Lev Grossman, l’Espresso 29/01/2016, 29 gennaio 2016
IN CALIFORNIA HANNO RIFATTO IL SOLE
Un silos di azoto liquido sul retro. Un capanno che si rivelerà pieno di gigantesche batterie a volano per immagazzinare l’energia. L’apparecchio, delle dimensioni di una casetta, ne assorbe così tanta che appena l’accendono è indispensabile sconnettersi dalla rete elettrica pubblica e collegarsi alla propria per evitare un blackout sull’intera contea di Orange, in California. L’apparecchio è un reattore sperimentale a fusione. È l’unico prodotto di una piccola azienda poco conosciuta, denominata Tri Alpha Energy, e quando funzionerà a dovere trasformerà il mondo in maniera tanto radicale quanto hanno fatto tutte le tecnologie nel secolo scorso. E tutto ciò accadrà ben prima di quanto possiate immaginare.
Questo non è l’unico reattore a fusione al mondo: ne esistono svariate decine nel pianeta, in fasi diverse di realizzazione. La maggior parte dei reattori è in corso di costruzione da parte di università, grandi corporation e governi nazionali. Il più grande di tutti, detto Iter (International Thermonuclear Experimental Reactor, reattore termonucleare internazionale sperimentale) è in corso di realizzazione nel sud della Francia a opera di un importante consorzio internazionale, con spese previste nell’ordine dei 20 miliardi di dollari e una data di consegna fissata al 2027. È risaputo che la ricerca sulla fusione richiede tempo, soldi e professionisti in grandi quantità.
Negli ultimi anni, però, è stato inaugurato un nuovo fronte per la ricerca. Molte startup hanno scelto di dedicarsi alla fusione. E adesso ci sono diverse aziende quasi sconosciute che ci stanno lavorando, finanziate da investitori determinati e amanti del rischio. Si tratta di aziende di cui la maggior parte delle persone non ha mai sentito parlare, come General Fusion, situata poco fuori Vancouver, e Helion Energy, ubicata a Redmond, nello stato di Washington. Tri Alpha mantiene un profilo talmente basso che fino a pochi mesi fa non aveva neppure un sito web. In compenso, la maggior parte delle persone ha sicuramente sentito parlare di chi investe in queste aziende: da Jeff Bezos a Peter Thiel, il cofondatore di Paypal; da Paul Allen, il cofondatore di Microsoft, a Goldman Sachs. L’obiettivo di tutti è una risorsa energetica a tal punto economica, pulita e abbondante da portare a un punto di flesso nella storia umana che non lascerà escluso nessun settore industriale, facendola finita con i combustibili fossili.
Michl Binderbauer, 46 anni, ricercatore di origine austriaca, è uno dei fondatori di Tri Alpha e al momento ne è Chief Technology Officer. Ha un dottorato di ricerca in fisica rilasciato dall’U.C. di Irvine. Tri Alpha è quasi certamente la meglio finanziata delle aziende private che si dedicano alla fusione: finora ha messo insieme centinaia di milioni di dollari, stando a quanto dichiara una fonte vicina all’azienda.
Spesso la fusione viene confusa con la fissione nucleare, che è il tipo di energia atomica della quale disponiamo già oggi, pur essendo le due completamente diverse. La fissione nucleare comporta la divisione degli atomi, grandi come quelli dell’uranio-235, in atomi più piccoli. Questo processo produce molta energia, ma ha anche molte conseguenze negative. L’uranio è una risorsa scarsa e limitata, e le centrali nucleari sono costose e pericolose; inoltre producono enormi quantità di scorie tossiche che restano pericolosamente radioattive per secoli.
La fusione nucleare è il processo opposto alla fissione: invece di separare atomi, mischia tra loro quelli più piccoli per formarne di più grandi. Anche questo processo sprigiona una quantità enorme di energia, in quanto una frazione della massa delle particelle coinvolte è convertita in energia (conformemente alla famosa formula di Einstein per la quale E=mc2). È così che splende il sole, un mastodontico reattore a fusione che comprime e fonde di continuo tra di loro nuclei di idrogeno in elementi più pesanti.
