varie Il Sole 24 Ore 27/1/2016, 27 gennaio 2016
ARTICOLI DAL SOLE 24 ORE SULL’ACCORDO PADOAN-UE SULLE BANCHE
BEDA ROMANO, IL SOLE 24 ORE 27/1 –
Dopo una sfibrante trattativa di oltre cinque ore qui a Bruxelles, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e la commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager hanno trovato ieri in tarda serata un atteso accordo per alleggerire i bilanci delle banche italiane, oberate da circa 200 miliardi di euro di sofferenze. I dettagli tecnici dovevano ieri sera essere ancora messi a punto, in un contesto di mercato segnato da grande nervosismo.
Le parti, secondo il ministro, hanno trovato una intesa su «un meccanismo di garanzia che rappresenta uno strumento molto utile per la gestione delle sofferenze bancarie. È uno strumento che completa la scatola degli attrezzi italiani per gestire i crediti in sofferenza». Il meccanismo di garanzia della cartolarizzazione delle sofferenze bancarie - perché di questo si tratta - prevede particolari incentivi, ha aggiunto Padoan parlando alla stampa.
Da settimane, il governo sta negoziando con la Commissione forme di intervento pubblico per alleggerire i bilanci bancari dai crediti inesigibili. Secondo l’Autorità bancaria europea, le sofferenze pesano per il 17% del totale dei crediti concessi dagli istituti italiani (rispetto al 7% in Spagna, al 4% in Francia, al 3% in Germania). L’incontro era tutto focalizzato sul valore da dare alla garanzia pubblica che deve servire a invogliare gli investitori ad acquistare dalle banche i titoli deteriorati.
Molti dettagli dell’intesa non erano ancora noti ieri sera, erano ancora da mettere a punto. Ciò detto, in una dichiarazione scritta, la signora Vestager ha specificato che «il valore delle garanzie dipenderà dal prezzo di mercato, perché queste non devono costituire aiuto di Stato». La commissaria ha poi aggiunto: «Insieme ad altre riforme, già adottate o già previste dalle autorità italiane, l’accordo dovrebbe ulteriormente migliorare l’abilità delle banche di prestare all’economia reale».
Secondo le prime informazioni, le garanzie riguarderanno le tranches privilegiate delle attività cartolarizzate. Secondo la commissione le singole banche sarebbero chiamate a trasferire le sofferenze da cartolarizzare in speciali veicoli finanziari gestiti individualmente.
L’intesa prevede che Bruxelles monitori l’applicazione dell’intesa attraverso una entità terza indipendente. La Commissione aveva già dato il suo benestare all’intervento della mano pubblica, ma nelle trattative di ieri ha voluto assicurarsi che il nuovo meccanismo non crei distorsioni alla concorrenza, penalizzando gli istituti di credito che non godranno di questa facilitazione.
I nodi negoziati dalle parti sono stati almeno due: oltre al livello della garanzia sulle eventuali perdite dell’investitore che ha acquistato il titolo, anche il valore da dare ai crediti inesigibili nei bilanci bancari. Il meccanismo ha come obiettivo il trasferimento e la cartolarizzazione delle sofferenze per alleggerire i bilanci creditizi. L’intesa è giunta in un momento delicatissimo: da giorni i titoli bancari italiani sono oggetto di vendite in Borsa.
In queste settimane di trattative le autorità comunitarie sono state in parte sensibili al ragionamento italiano secondo il quale la lunga recessione economica che ha subito il Paese avrebbe dovuto indurre la Commissione europea a maggiore magnanimità nell’autorizzare l’intervento pubblico pur di liberare i bilanci bancari da pesanti sofferenze. Al tempo stesso, il settore bancario è tra i più competitivi in Europa, tanto che Bruxelles non può permettersi distorsioni alla concorrenza.
La crisi bancaria ha accelerato alla fine dell’anno scorso, quando il governo italiano ha deciso di ristrutturare quattro banche regionali, sull’orlo del fallimento: Banca delle Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti. La scelta di agire d’emblée è stata anche dettata dal cambio di regole europee. Dal 1° gennaio, l’intervento pubblico è possibile solo dopo che perdite sono state subite da azionisti e obbligazionisti.
