Marco Bellinazzo, Il Sole 24 Ore 27/1/2016, 27 gennaio 2016
DISTINGUERE LE FRODI DALLE PRASSI IRREGOLARI
Da “calcio malato” a “fuorigioco”, il Calcio italiano Spa precipita di nuovo sul banco degli imputati. L’inchiesta della Procura di Napoli avviata nel 2012 e chiusa ieri con una nuova tornata di perquisizioni e sequestri per presunti reati di evasione fiscale e false fatturazioni, vede indagate 64 persone tra cui l’ex presidente della Juventus Jean Claude Blanc, il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis, l’ad del Milan Adriano Galliani, il presidente della Lazio Claudio Lotito, l’agente di calciatori Alessandro Moggi e alcuni calciatori, come Ezequeil Lavezzi. Le indagini della Guardia di Finanza coordinate dal procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli si sono snodate tra intercettazioni telefoniche, verifiche contabili e rogatorie internazionali con Argentina e Uruguay svelando una fitta trama di flussi finanziari illeciti dipanatasi tra il 2009 e il 2013. Per evitare di gettare ulteriore discredito sul sistema calcistico tricolore bisognerebbe però distinguere due piani. Il primo attiene alle frodi perpetrate ai danni dell’Erario e ad eventuali pagamenti in nero, anche estero su estero o filtrati da schermi societari fittizi. Il secondo è quello della irregolare attribuzione dei costi di consulenti e procuratori e dei cosiddetti fringe benefits.
Non c’è dubbio che nella prima fattispecie la Procura e l’amministrazione finanziari abbiano il dovere di reprimere le condotte illecite scoperte. Al pari di altri paesi che hanno abolito il pregiudizio che il mondo del calcio sia una sorta di zona franca. Appena qualche giorno fa il centrocampista del Barcellona Javier Mascherano – senza dimenticare il processo a carico dei Messi, padre e figlio – è stato condannato in Spagna a un anno di carcere per evasione fiscale e in galera, condannato per lo stesso reato a 3 anni e mezzo di reclusione, ha passato sette mesi la leggenda del calcio tedesco e presidente del Bayern Monaco Uli Hoeness.
Il fenomeno delle “triangolazioni” di calciatori argentini e brasiliani fittiziamente tesserati per semi sconosciuti club dell’Uruguay poco prima del trasferimento in Europa per speculare sulle minori aliquote e su un regime bancario opaco è stato già scoperchiato anche dal Fisco argentino. A maggior ragione il nuovo assetto delle norme internazionali che favorirà lo scambio automatico dei dati finanziari porterà a un depotenziamento anche dei paradisi fiscali sportivi.
Discorso diverso andrebbe riservato invece alla questione del pagamento di somme indebite ai procuratori. Somme che cioè sarebbero per la Procura a tutti gli effetti quote dello stipendio degli atleti e che vengono fatte passare per emolumenti versati agli intermediari. I vantaggi fiscali per la società sono molteplici in quanto su queste la società risparmia la ritenuta Irpef, la deduce dall’imponibile (come costo inerente) e la detrae dall’Iva. Moltiplicati per tutti gli acquisti o i rinnovi contrattuali questi benefici possono indubbiamente avere effetti significativi sul bilancio. Ma prima di parlare di doping amministrativo si dovrebbe ragionare sul fatto che queste supposte irregolarità possono essere dolose ovvero derivare da un errata interpretazione normativa.
E in questa eventualità come accade (o dovrebbe accadere) per ogni altra tipologia di impresa si dovrebbe ritenere prevalente il carattere amministrativo dell’errore prima che quello penale. Lo stesso legislatore non è esente da colpe. Sulla problematica attribuzione di questo fringe benefit (la consulenza del procuratore pagata dal club) era stato raggiunto un compromesso reputando il 15% dell’importo comunque come ingaggio con annesso prelievo fiscale Irpef a carico dell’atleta. Ma questa norma introdotta dalla legge di stabilità 2015, non solo è stata scarsamente applicata, ma si è pensato bene di abolirla con la manovra finanziaria 2016.