Elmar Bergonzini, Pagina99 23/1/2016, 23 gennaio 2016
SI FA PRESTO A DIRE BUNDESLIGA
Il crollo del muro ancora rimbombava per le strade di Berlino, quel 15 novembre 1989. Mentre la Germania festeggiava e s’interrogava, c’era chi, come Reiner Calmund, non era né per strada né davanti alla tv. Reiner era già al lavoro. Manager del Bayer Leverkusen, andò subito a caccia dei migliori giocatori provenienti dal campionato della Ddr. Il 15 novembre del 1989 si trovava allo stadio durante l’amichevole fra Austria e Germania dell’Est. O meglio: era negli spogliatoi per trattare direttamente con i giocatori.
Quel 15 novembre, sei giorni dopo il muro, cominciò a cadere anche il calcio della Ddr. Il 16 novembre i contratti di campioni come Ulf Kirsten, Matthias Sammer e Andreas Thom vennero depositati. Il Leverkusen aveva anticipato tutti. Lo spogliatoio della nazionale della Ddr era stato violato: l’Ovest stava scippando all’Est i suoi campioni. Per tamponare la sindrome da shopping compulsivo del Bayer, ci volle Helmut Kohl. Il cancelliere parlò con i dirigenti del Leverkusen e spiegò loro che non era politicamente opportuno creare una squadra con i migliori talenti dell’Est. Il Bayer decise quindi di liberare Sammer, che andò poi allo Stoccarda, e successivamente all’Inter e al Borussia Dortmund, dove vinse perfino il Pallone d’oro.
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Nonostante l’intervento di Kohl, 26 anni dopo la caduta del muro il settore in cui il riallineamento dello stile di vita in Germania è riuscito meno (o addirittura per nulla) è proprio quello calcistico. Società come l’Hansa Rostock e l’Energie Cottbus sono ormai solo un ricordo in Bundesliga, e sono entrambe nella parte destra della classifica della terza serie. Dal Mar Baltico ai Monti Metalliferi, il massimo campionato si vede solo in televisione. Da ben sei anni. L’Hansa è la miglior squadra dell’Est dalla riunificazione dei campionati (1991-92) a oggi: ma nella classifica totale è solo al 18° posto, dietro squadre come Friburgo o Hannover.
Il motivo è presto detto: lo sport non è una realtà astratta dal mondo circostante; al contrario, spesso offre il sismografo più sensibile per rappresentare cambiamenti complessi, eliminando le mille sovrastrutture che complicano il quadro fino a renderlo illeggibile.
Lo strapotere calcistico della vecchia Germania occidentale riflette gli equilibri economici creati dalla riunificazione. Ventisei anni dopo la sbornia di quel 9 novembre, la ricchezza prodotta dalla Germania orientale resta di un terzo inferiore a quella dell’Ovest, come racconta un report del governo. A Est si continua a guadagnare un terzo in meno, e l’allineamento si è interrotto da anni. L’esodo di giovani qualificati è concausa ed effetto di questo differenziale: secondo un recente studio dell’Istituto di Berlino per la popolazione e lo sviluppo, due milioni di cittadini della vecchia Ddr (sui 14,5 complessivi) hanno scelto di stabilirsi a occidente. Come il Bayer Leverkusen ha capito di poter reclutare a cifre contenute campioni del calibro di Sammer, così le aziende della Germania occidentale hanno attratto con poco un capitale umano altamente qualificato, a tutto vantaggio di un modello economico fondato sull’export. Solo 20 dei 500 tedeschi più ricchi di Germania vivono nel territorio della vecchia Ddr, e di questi ben 14 abitano a Berlino. Il tutto malgrado la fotografia dei test Pisa per la valutazione internazionale degli allievi, secondo cui gli studenti dell’Est risultano più preparati di quelli dell’Ovest.
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Seppur con budget inferiori, le squadre dell’Est avevano vissuto qualche momento di gloria anche in Europa. Basti pensare alla Dinamo Dresda: due volte il suo cammino si è incrociato con quello di un’italiana, e in entrambi i casi hanno vinto i tedeschi. Nel 1973-74 eliminarono la Juventus dalla Coppa dei campioni, nel 1988-89 la Roma dalla Coppa Uefa con un doppio 2-0. Proprio quell’anno la Dinamo arrivò fino alla semifinale, dove uscì contro lo Stoccarda, a sua volta sconfitto in finale dal Napoli di Maradona. Nel 1990-91 raggiunse i quarti della Coppa Campioni, ma cadde nel duello con la Stella Rossa (che si laureò campione). Dopo il 3-0 dell’andata, la gara di ritorno venne interrotta al 78’ per le intemperanze dei tifosi tedeschi. La partita venne quindi vinta dagli jugoslavi per 3-0 a tavolino, mentre la Dinamo Dresda si vide squalificare per due anni dalle competizioni internazionali. La penitenza dura ancora oggi: il club non è più riuscito a entrare nelle competizioni europee, e quindi non l’ha mai scontata.