La fusione produce il triplo o il quadruplo dell’energia rispetto alla fissione nucleare. Il suo combustibile non è tossico, non è fossile e non è neppure particolarmente raro: servono elementi comuni come l’idrogeno, che è tra i più abbondanti nell’universo. Se qualcosa va storto, i reattori a fusione non si liquefano: si fermano e basta. Producono da pochissime scorie radioattive a quasi nessuna. Il sottoprodotto della fusione è l’elio, che potremo usare per gonfiare i palloncini per l’enorme festa che organizzeremo se mai funzionerà.
La battuta più in voga riguardo la fusione è che «mancano solo 30 anni per raggiungerla e così sarà per sempre». A renderla difficile è il fatto che i nuclei degli atomi non hanno una gran voglia di fondersi. Sono composti da protoni (e di solito anche da neutroni), e quindi sono carichi positivamente. I poli che hanno la stessa carica si respingono reciprocamente. È dunque necessario costringere gli atomi ad avvicinarsi gli uni agli altri e per riuscirci è necessario riscaldarli fino a quando si muovono così rapidamente da liberarsi degli elettroni e diventare una bizzarra nuvola di elettroni liberi e di nuclei nudi detta plasma. Se si riesce a scaldare davvero molto il plasma e/o lo si comprime con sufficiente forza, alcuni dei nuclei finiscono con lo sbattere gli uni contro gli altri con forza sufficiente a fondersi.
Il calore e la pressione necessari per questo processo sono estremi. In sostanza, si cerca di replicare le condizioni presenti al centro del sole, all’interno del quale la massa colossale - 330 mila volte quella della Terra - crea una pressione insopportabile e la temperatura arriva a 17 milioni di gradi centigradi. Di fatto, poiché la quantità di combustibile è così inferiore, la temperatura alla quale la fusione diventa fattibile sulla Terra parte da circa 100 milioni di gradi centigradi.
Tri Alpha è riuscita a realizzare un reattore sperimentale a fusione in tempi rapidi e con un piccolo budget. L’azienda può contare su un gruppo di consiglieri - tra i quali Burton Richter, vincitore del premio Nobel per la Fisica nel 1976, e Ronald Davidson, ex direttore dei laboratori per la fusione sia al Mit sia a Princeton - e Binderbauer ben ricorda come hanno reagito quando fu loro svelato il suo primo prototipo nel 2008. «Rimasero a bocca aperta. Iniziarono a esclamare: "Porca puttana! Questi tipi ci sono riusciti davvero? Non è possibile!". E poi, già entro agosto, ci trovammo risultati di livello mondiale. Quell’anno, in pratica, passammo da vedere la polvere a vedere dati fisici che mai nessun altro era riuscito a ottenere in modo migliore».
Il reattore di Tri Alpha è molto diverso dai torreggianti tokamak che dominano lo skyline della fusione. Immaginate qualcosa di simile a un gigantesco cannone che spara anelli di fumo, che in realtà sono anelli di plasma incandescente; e la "polvere da sparo" altro non è che una sequenza di 400 circuiti elettrici, regolati a 10 miliardesimi di secondo, che accelerano quell’anello di plasma a poco meno di un milione di chilometri l’ora.
Poi dovete tenere presente che ci sono davvero due cannoni, sistemati bocca contro bocca, che sparano i loro due plasmi l’uno contro l’altro. I due plasmi si scontrano a quella velocità e si fondono in una camera centrale, e la violenza della collisione riscalda ancor più i due plasmi combinati, portandoli a una temperatura superiore ai 10 milioni di gradi centigradi, formando un unico plasma tra i 70 e gli 80 centimetri di larghezza, con una forma più o meno simile a quella di un pallone da football con un foro centrale che lo percorre in tutta la sua lunghezza. E che ruota tranquillamente su se stesso sul posto.
Collocati intorno a quella camera centrale ci sono sei enormi iniettori di fasci neutri che sparano atomi di idrogeno ai margini della nuvola rotante per stabilizzarla e mantenerla incandescente. La nuvola genera un campo magnetico. Invece di applicare un campo magnetico dall’esterno, Tri Alpha quindi usa un fenomeno detto configurazione a campo inverso (Field Reversed Configuration) o Frc, nel quale è il plasma stesso a generare il campo magnetico che lo circoscrive. Binderbauer con orgoglio dice: «In pratica, nel giro di quaranta milionesimi di secondo da quando accendi appena il motore ti ritrovi questo Frc perfettamente stabile, che non si muove più in modo assiale, ma ruota su sé stesso».
