varie, 23 gennaio 2016
PALLINATO SU MAURIZIO SARRI PER IL FOGLIO ROSA
Maurizio Sarri, nato a Napoli il 10 gennaio 1959. Allenatore di calcio, del Napoli. Una moglie, nessun figlio, alcuni amici omosessuali.
Nei minuti finale del quarto di finale di Coppa Italia contro l’Inter, martedì scorso al San Paolo, Sarri si è rivolto all’allenatore della squadra avversaria, Roberto Mancini, dandogli del «finoccio» e del «frocio». Ne è seguita una rissa con espulsione del tecnico nerazzurro. Per la cronaca, la partita è stata vinta dall’Inter per 2 a 0 [1].
Mancini si è poi presentato davanti alle telecamere per raccontare cosa era successo: «Mi sono alzato per chiedere al quarto uomo il motivo dei cinque minuti di recupero e Sarri mi ha dato del “frocio” e del “finocchio”. Io sarei orgoglioso di esserlo, se gli uomini sono come lui. Una persona di 60 anni non si comporta così. È una vergogna. Sarri è un razzista e gli uomini come lui non possono stare nel calcio. In Inghilterra non metterebbe mai più piede in campo» [2].
Il giudice sportivo Gianpaolo Tosel ha poi condannato Sarri a due giornate di squalifica e a 20mila euro di multa per «epiteti pesantemente insultanti», escludendo ogni tipo di discriminazione razziale per cui poteva scattare una squalifica di quattro mesi. Mancini è stato invece punito con un’ammenda di 5mila euro per aver «tenuto un atteggiamento intimidatorio nei confronti dell’allenatore avversario che l’aveva insultato» [3].
Guido De Carolis: «Al fondo resta un ragionamento di base non scritto dal giudice, ma implicito nel regolamento: Mancini non è omosessuale e quindi non poteva recepire l’insulto discriminatorio. È un po’ come se un calciatore bianco apostrofasse un altro bianco dicendogli “Sporco negro”. Che sia giusto o meno è tutto da discutere, al momento però le regole sono queste. “Certo è che il caso d’ora in avanti farà giurisprudenza”, ha rilevato l’avvocato Mattia Grassani» [3].
A fine partita e nei giorni successivi Sarri ha provato a difendersi così: «Mi ero innervosito, non ce l’avevo con Mancini. Non ricordo cosa ho detto... M’è scappata una parola. Posso avergli detto: democristiano o qualunque cosa»; «Siamo uomini di sport e certe cose dovrebbero finire lì»; «Ho provato a scusarmi dopo il match con Mancini, ha rifiutato le scuse e mi ha detto vergognati e vecchio cazzone, invitandomi a tornare in serie C»; «E comunque non ho 60 anni...»; «Non sono mai stato omofobo, avevo anche due amici gay che purtroppo sono scomparsi da poco»; «Sono favorevole al matrimonio e alle adozioni gay» [4].
Alberto Alessi, presidente della Democrazia cristiana nuova ha presentato alla procura di Palermo una querela per diffamazione nei confronti di Sarri [5].
Alla fine, venerdì scorso, Mancini ha accettato le scuse di Sarri davanti alle telecamere delle Iene. Speriamo che sia un buon esempio per tutti» [5].
Il 25 marzo 2014, quando era ancora in B sulla panchina dell’Empoli, Sarri sbottò dopo la sconfitta a Varese per l’espulsione di Mario Rui: «Il calcio è diventato uno sport per froci. In Italia si fischia molto di più che in Inghilterra, con interpretazioni da omosessuali». Allora se la cavò con una multa da 5mila euro, non per quanto detto ma per il dito medio rivolto alla tifoseria ospite [6].
Solo quattro giorni prima della partita con l’Inter Gaia Piccardi scriveva di Sarri: «In un mondo di allenatori incravattati, con la scarpa tirata a lucido e il nodo della sciarpa così volitivo da fare scuola (ogni riferimento a Roberto Mancini è puramente casuale), la tuta blu scuro che in 19 giornate di campionato ha scritto il romanzo del Napoli campione d’inverno guarda tutti dall’alto in basso con la stoffa un po’ molle sulle ginocchia (segno distintivo di chi si accuccia spesso a filo d’erba per osservare da una prospettiva orizzontale il pallone che rotola)» [7].
Famiglia di Figline Valdarno, vicino Rignano, Maurizio Sarri ha vissuto a Bagnoli fino all’età di tre anni. Il papà lavorava sulle gru e in quel periodo era di stanza a Napoli. «Faceva il gruista, quando le gru si azionavano da sopra, per la ditta che costruì l’Italsider a Bagnoli» [8].