Beda Romano
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IL SOLE 24 ORE 27/1 –
Gacs è l’acronimo di Garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, ovvero il meccanismo che, anche attraverso incentivi, permetterà di piazzare sul mercato i crediti deteriorati delle banche italiane in difficoltà. Questi non saranno trasferiti in un’unica bad bank, ma a entità separate e gestite individualmente. Le banche potranno beneficiare di una garanzia dello Stato sulle tranches senior degli asset messi in sicurezza. Le garanzie saranno valutate a prezzi di mercato e quindi non rappresentano aiuti di Stato
Lo snodo degli aiuti di Stato
Il prezzo della garanzia di Stato è appunto lo scoglio che ha diviso Roma da Bruxelles. La Commissione era nettamente contro un prezzo troppo basso, che avrebbe configurato la formazione di aiuti di Stato; le autorità italiane sottolineavano però che un prezzo alto avrebbe dissuaso eventuali compratori. La cosa sicura è che ci sarà una vigilanza stretta per evitare gli aiuti di Stato, tanto che la Commissione intende farsi aiutare da un’autorità di controllo (monitoring trustee) proprio per evitare che l’attuazione dello schema non contenga aiuti di Stato.
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ROSSELLA BOCCIARELLI, IL SOLE 24 ORE 27/1 –
Who’s afraid of the big bad bank? In tanti hanno ripensato alla vecchia filastrocca inglese, con la banca al posto del lupo, quando, ieri sera, ha rotto gli argini delle cinque ore consecutive la riunione tra il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e la commissaria Ue Margrethe Vestager per decidere i dettagli della “banca cattiva modello 2016” per le aziende di credito italiane. Poi, finalmente, a tarda sera la fumata bianca e l’annuncio del ministro dell’Economia sull’accordo raggiunto per i crediti deteriorati con la nascita del Gacs, ovvero Garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze.
In realtà, ciò di cui si è discusso è una forma davvero minimalista, soprattutto se si fa il raffronto con quanto è stato messo in atto, in epoche tutt’altro che lontane, dai nostri vicini di casa europei. L’oggetto del serrato dibattito, infatti, è soltanto una garanzia a pagamento fornita dal Tesoro, con la Cassa depositi e prestiti in veste di mera “agenzia”, per l’intermediario che la chiederà al momento della vendita dei crediti deteriorati a una società di gestione degli attivi.
La garanzia dello Stato, peraltro, dovrebbe trasformarsi in una copertura a indennizzo pieno (con fondi pubblici in uscita, quindi) solo nel momento in cui la società di gestione degli asset non fosse in condizione di valorizzarli. E questi fondi pubblici in uscita, in ogni caso, sarebbero stati già pagati, perché la garanzia pubblica ha un prezzo.
Il prezzo della garanzia di Stato è appunto lo scoglio che ha diviso Roma da Bruxelles. Se è troppo alto, nessuno vorrà acquistare la garanzia medesima, se è troppo basso, obietta la Ue, si entra nella fattispecie “aiuto di Stato”, con tutte le condizionalità che ne seguono, tanto per le banche quanto per i conti pubblici italiani. Di qui, l’impasse. Chi, ovviamente, non poteva che auspicare una soluzione rapida della trattativa, se non altro per farla finita con l’incertezza normativa, è il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli: «Io confido. Esamineremo i testi - ha dichiarato in mattinata- è una chance, una possibilità in più per le imprese bancarie che ogni banca giudicherà come impresa diversa da tutte le altre». La creazione di un bad bank del resto potrebbe favorire anche nuove aggregazioni o fusioni tra le banche, secondo il numero uno dell’associazione dei banchieri: «La dinamica societaria e la conclusione di una lunga trattativa che porterà ad una certezza del diritto - spiega Patuelli - favorirà la valutazione di ogni genere anche di aggregazioni e fusioni». Quanto allo stato di salute del sistema creditizio «tutte le autorità europee e italiane fanno una valutazione di solidità delle banche italiane e concordo con il direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, che ha aggiunto ieri che la solidità si basa su altri indicatori e non su quelli borsistici». In effetti, basta fare un po’ di confronti internazionali relativamente a tutto ciò che in questo momento presenta rischi elevati, nel mondo, per vedere che il sistema creditizio nazionale non ha motivo di temere: per esempio è abbastanza contenuta l’esposizione verso quei Paesi in via di sviluppo che oggi “traballano” per via del petrolio in picchiata e per un rallentamento nella crescita; così come è contenuta l’esposizione in prodotti derivati: all’attivo c’è un 5% del totale degli assets e al passivo c’è un 4,4% del totale delle passività mentre nel caso del sistema creditizio tedesco o francese queste percentuali sono pari a più del doppio, sia all’attivo che al passivo.