L’apparecchio che orchestra e scatena tutta questa violenza di plasma contro plasma è simile a un mostro di 23 metri di lunghezza e 11 di larghezza, tempestato di quadranti e misuratori, con tubature d’acciaio che gli fuoriescono da ogni lato e grossi grovigli allentati di cavi neri spaghetto. Noto ufficialmente con il nome di C-2U, questo apparecchio è complicato in modo quasi farsesco: sembra più l’invenzione hollywoodiana di un reattore a fusione che non un reattore a fusione vero e proprio. Se ne sta confinato all’interno di una gigantesca sezione di un magazzino dell’edificio della Tri Alpha circondato da file e file di computer.
Stabilizzare il plasma è il pezzo più difficile da gestire di questo puzzle. Ma adesso Binderbauer pensa di esserci arrivato: a giugno il reattore si è dimostrato in grado di mantenere stabile il suo plasma per 5 millisecondi. Non si tratta di un tempo molto lungo, ma è un’eternità per i tempi della fusione, lungo a sufficienza per dimostrare che se qualcosa avesse potuto andare storto, sarebbe andato storto. Il reattore si è spento soltanto perché è rimasto senza energia: a bassa energia, e quindi con una stabilità leggermente inferiore, è andato avanti a funzionare per 12 millisecondi. «Adesso siamo padroni e maestri di questa tecnica. Adesso posso farla durare a piacere e mantenerla stabile al 100 per cento. Questa cosa ormai non cambierà più». Il gatto ormai è nel sacco. Tri Alpha ha domato il plasma.
Binderbauer spiega che la prossima mossa consisterà nello smontare l’attuale reattore di Tri Alpha e nel ricostruirne uno nuovo che riesca ad arrivare alle temperature necessarie. Egli sottolinea che gli acceleratori di particelle possono produrre temperature nell’ordine di migliaia di milioni di gradi. «Arrivare a temperature superiori non è così difficile», dice. «Sembra impossibile, perché si parla di miliardi di gradi, ma non è così impossibile. Si usa una tecnica molto simile a quella adoperata dai forni a microonde. Si tratta, infatti, di due principi assai simili».
Nel settore della fusione tutti condividono l’opinione secondo cui la trasformazione del pianeta grazie alla fusione ormai è imminente. Ho chiesto a Binderbauer in che termini crede di riuscire veramente ad assistere nell’arco della sua vita a una trasformazione di questo tipo a opera di un reattore a fusione, e la sua risposta è stata questa: «Sono molto fiducioso. E lo sono da un punto di vista scientifico. Adesso che siamo arrivati fino a qui, sappiamo che queste sono le fondamenta».
Binderbauer sa quello che accadrà quando la sua macchina raggiungerà i tre miliardi di gradi centigradi. E la teoria gli dice che una cosa del genere è possibile. Soltanto il rigore austriaco gli impedisce di lanciarsi in previsioni precise su quando accadrà tutto ciò. «Qualcuno dice che entro cinque anni avrà un reattore a fusione, ma io so che questo è impossibile. Non perché io sia pessimista: anch’io voglio arrivare a questo risultato e lavoriamo in questo senso quanto più rapidamente possibile, semplicemente so che occorreranno più di cinque anni. Ma non è neanche vero che "occorrono 30 anni e ne occorreranno sempre 30", come vuole la battuta. Non è così. Non posso dire una data precisa, ma penso che ci manchino appena tre-quattro anni prima di arrivare al punto in cui il rischio cambierà, e da rischio scientifico diventerà rischio ingegneristico. E di sicuro so che entro un decennio le cose matureranno e arriveranno al punto che si potranno muovere i primi passi anche dal punto di vista commerciale».
La fusione potrebbe alla fine rivelarsi appartenere a quel genere di grandi imprese umane - come il volo a motore e l’atterraggio sulla Luna - che sembrano impossibili fino al momento in cui qualcuno non le compie. Quanto meno, adesso moltissime persone brillanti ci stanno investendo soldi e carriera. Quanto a noi, potremmo averci già scommesso il pianeta.
Traduzione di Anna Bissanti