Ha giocato come calciatore, difensore. «Tanto scarso non si può dire, se è vero che ho fatto provini con il Torino e con la Fiorentina, quando giocavo nella Figlinese. Soprannome: il Secco. Difensore, interventi da gladiatore, avrebbe scritto Brera (…) Giocavo nella Figline. A 19 anni mi voleva il Montevarchi, ma il Figline chiese 50 milioni: troppi. Arrivò il Pontedera, mi piccai e rifiutai: uno sbaglio, perché loro salirono in C1. Rimasi a Figline e mi spaccai tutto: addio carriera, ma non sarei andato lontano comunque. Non ho rimpianti» [9].
Ha lavorato in banca per alcuni anni. «Mi occupavo di finanza interbancaria per il Montepaschi, giravo l’Europa, in inglese mi facevo capire. Nel ’99 con l’euro lavorare nei cambi rendeva meno. Da allenatore, salendo di categoria, capivo che sarei riuscito a campare ugualmente, ma soprattutto non ne potevo più di andare in ufficio e di aspettare con impazienza di staccare alle 17 per andare sul campo. Quindi, stop» [8].
Beppe Di Corrado: «È quello che ha sempre la tuta, come abito da lavoro e da telecamera, perché non c’è differenza. Sarri la indossa con una polo sotto, come una divisa. Perché è una divisa. Di sé dice di essere uomo di campo e ciò spiega perfettamente perché della giacca e della cravatta non è che non gli import (…) E sì, Sarri ce le ha tutte: la provincia, l’aver cominciato dalla seconda categoria, l’aver fatto un altro lavoro, la cultura del sacrificio, Merckx, la nostalgia, la tuta. Perfetto per quel ritratto. Sbagliato. Perché Sarri è il contrario. Il suo calcio è scienza. Il suo calcio è preparazione, è un movimento da qui a lì in tot secondi e in quel momento» [10].
«Voglio una squadra con la faccia tosta, che se la gioca con tutti. Non sono uno che controlla i giocatori, il tempo libero è loro. Ma sanno fin dal primo giorno che con me o si va a mille all’ora o si sta fuori. Non penso di essere un sergente di ferro. Altrimenti non mi verrebbero a parlare, i giocatori, di problemi in famiglia e cose del genere» [8].
Per il suo compleanno, lo scorso 10 gennaio, Aurelio De Laurentiis gli ha regalato una bottiglia di Sangiovese, costo 800 euro. Marco Azzi: «Il Normal One, come lo chiamavano anche ai tempi di Empoli, i problemi non li crea: tendenzialmente li risolve. Ed è pure economico, come ha avuto modo di capire il suo nuovo presidente. Ci è mancato poco che il successore di Benitez firmasse in bianco, pur di catapultarsi con il pieno di entusiasmo nella sua bramata avventura napoletana. Stipendio netto di 700 mila euro: un quinto di quanto prendeva lo spagnolo Rafa e molto meno degli altri colleghi top della serie A» [11].
Fabio Monti: «Con la moglie, presenza discreta e cordiale, condivide tutto tranne il vizio delle sigarette (da qualche anno la signora ha smesso di fumare)» [12].
Buon lettore (Bukowski, Fante, Vargas Llosa). «Mi piace andare per biblioteche, annusare la carta, guardare le quarte di copertina. La musica non riesco ad amarla, ma senza libri non saprei stare» [9].
Scaramantico, veste spesso di nero perché pensa che porti fortuna [10].
Di sinistra. «Renzi mi pare uno che fa le stesse cose di Berlusconi, o quasi. Mio nonno era partigiano e mio padre operaio: come faccio a votare Renzi? Però neanche voto Movimento 5 Stelle: non ce la faccio» [9].
(a cura di Luca D’Ammando)
Note: [1] Matteo Brega e Gianluca Monti, La Gazzetta dello Sport 20/1; [2] Alessandro Pasini, Corriere della Sera 20/1; [3] Guido De Carolis, Corriere della Sera 22/1; [4] Marco Azzi, la Repubblica 21/1; [5] Sebastiano Vernazza, La Gazzetta dello Sport 23/1; [6] Guido De Carolis, Corriere della Sera 21/1; [7] Gaia Piccardi, Corriere della Sera 15/1; [8] Gianni Mura, la Repubblica 4/5/2015; [9] Andrea Scanzi, il Fatto Quotidiano 2/12/2014; [10] Beppe Di Corrado, Il Foglio 28/11/2014; [11] Marco Azzi, la Repubblica 12/1; [12] Fabio Monti, La Gazzetta dello Sport 7/6/2015.