Alessandro Dell’Orto, Libero 24/1/2015, 24 gennaio 2015
Che stiate smanettando al pc, whatsappando sull’ i-Phone o touchscreenando su un tablet, dovreste ringraziare lui
Che stiate smanettando al pc, whatsappando sull’ i-Phone o touchscreenando su un tablet, dovreste ringraziare lui. Perché senza le sue intuizioni la tecnologia non sarebbe arrivata a questo punto in così poco tempo e ora non avremmo tanta facilità a comunicare, giocare, lavorare. Già, a cambiarci la vita informatica - e non solo - è stato Federico Faggin, 75 anni, vicentino emigrato negli Usa, inventore del microchip (nel ’71) e premiato direttamente da Obama nel 2010 con la Medaglia Nazionale per la Tecnologia e l’ Innovazione. Scienza e tecnica, ma non solo. Faggin, che ha brevettato anche il touchpad (’94) e il touchscreen, ora si occupa di coscienza. Un’ intervista su Skype dagli Usa, parlarsi e vedersi in diretta dall’ altra parte del mondo: Federico Faggin, senza di lei forse non sarebbe mai stato possibile. «Si riferisce al microchip? La ringrazio, ma penso solo di aver accelerato i tempi. Prima o poi qualcuno l’ avrebbe inventato, era nell’ aria». MICROCHIP MICROCHIP A proposito, togliamoci subito il dubbio. Cosa è un microprocessore? Proviamo a spiegarlo in parole semplici. «Non è altro che un computer ridotto in un chip di silicio con un volume inferiore a un centimetro cubo. Quando l’ ho messo a punto, nel 1971, è stata una svolta. Pensi che l’ UNIVAC I (Universal Automatic Computer I), il primo computer commercializzato nella storia nel 1951, occupava 100 metri quadrati, più o meno come un appartamento». Urca. Torniamo a lei, cervello italiano emigrato negli Usa. Come mai se ne è andato definitivamente? «I miei figli sono nati e cresciuti qui in California. E poi amo fare cose nuove e alla Silicon Valley è tutto più facile, ci sono più risorse economiche, se un progetto è valido te lo finanziano: pensi che solo nel 2015 sono stati investiti 30 miliardi di dollari. In Italia purtroppo i soldi per fare queste cose non ci sono». Già, come ci vede da laggiù? «Mi preoccupa che ci siano tanti giovani disoccupati. Non utilizzare l’ entusiasmo e l’ energie dei ragazzi è un peccato mortale, uno spreco con gravi conseguenze. Se un neo-laureato sta troppo tempo senza un impiego perde gli anni migliori e poi fa fatica a inserirsi nel mondo del lavoro». Allora che fare? «Io consiglio di cercare lavoro in Italia, ma se non lo si trova di andare all’ estero. Prima in Europa e poi eventualmente anche in America». Quindi non la spaventa la fuga dei cervelli? «Che male c’ è? Anzi, ben venga: ci si specializza altrove, si migliora e poi si può sempre tornare con un bagaglio di esperienza». O non tornare mai più come ha fatto lei. Di cosa si occupa ora? «Ho costituito con mia moglie la Federico and Elvia Faggin Foundation, organizzazione no-profit dedicata allo studio scientifico della consapevolezza, questione oggi considerata più filosofica che scientifica». Tradotto, lei si è chiesto se è possibile arrivare a un computer capace di avere sensazioni e sentimenti. Come e quando nasce questa idea? «Trent’ anni fa volevo creare un microprocessore che imparasse da solo, mi chiedevo se fosse realizzabile. Sono cresciuto con questo problema intellettuale». E ha trovato una risposta? «Dieci anni fa sono giunto alla conclusione che è impossibile dare i sentimenti a un computer: la vita non può essere imprigionata in algoritmi, una macchina non può compiere scelte veramente creative, ossia scelte che non sono contenute nelle variabili che ha già immagazzinato. La consapevolezza non è un algoritmo, è libertà d’ azione e questa è una proprietà solo degli esseri viventi». Scusi Faggin, ma qualcuno pensa ancora il contrario? «Alla Silicon Valley la maggior parte degli studiosi è tutt’ ora convinta che entro 30 anni avremo dei robot consapevoli. Io sono una voce fuori dal coro». Computer, microchip, algoritmi. Lei è un supertecnologico nella vita? Scusi, perché sorride? «Non sono il tipico nerd, se è questo che intende. E nemmeno fissato sulle ultime novità tecnologiche. Guardi, questo è il mio i-Phone: sono rimasto al 4. Le innovazioni vanno sfruttate, non sfoggiate».