Ma ieri Patuelli è tornato anche sulle scarse capacità di comunicazione dell’organismo di vigilanza europeo diretto da Daniele Nouy. «Io credo - ha dichiarato - che un errore di comunicazione della Banca centrale europea nelle richieste di chiarimenti agli istituti italiani sicuramente c’è stato e c’è stata anche l’autocritica, quindi non ci sono dubbi in proposito» e ha comunque escluso l’esistenza di un attacco speculativo contro le banche italiane.
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ADRIANA CERRETELLI, IL SOLE 24 ORE 27/1 –
L’indecisionismo europeo sulla bad bank è finito. Dopo quasi un anno, il negoziato italiano con Bruxelles si è concluso con un accordo che fornisce gli strumenti per stabilizzare il sistema bancario italiano, liberandolo dalla zavorra dei crediti deteriorati. Peccato che nel frattempo il corto circuito avvenuto tra indecisiosimo e lunghezza negoziale abbia favorito un pesante deficit informativo nei confronti della pubblica opinione e sia costato carissimo alla nostra industria bancaria. La tempesta di Borsa, per l’ennesima volta, aveva messo anche a nudo la persistente vulnerabilità oltre che la gracile credibilità del sistema-Italia nelle sue molteplici articolazioni: politiche, economiche e finanziarie.
In queste settimane si sono sprecate le polemiche su un’Europa vecchia e abitudinaria, incapace della flessibilità di pensiero e di azione necessaria per cavalcare il futuro, prona a un doppiopesismo mentale che regolarmente la induce a privilegiare gli interessi dei Paesi più forti chiudendo gli occhi sulle tante loro magagne ma martellando senza pietà sulle innegabili lacune dei più deboli. Con un atteggiamento deleterio che spacca invece di ricucire le troppe divisioni intra-europee ed erode le fondamenta dell’integrazione.
Nell’analisi c’è del vero ma non la verità rivelata. Quando la Dg Concorrenza a Bruxelles si è arroccata sull’integralismo ideologico e ha bloccato il dossier dei crediti deteriorati italiani, oltre 200 miliardi, il 17% del totale, non ha fatto un buon servizio all’Italia ma soprattutto non all’Europa e all’eurozona. È sacrosanta infatti la disciplina Ue sugli aiuti di Stato come la severità nella tutela della concorrenza nel mercato unico. Ma è almeno altrettanto sacrosanta la stabilità finanziaria della terza economia dell’euro: un suo crack travolgerebbe inevitabilmente quella dell’eurozona. In ogni caso i due piani non possono entrare in rotta di collisione.
Tanto più quando sullo sfondo c’è un’unione bancaria europea alle prime armi e nata zoppa, senza il terzo pilastro, la garanzia comune sui depositi al di sotto dei 100mila euro, indispensabile per controllare il panico in coincidenza con l’entrata in vigore delle nuove regole di bail-in.
Ma se oggi manca il paracadute psicologico e fisico, è per il ben noto rifiuto dei Paesi del Nord, Germania in testa, a mutualizzare qualsiasi tipo di rischio in Europa.
