Carlotta Magnanini, D, la Repubblica 23/1/2016, 23 gennaio 2016
FORTISSIMAMENTE VOLLEY
[Valentina Diouf]
La sentiresti passarti accanto anche a occhi chiusi, Valentina Diouf. Con un corpo lungo 2 metri e 2 centimetri per 89 chili, quando si muove sposta l’aria. Mentre ti tende la mano, attraversa lo studio fotografico, accavalla le gambe infinite o si butta su una sedia: dalla campionessa della pallavolo italiana soffia una brezza speciale. Molto diversa dai tornado che spara sul campo, la palla a 120 km all’ora, questa è profumata all’argan. Saranno i capelli, un’enorme nuvola afro anni 70, che sventola insieme a tutto il resto.
«E ora divertiti», dice Valentina provocando l’hairstylist del servizio di queste pagine, mentre quello affonda nelle chiome fino ai gomiti. È da poco che «fiocco di neve» (per la grazia con cui si deposita al suolo, dopo i salti) ha fatto pace con i suoi ricci. «Anche se devo farmi la maschera tutte le sere e lo shampoo un giorno sì e uno no», sbuffa. Ma è allenata: quando era piccola passava i pomeriggi a stirarseli con la piastra, guardando i cartoni di Mila e Shiro in tv.
Il gigante è la bambina partita a 15 anni da Settimo Milanese per farsi i muscoli a Roma (il debutto in A2 nel Club Italia, poi il Bergamo, oggi il Modena, dove milita per la LJ con la maglia 13): poi cambiando tre città, viaggiando il mondo con il suo trolley, arrivando in nazionale e ora spingendo al massimo e trattenendo il fiato per passare le selezioni che potrebbero condurre le 22 azzurre al sogno cerchiato (dopo il terzo posto al torneo europeo preolimpico, si deciderà tutto dal 19 maggio al mondiale per le qualificazioni in Giappone). Rio 2016 è il secondo grande appuntamento della sua carriera dopo i mondiali del 2014. Non andarono benissimo, l’Italia venne eliminata dalla Cina in semifinale, quello però «è stato l’anno in cui si sono accorti di me», dice.
Un po’ di più che “accorti”, in effetti. Da quando l’Italia ha ospitato i mondiali di volley, Diouf è diventata il fenomeno di uno sport che per numero di tesserati è secondo solo al calcio (373.705, secondo la Federvolley, di cui uno straordinario numero di donne: 288.312). Non solo per il modo in cui si muove, attacca e schiaccia sul campo: quest’atleta di appena 23 anni con il sorriso candido e lo smalto nero sulle unghie grandi, incredibilmente curate, è anche un punto di riferimento per le adolescenti, gli imperfetti, le eccezioni. «Lo sport è un buon modo per creare dei modelli e inviare messaggi che restano. Questa è vita reale, mica un reality o Facebook». Non lo dice in risposta a Francesca Piccinini. Un paio di mesi fa, la veterana della pallavolo accusò le giocatrici di nuova generazione di non avere rispetto per le “anziane”, fare troppi gruppi sui social network e troppo poco gruppo in squadra. La pallavolo offre un arco di tempo ampio in cui confrontarsi, puoi stare in campo fino a 40 anni, innescando vere rivalità generazionali che si riflettono nella canzone messa a palla dalle più giovani durante gli allenamenti,You’re from the 70’s but I’m a 90’s bitch.
«Be’ un po’ ha ragione», ammette Valentina, che è nata lo stesso giorno della “Picci”, il 10 gennaio, ma di 14 anni dopo. «Le ragazzine di adesso sono un po’ gasatelle, le vedi sempre incollate al telefonino. Io uso Twitter, ma pochissimo Facebook». Meno che zero per parlare di pallavolo. «Piuttosto di cinema, arte…».
La ragazza è un tipo curioso, che non passerebbe mai le sere a guardare le partite in tv. Magari esce e va al cinema, «almeno due sere la settimana. Bellissimo l’ultimo Star Wars». Si è emozionata accanto a Enzo Mari, premio Ambrogino d’oro come lei, nel 2014; più di recente con il presidente Sergio Mattarella (nel “selfie presidenziale” su Instagram ci sono lei e Cristina Chirichella, amica e compagna di squadra in Nazionale). Ha il pallino di Audrey Hepburn, dei gatti e dei film di Woody Allen. Di libri, ha «molto amato Caos calmo di Sandro Veronesi», e ne ha da poco scritto uno, Quando sarai grande (Mondadori), con il giornalista sportivo Andrea Schiavon: «Valentina rappresenta un nuovo tipo di sportiva e di popolarità», racconta lui. «Ieri c’erano le atlete che diventavano famose e andavano sui calendari sexy, lei è semplicemente una ragazza che ce l’ha fatta da sola, accettando tutte le sue diversità». Fino a diventare un simbolo, «la volley girl che fa muro contro il razzismo», la chiamano, testimonial perfetta per rappresentare il giovane talento (nella campagna Samsung #galaxygeneration) e anche paladina del fair play sul campo (ai Gazzetta Sports Award 2015 è stata premiata “Gentleman dell’anno”).
