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 2016  gennaio 29 Venerdì calendario

«SCRIVO PER ME» VITA AGRA DI UN AUTORE SENZA VOLTO

Alzi la mano chi, senza ricorrere a internet, sa chi è Carlo Villa. No, non il cantante. Quello era Claudio, il reuccio, il signore pelato che sbancava a Sanremo con canzoni a soggetto prevalentemente amoroso. Questo invece si chiama Carlo, fa lo scrittore in quel di Roma. Non si è accesa nessuna luce? Eppure è un autore di lunghissimo corso: quasi 85 anni, con all’attivo almeno una trentina di libri, metà dei quali usciti da inizio millennio a oggi. Va bene, direte; ma il mondo è pieno di scrittori di nessun valore che scrivono, scrivono, senza altro risultato se non l’ulteriore impoverimento degli alberi del pianeta (e sì, perché gli autori della domenica non si accontentano dell’ebook: vogliono proprio il testo cartaceo, con il nome in copertina, da poter regalare ai pochi che, a loro insindacabile giudizio, sono in grado davvero di apprezzarli). Ma Villa di talento ne ha da vendere, riconosciuto da chiunque fin dagli inizi, una vita fa. Sentiamo Elio Vittorini, meraviglioso conoscitore della narrativa del dopoguerra: «Il libro di Villa è il più funzionale, per i fini della letteratura, che mi sia capitato di leggere in quest’ultimo anno». Oppure Pier Paolo Pasolini, che si occupò delle sue poesie: «Villa è dei nostri», proclama, «con risultati espressivi conditi a dovere, e con classe». Ma questa è storia, ormai: siamo al principio degli anni Sessanta. Allora, Villa è un giovane leone della nostre lettere, e gli altri suoi recensori, tutti qualificatissimi, si chiamano Zanzotto o Luzi, Giudici o Sinisgalli: come dire il gotha delle nostra poesia. E tuttavia oggi sono anche tutti morti, in alcuni casi da decine d’anni. Invece Carlo Villa c’è ancora, alive and kicking, direbbero gli inglesi. E scrive, scrive, nel suo stile torrenziale e curatissimo; eppure pochissimi lo sentono nominare. Nella civiltà dell’informazione, un caso di anomalia, di quelli da far drizzare le antenne.

Vade retro contemporaneità. Per chi segue l’autore, il silenzio non stupisce: Villa è una specie di autorecluso delle nostre lettere. Da sempre, vive in uno stato di quasi totale isolamento, nella periferia romana, in un appartamento dove non riceve nessuno; i pochi che hanno avuto occasione di visitarlo riportano di un ambiente sommerso da libri e carte, dove una corrispondenza con Sebastiano Vassalli si alterna a un volume dedicato di Alberto Moravia, e così via. Da questo eremo, Villa non esce praticamente mai. Non va a convegni, non tiene conferenze, non partecipa a quegli impegni accademici che – soprattutto nella capitale – non si negano praticamente a nessuno che abbia superato la quarta ginnasio. Ma lui no – non lo invitano, dice. O forse, semplicemente, non accetta. D’altronde a lui la contemporaneità non piace. Quella politica gli va strettissima; quella culturale la trova mediocre, poco interessante. Così, i suoi contatti con il mondo finiscono per limitarsi all’onnivora lettura dei giornali e a qualche corsa sull’autobus che ogni tanto prende nel suo quartiere romano per raggiungere altre zone.

Onore a una vetusta Olivetti. Un isolamento tutt’altro che splendido, non c’è che dire. Eppure, in questa solitudine impenitente e assoluta, Villa trova l’ispirazione per scrivere. Non lo fa a computer, naturalmente: non ce l’ha; usa una vetusta Olivetti, con cui batte più pagine al giorno, in forma di diario, che poi tormenta di infinite correzioni e, più o meno una volta all’anno, pubblica presso una sigla toscana, la Società Editrice Fiorentina. Negli ultimi 13 anni, altrettante uscite, titoli significativi come L’ospite sgradito (lui, evidentemente) o Agrità, a ricordare il suo stato d’animo prevalente. Dentro, in centinaia di pagine fitte fitte, un diario senza date né ordine apparente in cui si affronta ogni argomento, con uno stile sempre incalzante e osservazioni spesso originali. Ecco il governo: «Codesta arroganza politica che allestisce conferenze stampa pari a consigli di guerra»; la televisione: «Uno sciacallaggio mediatico che opprime, allineando l’informazione a un programma pettegolo di massimo ascolto»; o la mafia: «Consorteria patriarcale che spettegola quand’è radunata: gerarchia vile, femmina nascosta nel colpire alle spalle». Si salva qualcosa della cultura, alta o altissima, Ian McEwan applaudito perché non fa giri promozionali per un suo romanzo, memorie di Carlo Emilio Gadda o di Giulio Einaudi, vecchi film visti in tv con immutato piacere. E, ad apertura di pagina, un male di vivere cosmico: «Vivo e non so amare la vita, ogni istante rivoltandomisi contro in un disagio intollerabile. Di tutto ciò non vi è mai pervenuto nulla? Nessuna sorpresa: i libri sono sostanzialmente introvabili. L’autore, tanto, è indifferente, o solo rassegnato: «Non m’interessa quanti saranno a leggermi: peggio per loro nel caso. Se non arrivano i lettori il mio lavoro l’ho svolto». E tuttavia, come ben sanno molti redattori delle pagine culturali dei giornali, Villa è anche capace di una diffusione estremamente capillare di questi suoi volumi: una sorta di consegna door to door, con i libri che partono verso i nomi più importanti della critica letteraria nazionale, accompagnati da incredibili bigliettini su carta finissima, veri e propri pizzini vergati in una scrittura nervosa, dove l’autore segnala la sua condizione umana, la sua scrittura, «da oltre 50 anni responsabile, nonostante gli assedi tutti contrari», e chiama a raccolta chi ancora riconosce letteratura e stile. Capita così che il suo nome talvolta ricorra in qualche cronaca letteraria redatta dai migliori – negli ultimi anni, per esempio, si sono ricordati di lui Paolo Di Stefano sul Corriere e Angelo Guglielmi sulla Stampa – ma sempre troppo poco per farlo uscire dal semianonimato. Capiterà lo stesso anche quest’anno, con l’ultimo libro, L’esperienza del nulla, arrivato puntualissimo in questo novembre sulle scrivanie dei redattori? Ma sì, perché dovrebbe cambiare? Se anche fosse, sarebbe certamente troppo tardi per spingere l’autore ad abbandonare il suo bunker romano, personalissimo punto di osservazione della modernità.