Finanziario o sociale non importa. Come testimonia del resto anche l’incerto destino della proposta italiana, che il ministro Padoan ha difeso ieri al Parlamento europeo, per creare un euro-sussidio temporaneo a favore di chi perde il lavoro in seguito a crisi economiche cicliche.
In un’unione, monetaria o bancaria o fiscale, che pretenda di fregiarsi del nome, le carenze di tutti gli attori in campo vanno in qualche modo tra loro compensate. Se in Italia, complice il crollo del Pil e della produzione industriale dal 2008 in poi, le sofferenze bancarie sono salite alle stelle ma se, naturalmente anche per questo, la Germania chiude all’ammortizzatore europeo sui depositi in un sistema bancario che però si vuole integrato a supporto della stabilità della moneta unica, Bruxelles non ha potuto ignorare l’incongruenza: la Dg Concorrenza ha dovuto tenerne conto nel valutare ruolo e qualità di eventuali aiuti di Stato. E ha dovuto chiudere la partita senza più indugi perché ogni falla aperta nel sistema italiano è un pericolo per tutto il sistema europeo.
Se l’interdipendenza finanziaria in questo caso può darci una mano, quella stessa interdipendenza ci impone però precisi oneri, in primis massima responsabilità sul fronte debito: questione strutturale e non largamente ciclica come i cattivi crediti. Oggi i tassi bassi di interesse combinati con il generoso quantative easing della Bce ne facilitano la gestione ma non la riduzione, dal 133% al 60%, come da fiscal compact. E domani?
Per tagliarlo di 20 punti, bisognerebbe mantenere al 2,5% del Pil l’avanzo primario per i prossimi 10 anni. Per toccare il traguardo si dovrebbe salire al 4% annuo, dicono i calcoli di Bruxelles, che ritiene però irrealistica la seconda ipotesi. Ma avverte: «Una contrazione dello 0,5% della crescita nominale e un aumento dei tassi dell’1% si tradurrebbero in un incremento di 7 punti del debito italiano».
Sono questi i numeri della debolezza dell’Italia, gli stessi che spiegano le riluttanze europee a concederle piena flessibilità di bilancio, se non sotto stretta sorveglianza. Né il governo Renzi può sperare di trarre vantaggio dalla deriva anti-austerità di Portogallo e Spagna: se davvero incontenibile, non farebbe infatti che accelerare le crescenti tentazioni nordiche di un’Europa e di un euro a più velocità. Non la corsa verso un’Unione più “umana”, equilibrata e protesa collettivamente a carburare sviluppo e lavoro per tutti.
Non è facile farsene una ragione. Ma sarebbe suicida pretendere di ribaltare da soli una realtà europea che, per prestare orecchio alle nostre istanze, prima pretende di convivere con un’Italia con carte e cifre in piena regola. Dopodomani il vertice Renzi-Merkel a Berlino, c’è da giurarci, non farà che confermarlo.
Adriana Cerretelli
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CARLO BASTASIN, IL SOLE 24 ORE 27/1 –
Non poteva essere facile disegnare un compromesso tra Bruxelles e Roma sulla liquidazione dei crediti problematici delle banche italiane. L’incontro tra il ministro Padoan e la commissaria Vestager si è concluso infatti nella tarda serata di ieri.
Di fatto con il semplice annuncio che un accordo era stato raggiunto sulla base di una garanzia pubblica, sulle tranches senior dei crediti problematici, concessa a prezzi di mercato. Solo l’analisi approfondita dei dettagli dell’intesa rivelerà se si potrà parlare di una svolta decisiva per mettere al sicuro il sistema bancario italiano dopo i recenti episodi di eccezionale instabilità finanziaria. Per ora le prime indicazioni non si discostano dagli orientamenti emersi nei giorni scorsi che sotto diversi aspetti non sembravano del tutto convincenti.