Oggi la Dinamo è in terza serie, dopo aver militato anche in categorie inferiori. Eppure intorno alla squadra si respira l’entusiasmo dei tempi migliori: l’anno scorso, agli ottavi di Coppa di Germania contro il Borussia Dortmund, lo stadio da 32 mila posti era tutto esaurito. Poco importa che la sconfitta fosse inevitabile e che in rosa non spicchino più giocatori come Sammer e Kirsten: nella vecchia Germania dell’Est c’è voglia di grande calcio, anche se i giganti sono tutti dell’Ovest.
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La riscossa dell’ex Ddr può arrivare dal Lipsia, leader in seconda serie. Acquistata dalla Red Bull, la squadra, che nel 2009 era ancora in 5ª divisione, è stata trasformata in una società commerciale. Basti il richiamo del nome: Rb-Lipsia. In Germania tolta l’eccezione Bayer Leverkusen – le squadre non possono chiamarsi come un’azienda. Scontrandosi con questo regolamento, la Red Bull ha deciso di coniare un nuovo termine, vale a dire Rasen-Ballsport (tradotto, “sport da palla su prato”), e anteporlo al nome della società, vale a dire Lipsia. L’acronimo di Rasenballsport è guarda caso R.B., rimando più che ovvio alla Red Bull. Anche il logo del club è stato modificato, e ricorda da vicino quello della multinazionale. Nella rosa del Lipsia figurano giocatori con una discreta esperienza come il portiere Fabio Coltorti, nel giro della nazionale svizzera, il 21enne Rani Khedira (fratello dello juventino Sami), e Davie Selke, capocannoniere degli Europei Under 19 nel 2014 e pagato otto milioni di euro. In panchina un mostro sacro come Ralf Rangnick, che vanta un passato allo Schalke. Gli occhi dei tifosi sono quindi puntati sul Lipsia, perché la promozione del club in Bundesliga sarebbe un evento storico. Come tutto ciò che concerne la riunificazione.
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Il 19 dicembre la Germania ha celebrato il 25° anniversario della prima partita giocata dalla nazionale congiunta. Era il 1990, l’avversario la Svizzera: «Quel giorno cominciò qualcosa di incredibilmente grande per me», ha raccontato a Kicker Matthias Sammer, l’unico giocatore dell’Est che venne schierato fra i titolari dal ct Berti Vogts. Non cantò l’inno nazionale, e fu subito polemica. «Fu un segno di rispetto per la nazionale della Ddr, della quale ero capitano», ha spiegato. Fu una partita storica anche per Andreas Thom, nato e cresciuto nella parte est di Berlino: entrò in campo al 74’ proprio al posto di Sammer, e dopo soli 25 secondi, al suo primo contatto col pallone, segnò il gol del 3-0 (finì 4-0). «Fu speciale, perché quella squadra aveva appena vinto il mondiale. Farne parte ci fece capire quanto le cose potessero cambiare», ricorda oggi. «Beckenbauer disse che quella nazionale per anni sarebbe stata invincibile, e noi dell’Est in quel periodo così ci sentivamo».
In un’intervista al sito della federcalcio, Sammer ha raccontato: «Vogts ci accusava di essere troppo chiusi. Una volta facemmo una passeggiata sulla spiaggia di Miami e gli parlai del nostro passato, della nostra infanzia. In quel momento Berti capì che nessuno di noi sarebbe mai stato aperto come lui desiderava».
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Uomo d’onore Sammer, al punto che fu uno dei pochi a dirsi disponibile il 12 settembre 1990 per l’ultima partita della Ddr. Eduard Geyer, allenatore della Germania dell’Est, ha raccontato nella sua autobiografia le difficoltà che ha affrontato per organizzare quell’ultima storica sfida, giocata a Bruxelles contro il Belgio: «Mi sembravo un cretino che supplicava i giocatori – ricorda –. Da Kirsten a Doll a Thom: tutti avevano una scusa pronta per darmi buca. Rainer Ernst mi disse di non avere le motivazioni per giocare con la nostra nazionale. Per fortuna Sammer accettò la convocazione». Alla fine in Belgio volarono solo 14 giocatori. In teoria era una partita valida per la qualificazione a Euro 1992, ma la riunificazione della Germania fece declassare quella sfida ad amichevole. Seppur storica. Anche perché proprio Sammer riuscì a segnare il 500° gol della Ddr. «Alla fine alcuni procuratori entrarono nei nostri spogliatoi per strappare un accordo con qualche giocatore. Fu una mancanza di rispetto, fu scandaloso», racconta Geyer.
L’ex laziale Doll l’ha vissuta in maniera diversa: «Finalmente avevamo libertà di movimento e di pensiero. Finalmente mia madre ha potuto riabbracciare i suoi parenti. Per tutto ciò che oggi possiedo devo ringraziare chi ha combattuto in quegli anni». Chi ha vissuto gli attimi in cui il Muro veniva abbattuto dice di ricordarne ancora il fragore, le grida delle persone e i loro volti. Oggi i bambini dell’Est che sognano un futuro in Bundesliga ascoltano questi racconti ma restano scettici. Loro il rumore non lo sentono. Anche perché nel calcio il Muro che divide Est e Ovest c’è ancora.