Umberto Broccoli, Sette 29/1/2016, 29 gennaio 2016
CI VORREBBE UN AMICO
1984
Sua Evanescenza il decennio dell’effimero ha preso il largo. Gli Ottanta si palesano ovunque e, rivedendone i segni caratteristici, provo qualche linea di tenerezza nostalgica. Superata subito ripensando a quanto effimero di allora contamini ancora oggi la nostra quotidianità. È un fall-out del superficiale, una ricaduta delle radiazioni di evanescenza, con le quali conviviamo da decenni, mitridatizzati dall’inutile assunto da allora nell’empireo del vero. Il 3 gennaio la televisione italiana compie trenta anni. Sarà celebrata da Pippo Baudo con Buon compleanno Tv, a partire dal 7 gennaio. La tv dilaga e negli Ottanta apparire in televisione assume il valore anagrafico di esistenza in vita: appaio, quindi (ci) sono. 22 gennaio. Nello stesso giorno la Apple presenta il primo computer della serie Macintosh e in Italia Leopoldo Mastelloni bestemmia in diretta tv a Blitz, trasmissione di Raidue. È quel misto di accelerazione di tecnologia e costume, impensabili nel decennio precedente, quando era avanguardia la macchina per scrivere elettrica e facevano scandalo da prima pagina le cinque lettere di sesso maschile a doppia zeta pronunciate in radio da Cesare Zavattini. Sua Evanescenza sdogana l’insulto libero televisivo: del decennio sono le prime risse verbali a telecamere accese, risse aumentate in modo esponenziale grazie alla diffusione dell’emittenza privata. Sua Evanescenza si sviluppa nell’emittenza. Una carriera può dipendere dal dato di ascolto e nascono molti personaggi, andati ad occupare spazi vari: dalla politica allo spettacolo. E la politica diventa sempre più spettacolo, mandando in archivio Tribuna politica. Qui, un moderatore dà la parola ai giornalisti accreditati e all’unico politico cui far domande. I tempi sono contingentati: qualche secondo per la domanda, qualche minuto per la risposta. Si registra e i toni possono anche essere polemici, ma la rissa è impensabile. Negli Ottanta la musica è tutt’altra, preconizzando gli spettacoli dei nostri talk-show. 7 giugno, Padova: Enrico Berlinguer si sente male in diretta televisiva durante un comizio per le elezioni europee. È emorragia cerebrale: morirà l’11 giugno. 13 giugno, Roma, piazza san Giovanni in Laterano. Due milioni di persone ai suoi funerali e altri milioni commossi davanti ai teleschermi. Finisce un mondo: oramai vita e morte sono certificate dalla televisione.
Pene d’amore. In questa atmosfera Antonello Venditti sente un’esigenza: Ci vorrebbe un amico. «Stare insieme a te è stata una partita, / va bene hai vinto tu, e tutto il resto è vita». È il marzo del 1984. Antonello pubblica il 45 giri Ci vorrebbe un amico: sul lato b è Notte prima degli esami. Riascoltando tutti e due i lati, non sembra proprio di essere negli Ottanta. E, al tempo stesso, se ne recuperano le atmosfere. L’epica racconta di quel verso “e tutto il resto è vita” derivato direttamente dall’espressione usata da Maurizio Costanzo ai tempi di Buon pomeriggio, trasmissione radiofonica nata nel 1970, primo grande successo di Costanzo assieme a Dina Luce. La citazione sarebbe finita nella canzone di Venditti al tempo in cui Simona Izzo lo aveva lasciato proprio per Maurizio Costanzo. Per la filologia la citazione esatta è “e il resto è vita” e pare fosse frase ricorrente di un cassiere di un bar frequentato da Costanzo, accanto agli studi della radio a Via Asiago in Roma. Antonello vorrebbe un amico nel caso più evidente delle necessità della mente: le pene d’amore. «Ma se penso che l’amore è darsi tutto dal profondo / in questa nostra storia sono io che vado a fondo. / Ci vorrebbe un amico / per poterti dimenticare, / ci vorrebbe un amico / per dimenticare il male, / ci vorrebbe un amico / qui per sempre al mio fianco, / ci vorrebbe un amico / nel dolore e nel rimpianto». È controtendenza, perché gli Ottanta vedono dilagare “È un mio amico!”. “Siamo amici!” vola ovunque come esibizione fallica del potere di poter telefonare per chiedere e ottenere. E questa catena di “Quello? Quello è un mio caro amico!” si rincorre tra sorrisi stentorei e abbracci esagerati, a favore di pubblico o telecamera. Ed è slogan a nascondere impotenza e insicurezze varie di rapporti immaginati ed immaginari, rigorosamente fondati sull’apparenza. L’amicizia deve essere sostanza: non può nascere in ambienti nei quali si accendono i riflettori ad illuminare personaggi (e non persone) animati da sentimentalismi (ben lontani dai sentimenti). Ci (ri)vorrebbe un amico.