Le condizioni di fragilità del sistema bancario sono apparse chiaramente all’inizio dell’anno. Ma da tempo il governo stava cercando di costruire uno schema che consentisse alle banche italiane di vendere i crediti deteriorati, che ammontano a circa 200 miliardi di euro, pesano sui bilanci e ostacolano la ripresa del credito all’economia. La Commissione europea era d’accordo, ma ha chiesto che la soluzione non comportasse sussidi né garanzie pubbliche fatte pagare alle banche meno del loro valore di mercato, perché ciò avrebbe creato uno svantaggio nella posizione competitiva delle altre banche. L’urgenza di ridurre l’instabilità finanziaria non è sembrata tra le prime preoccupazioni della commissaria.
L’incontro di ieri con il ministro Padoan ha dovuto dunque percorrere un sentiero impervio, cioè creare una garanzia “pubblica di mercato”, di fatto una garanzia dello Stato che non offre benefici. L’istituto adottato sarebbe una garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze (Gacs), neutrale rispetto al prezzo a cui ogni banca cederà i crediti problematici a nuove entità. L’aspettativa è che la garanzia pubblica e un meccanismo di tranches almeno agevolino la dismissione dei crediti. Ma senza un sostegno ai prezzi dei crediti deteriorati, le minusvalenze subite dalle banche nel corso della cessione dei crediti potrebbero mettere a nudo le difficoltà patrimoniali del sistema, anziché ridurle. La scelta di operare attraverso una garanzia diretta dello Stato sulle banche andrà dunque verificata perché potrebbe gravare su di essa una contraddizione: o non renderà conveniente per le banche la cessione dei prestiti problematici, oppure violerà la disciplina degli aiuti di Stato.
Per aggirare questa contraddizione non sono disponibili soluzioni semplici. È necessario operare su più livelli e attenuare l’opposizione di Bruxelles alle eventuali distorsioni di mercato causate dagli aiuti di stato. Uno studio pubblicato ieri dalla Sep (Luiss) per esempio ha proposto un meccanismo di “doppia garanzia” che consenta alle banche di cedere i crediti sofferenti a investitori specializzati con una propria garanzia e a prezzi di mercato sostenuti dal beneficio di una seconda garanzia (pubblica) che per la propria stessa esistenza finirebbe molto probabilmente per non essere mai attivata. Ma anche in tale schema, era necessario spiegare a Bruxelles che questa forma leggera di intervento di Stato sarebbe stata compatibile con la normativa europea, basandosi tra l’altro sull’art. 45 della Comunicazione sul settore bancario del 2013, che consente deroghe alla disciplina degli aiuti di Stato qualora un divieto metta in pericolo la stabilità finanziaria o determini risultati sproporzionati.
Quello che sta succedendo dall’inizio del 2016 infatti non deve essere sottovalutato nella sua natura sistemica così come nelle sue possibili conseguenze. Assomiglia a quello che è successo all’inizio della crisi globale nel 2007 e nella prima parte del 2008, anche se i suoi effetti si concentrano sul sistema bancario italiano. Condizioni macroeconomiche improvvisamente peggiorate in tutto il mondo hanno modificato il quadro in cui operavano diverse banche italiane. Lo shock si è concentrato sull’Italia perché la risoluzione di quattro piccole banche nel 2015 ha indirettamente contagiato le altre. Con l’entrata in vigore delle nuove normative a gennaio 2016 è diventato infatti chiaro che i costi di aggiustamento di un sistema carico di crediti problematici si sarebbero ingigantiti.
In un contesto così rischioso, bisognava considerare che anche se lo Stato garantisse l’intero gap di copertura delle sofferenze bancarie, l’Italia sarebbe uno dei Paesi che avrebbe meno aiutato le proprie banche dall’inizio della crisi. Meno della metà di Belgio e Spagna in rapporto al Pil, un quarto di Gran Bretagna, Francia e Germania, per non parlare di Olanda e Irlanda. La spiegazione del trattamento più rigoroso riservato agli aiuti di Stato dell’Italia è però che nuove regole sono entrate in vigore nel 2013 e nel 2016 e che le vecchie deroghe erano dovute a circostanze eccezionali che non avrebbero più ragione di esistere dopo sette anni. Come ha spiegato ieri Marco Onado, la recessione ha «colpito come una crisi biblica», ma il sistema ha retto tutto sommato bene a fronte di un crollo mai recuperato di dieci punti di Pil. È stato un errore procrastinare la pulizia delle banche, ma va considerata la fragilità del Paese negli anni passati in cui il mercato prevedeva un default sul debito sovrano. È stato un errore anche condurre accertamenti interminabili, fino a tre anni, su alcune banche per poi liquidarle a fine 2015 esponendo i rischi per gli obbligazionisti subordinati. Tutti gli errori del passato devono essere rimediati. Ma essere pragmatici significa cercare soluzioni prima che scompaiano anche quelle.