La vita di Valentina parte eccezionale: figlia di mamma milanese e papà senegalese, quando lui, Serigne, decide di trasferirsi negli Stati Uniti a lavorare, resta senza una figura paterna di riferimento e con la compagnia di un corpo che si allunga a dismisura, i piedi che le escono prima dal passeggino e poi dal letto. «All’asilo ero così alta che mi scambiavano per la maestra». Crescere di botto sette centimetri in una stagione è una discriminante maggiore, rispetto al colore della pelle in una città dove i figli degli immigrati non sono più un’eccezione. Ma nel suo caso è inevitabile non passare inosservata. «Nelle foto della comunione era più alta del nonno», ci racconta la madre Silvia, “la Viga”, una signora bionda che gira il mondo e lavora come grafica pubblicitaria, segue sue figlia dove può – e qui, negli studi di Porta Venezia, a venti minuti di metropolitana da Baggio, ha potuto. È uno dei punti fermi nel moto perpetuo di Valentina (oltre a nonna Maria e soprattutto al nonno Enrico, a cui era legatissima). «Credo di averle insegnato a scegliere con la sua testa», dice Silvia, e si illumina osservando la sua piccola che gioca alla modella. «Me lo consigliò una pediatra: non le dia una caramella, gliene metta davanti cinque e le dica di decidere quale avere. Una sola».
La scelta di giocare a pallavolo, con quell’altezza, è venuta quasi da sé. Il basket era fuori discussione: «Non sopporto che la gente mi stia addosso, il corpo a corpo», inorridisce Valentina. Prima aveva provato il pattinaggio, «ma le rotelle non mi divertivano». Così alle elementari si avvicina al volley e il primo coach, “Fede”, le trasmette l’amore per il gioco. «Le altre bambine della squadra tenevano sul diario le foto di Maurizia Cacciatori, di Eleonora Lo Bosco, si pettinavano e arrotolavano le magliette come loro. Io no. A me la pallavolo non piaceva guardarla, mi piaceva farla». Allora però «sembravo una giraffa, magra magra, pesavo 67 chili». Adesso si sente molto più sicura di sé: «Con il mio fisico, sono sicuramente avvantaggiata: in attacco, nel muro… Ma devo lavorare sulla difesa, che richiede più dinamicità», dice Valentina guardandosi le mani. Ha le capsule delle articolazioni rotte, per questo un altro dei suoi riti quotidiani – oltre alla maschera ai capelli e a all’acquisto yogurt senza lattosio e alimenti senza nichel, cui è intollerante - è incerottarsi ogni dito prima di prendere in mano la palla.
Oltre alla gente che ti sta addosso, un’altra cosa che Valentina detesta è il disordine. «Sono una fanatica della pulizia, una vera casalinga». L’appartamento che lustra è quello in cui vive a Modena con il giocatore di basket Maurizio Vorzillo, suo fidanzato da sei anni con cui condivide lo sport come professione e la passione «sperimentale» per la cucina e i fornelli. Si ritrovano a casa la sera, «dopo gli allenamenti. Siamo molto uniti, mi ha sempre sostenuto: essendo anche lui uno sportivo, capisce bene i miei sacrifici». Difficile fare la campionessa di pallavolo, quando hai vent’anni e una nuvola sulla testa, anche di pensieri. «Due allenamenti al giorno, le trasferte, i ritiri, festività non festeggiate…». Tipo l’ultimo Natale (Valentina lo chiama sempre «il “Venticinque”: fa meno tristezza»), trascorso in aereo verso Ankara per il torneo europeo di qualificazione ai giochi.
Certo che ci vorrebbe più tempo. Per gli amici, il ragazzo, lo shopping – impresa non facile trovare la taglia e le scarpe giuste, con il 46 di piede. «Una cosa che mi manca tantissimo è la vita universitaria, avrei voluto fare l’ingegnere petrolchimico, i processi di raffinazione mi affascinano tantissimo», dice, ed è seria. Dovesse decidere per il suo futuro, però, non avrebbe dubbi: la caramella da scartare sarebbe quella delle Olimpiadi. «Per dimostrare che non sono più una promessa, ma una giocatrice a tutti gli effetti». Tecnicamente, «il salto di qualità l’ha fatto», dice Marco Bonitta, l’allenatore della nazionale femminile. «Vale è intelligente, capisce subito la strategia di gioco. Ma le serve un ulteriore scatto in avanti. E deve imparare a essere più cinica».
Si emoziona spesso, Valentina. L’ultima volta che ha pianto non è stata sul campo, per la sconfitta subita dalle ragazze cinesi agli ultimi mondiali, come ha scritto in Quando sarai grande. In realtà «mi commuovo sempre. Specie davanti ai film», dice rovistando nella grande borsa in cerca di qualcosa, «Mamma hai visto il mio elastico per i capelli?».
È tardi, ora di andare a casa. «Povera ragazza», dice la Viga, «non si ferma mai. Ora le tocca guidare da sola fino a Modena, con la nebbia… Non la fanno mai riposare». Valentina le lancia un’occhiataccia. Così giovane e così abituata a pensare da sola a sé, a rompersi e riaggiustarsi le ossa, farsi i muscoli. Tira fuori dalla borsa due merendine. Quelle al cioccolato, con sopra le stelline bianche.