessante dal punto di vista commerciale». Quando, cioè, nei primi decenni del Novecento, le macchine volanti cominciarono a non essere viste più soltanto come giocattoli per temerari col cappello di volpe, o terribili strumenti di guerra, ma anche come mezzi di trasporto. Perciò «dobbiamo pensare al futuro», oggi, significa pensare al giorno in cui andremo in viaggio di nozze su una stazione spaziale o prenderemo un razzotorpedone per andare in gita a vedere la Terra da lontano. «O, più a breve, a quando grazie ai voli suborbitali andremo da Londra a New York in un’ora e mezzo. O a quando raccoglieremo nello spazio i minerali che qui sulla Terra sono rari e che usiamo per costruire i dispositivi elettronici», incalza Simonetta Di Pippo.
Che sia un futuro dietro l’angolo, lo dimostra il fatto che a novembre scorso Barack Obama ha firmato una legge per consentire lo sfruttamento minerario degli oggetti celesti. Mentre Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, stava sperimentando con successo il suo prototipo di razzo andata/ritorno, per il turismo stellare, e la SpaceX di Elon Musk lo seguiva a breve distanza (pur con “l’intoppo” recente del Falcon 9). Quindi, per sintetizzare: «Accedere allo spazio è una questione di democrazia. Che a sua volta crea democrazia sulla Terra. E sempre di più la creerà. Perciò è necessario che l’accessibilità allo spazio sia tutelata, che avvenga in maniera sostenibile, e che progredisca. Per tutti».
Simonetta Di Pippo è lì, nel posto chiave delle Nazioni Unite dove già oggi si lavora per questo. Ci è arrivata partendo da un liceo scientifico di Roma e nonostante un pregiudizio maschilista: «Dopo la maturità ho scelto Fisica e poi Astrofisica. Ma non perché fossi una lettrice di storie di marziani, anzi. Anche adesso di fantascienza ne leggo poca, e solo se racconta storie vicine alla realtà». Così Di Pippo si laurea in astrofisica e, pragmatica e già decisamente “always positive”, va dal suo professore a chiedergli una borsa di studio. «Con quella avrei voluto andare a fare ricerca negli Stati Uniti». Ma il professore «mi rispose che ero femmina, quindi mi sarei sposata, avrei fatto figli, e sarei stata un cattivo investimento». Perciò resta a Roma («lì per lì ci rimasi malissimo, quasi non volevo crederci…») e trova un lavoro (fisso) in una società di software. Dopo qualche mese, la svolta: «Lessi un annuncio per l’allora Piano spaziale nazionale, che offriva un contratto di cinque anni e uno stipendio molto più basso di quello che percepivo nel privato. Ma non ebbi dubbi. Risposi».
Comincia così la carriera spaziale di Di Pippo, che rimanendo in Italia nella seconda metà degli anni Ottanta era già «nel posto giusto al momento giusto», perché stava nascendo l’Agenzia Spaziale Italiana (Asi). «Anche le storie negative possono prendere una piega positiva», riflette ad alta voce allegra, aggiungendo che alla fine quel professore lo ha quasi perdonato, e che un figlio poi lo ha avuto davvero, Saverio, nel 1991: «Ed è il mio miglior progetto spaziale», con una battuta in gergo “rocket science”.
I successivi trent’anni sono stati costellati da successi e soddisfazioni, e la carriera di Di Pippo è stata in continua ascesa. «Non ho più subito discriminazioni che non fosse possibile superare. Anche se forse il leit motiv della mia storia è stato il pregiudizio per cui un uomo leader decisionista e di successo viene giudicato bravissimo, mentre una donna leader decisionista e di successo viene considerata aggressiva». La soluzione? «Ho cominciato a fregarmene. Pensate quel che vi pare», segue risata. E anche una seconda soluzione: «Women in Aerospace, un’associazione europea, sul modello di una americana e con analoghe africana e canadese e presto giapponese, che ho fondato nel 2009. L’obiettivo è promuovere il lavoro delle donne in questo settore. Abbiamo 500 iscritti, per ora. E tra di loro il 10% sono uomini: nessuna discriminazione».
Dopo l’Asi c’è stata l’Agenzia Spaziale Europea (Esa). Simonetta Di Pippo è stata la responsabile del volo umano per l’Esa: ha scelto gli ultimi astronauti, tra cui Luca Parmitano e Samantha Cristoforetti, e ne ha diretto i lavori. «Ma non ho mai pensato di fare io l’astronauta, assolutamente no! Sono stata sei minuti in assenza di peso in tutta la mia vita e va bene così», sorride. E intanto mostra il diploma che campeggia sul muro dell’ufficio: un diploma di partecipazione a un volo parabolico, di quelli in cui futuri astronauti ma anche studenti, ricercatori e curiosi sperimentano l’ assenza di gravità. Sei minuti, e poi di nuovo coi piedi per terra.
Adesso, cioè da marzo 2014, da quando è direttore dell’Unoosa, Simonetta Di Pippo guarda allo spazio con un occhio diverso: «Non avevo mai lavorato all’uso dei dati spaziali con lo scopo diretto e attuale di migliorare la vita sulla Terra», spiega. «Mentre oggi quest’ottica mi sembra ovvia. Nonché il prolungamento naturale della mia carriera». Da un liceo di Roma alla Stazione Spaziale Internazionale, al ritorno a Terra: un pianeta che avrà sempre più bisogno di uno sguardo “always positive” e soprattutto rivolto verso l’alto, verso le stelle.