Carlo Bastasin
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R.BOC., IL SOLE 24 ORE 27/1 –
C’è la Bper tra le banche e i fondi, in tutto una decina, che hanno presentato una manifestazione d’interesse per le good bank nate dalla risoluzione di Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti e Carife.
In particolare, secondo quanto si è appreso ieri da fonti vicine alla Banca popolare dell’Emilia Romagna, Bper ha presentato un’offerta per la Nuova Carife. Gli altri nomi che circolano, secondo le prime indiscrezioni, sono quelli della banca Popolare di Bari e del Fondo Primus Capital , per quanto riguarda le altre proposte italiane. Ma una pattuglia più consistente di fondi chiusi esteri, secondo ambienti bancari, dovrebbe essere andata ad allungare l’elenco di quanti hanno mostrato l’intenzione di partecipare al processo che porterà alla cessione delle quattro good bank: si tratta dei fondi chiusi di investimento Oaktree, Apollo, Bc Partners, Lone Star, Blackstone.
Dal lato del venditore, ovviamente, non trapela nulla se non un’evidente soddisfazione: «Nella giornata di ieri - spiega infatti una nota diramata dopo lo spoglio delle candidature - come previsto dal bando recentemente apparso sulla stampa italiana ed internazionale, sono pervenute presso l’advisor finanziario le lettere per partecipare al processo che porterà alla cessione di Nuova Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A., Nuova Banca delle Marche S.p.A., Nuova Banca dell’Etruria e del Lazio S.p.A., Nuova Cassa di risparmio di Chieti S.p.A».
Questa prima fase, spiega ancora il comunicato, ha riguardato l’invito a manifestare interessi di natura preliminare e non vincolante da parte di potenziali investitori nelle banche e ha consentito una prima mappatura degli operatori nazionali e internazionali interessati «con esiti più che soddisfacenti».
I collaboratori di Roberto Nicastro comunicano inoltre che hanno potuto partecipare soggetti in possesso dei requisiti previsti dalle disposizioni nazionali e comunitarie in grado di garantire la continuità operativa ed economica delle good bank, nonchè la rapidità e l’efficienza nella realizzazione dell’acquisizione. In effetti era stata ipotizzata la possibilità di chiudere l’operazione di cessione delle banche finite in risoluzione entro il primo semestre dell’anno.
Nei prossimi giorni, dopo una prima selezione, le controparti che hanno espresso questo interesse preliminare riceveranno un primo documento descrittivo con una lettera di procedura: in tal modo l’iter di cessione, che secondo la Commissione Ue dovrà essere limitato a pochi mesi procederà in modo spedito verso la stretta finale. Verranno infatti chieste conferme di interesse più circostanziate che permetteranno il passaggio a una seconda selezione, in vista delle offerte non vincolanti. Le attività in vendita prevedono in maniera preferenziale la cessione in un unico blocco, ma verranno valutate attentamente anche possibili offerte separate per una o più delle good bank e delle loro partecipazioni non strategiche. Come si sa, gli acquirenti dovranno pagare in contanti una somma che si aggira intorno a 1,8 miliardi di euro che è la cifra immessa dal Fondo di Risoluzione per salvare le quattro banche locali. La questione contanti sembra strettamente connessa al fatto che il Fondo deve restituire nell’arco di 18 mesi un prestito- ponte di analogo importo a Unicredit, Intesa Sanpaolo e Ubi.
R.Boc.