Dino Pesole, Il Sole 24 Ore 26/1/2016, 26 gennaio 2016
IL PERCORSO A OSTACOLI VERSO IL PAREGGIO DI BILANCIO
Non sarà un decimale in più o in meno di flessibilità a tracciare la strada per i conti pubblici italiani, da qui ai prossimi anni. Alla fine, se pur tra caveat di vario tipo che potrebbero investire anche parte dello “sconto” chiesto dall’Italia (è il caso della clausola migranti che vale 3,2 miliardi), è probabile che a maggio la legge di stabilità sarà “approvata” da Bruxelles. Il vero problema, come non manca di sottolineare il Rapporto sulla sostenibilità dei bilanci pubblici per il 2015, reso noto ieri dalla Commissione europeo, è il combinato di vincoli che l’Italia è chiamata a rispettare dal 2017 a causa di un debito pubblico che viaggia oltre il 130% del Pil. Già in febbraio vi potrebbe essere un richiamo formale, sotto forma di warning preventivo, nell’ambito delle procedure previste in caso di squilibri macroeconomici eccessivi. In sostanza, l’anticamera di una possibile procedura d’infrazione, cui bisognerebbe far fronte in tempi rapidi e che inibirebbe ogni possibile ulteriore spazio di manovra, secondo quanto previsto dal cosiddetto braccio preventivo del Patto di stabilità. L’appuntamento più rilevante si colloca tra maggio e giugno, quando la Commissione, dopo aver espresso il suo giudizio sulla legge di stabilità, dirà la sua con le rituali raccomandazioni sul nuovo scenario macroeconomico che il Governo avrà predisposto a fine aprile attraverso il Documento di economia e finanza, l’aggiornamento del Programma di stabilità e il nuovo Piano nazionale
di riforma.
La linea di Bruxelles è sostanzialmente questa: ora che sta per esaurirsi lo spazio di flessibilità di cui l’Italia ha chiesto di fruire soprattutto nell’anno in corso (un punto di Pil a beneficio della manovra 2016), si apre dal 2017 uno scenario in cui il «rischio per la sostenibilità» resta molto elevato. Il debito pubblico continua a rappresentare una delle principali fonti di vulnerabilità per l’economia italiana - sentenziano a Bruxelles - soprattutto perché la espone al rischio di possibili shock ingenerati dall’aumento della spesa per interessi, nel poco auspicabile scenario di nuove tensioni sui titoli sovrani. Rischi “potenziali”, certo, di cui occorrerà però tener conto, nonostante il debito pubblico sia previsto in leggera diminuzione a fine 2016. Da qui l’invito a mantenere l’avanzo primario strutturale costantemente attorno al 2,5% per i prossimi dieci anni, così da rispettare la regola del debito.
Per questo, il Def di aprile rappresenta un passaggio importante del confronto in atto con Bruxelles. Non è un caso se lo scorso 16 novembre, nel sospendere momentaneamente il giudizio sulla legge di stabilità, la Commissione Ue abbia posto particolare enfasi nel suo parere sul Draft Budgetary Plan sulla possibile «deviazione significativa» dall’aggiustamento richiesto per conseguire il pareggio di bilancio, ora fissato al 2018. Avanzo primario sostenuto e taglio del deficit strutturale sono due precondizioni decisive per garantire sostenibilità alla finanza pubblica. Una spending review finalmente in grado di ridisegnare il perimetro delle amministrazioni pubbliche, aprendo consistenti spazi finanziari da destinare alla riduzione della pressione fiscale, sarebbe certamente un atout importante per evitare procedure d’infrazione per eccesso di debito. Oltre alla variabile crescita, in sostanza il “denominatore” che garantirebbe la discesa del debito già quest’anno al 131,4% contro il 132,8% del 2015. Obiettivo non semplice da raggiungere, soprattutto se permarrà l’attuale quadro di bassa inflazione.
I conti pubblici italiani - replicano al Mef «non presentano rischi nel breve termine e sono in assoluto i più sostenibili di tutti nel lungo termine». E uno degli elementi di sostenibilità è certamente da ascrivere alla riforma delle pensioni, che viene non a caso evocata dai documenti più recenti della Commissione europea. Le osservazioni contenute nel rapporto sulla sostenibilità dei bilanci pubblici rendono tuttavia più impervio un percorso di finanza pubblica, che a partire dalla prossima primavera sarà dominato in prima battuta dalla necessità di individuare risorse per disinnescare 15 miliardi di clausole di salvaguardia nel 2017 e 20 miliardi nel 2018. L’attesa è per le raccomandazioni che la Commissione rivolgerà al nostro paese. Il venir meno della flessibilità europea, rende di fatto pressochè obbligato il taglio del deficit strutturale per almeno lo 0,5% l’anno, fino al raggiungimento del pareggio. Il margine di trattativa politica, una volta che il livello dei reciproci rapporti tornerà su un binario di confronto “normale” (dopo le dure polemiche delle scorse settimane), dovrà aprire varchi da questo punto di vista. In caso contrario gli spazi per politiche di sostegno della domanda si ridurranno drasticamente.