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 2016  gennaio 20 Mercoledì calendario

ETTORE SCOLA, C’ERAVAMO TANTO AMATI


L’ironia: “A che ora è la rivoluzione, signora? Come si deve venire? Già mangiati?”. La cattiveria: “La faccia da mignotta ce l’hai, il fisico pure, non vedo perché non vuoi stà all’altezza della situazione”. I bilanci: “Il futuro è passato e noi non ce ne siamo neanche accorti”. Che ora è? L’ora di salutare Ettore Scola, volato via dopo 40 film e decine di sceneggiature, a 84 anni, lasciando dietro di sé l’ombra di un discreto appartamento a Roma Nord e molta luce filtrata attraverso le tante storie che seppero fotografare con umorismo e genio le debolezze, i caratteri, i cambiamenti, le miserie e il volto stesso di una comunità. Se avesse dovuto andare indietro con la memoria, ai momenti fondativi di una vita intera, Scola avrebbe giocato di sottrazione. Probabilmente convinto come il Vittorio Gassman de La Famiglia che i ricordi peggiori “sono quelli che ti fanno dire ‘era meglio prima’, una frase che non si dovrebbe dire mai”. Una frase da reazionari: “I conservatori rimpiangono solo le cose negative del passato”. Una frase che uno dei nostri registi più straordinari non avrebbe pronunciato.

A ETTORE SCOLA da Trevico, la nostalgia non piaceva. Piacevano le pause. I silenzi. E detestava al contrario ogni sovrastruttura, ogni pretesa di ammantare il suo lavoro di un’aura sacra. “Abbiamo parlato di tutto per non parlar di niente”, avrebbe detto Scola se si fosse trovato costretto a ripercorrere le tante tappe che lo avevano portato ad accumulare Palme d’oro e nomination all’Oscar. Di lucidare i premi non aveva voglia: “Non li metto proprio da nessuna parte, li regalo agli amici che me li chiedono, mi fa sentire meno vecchio” perché immaginare era più interessante che compiacersi. Che ci si trovasse in Africa sulle tracce di un amico misteriosamente scomparso o nelle baracche suburbane di una Roma spietata e di retroguardia, lo sguardo di Scola, il suo segno, si intuiva subito. Erano bozzetti definitivi. Disegni con un tratto estremamente riconoscibile. Piccole storie ignobili che lasciavano dentro una promessa di identificazione. Non a caso forse, Scola aveva iniziato al Marc’Aurelio: “Un giornale satirico che è stato un’importante palestra per molti come me. Finita la scuola correvo in redazione e cominciava un’altra vita, i pezzi, la tipografia, i ritmi e gli orari diversi, in una parola, la libertà. Potevo dare sfogo alla mia grande passione: il disegno. Forse è l’unica cosa che so fare davvero. Ho sempre disegnato”. Il disegno era invenzione. Sintesi folgorante. Proiezione. Con le frasi a effetto, fin dai diciotto anni, Scola aveva dimostrato di saperci fare. Creò il primo slogan dell’Eni: “Il cane a sei zampe amico fedele dell’uomo a quattro ruote” e poi guidò da solo rifornendosi dalla realtà perché come si suggeriva in Concorrenza sleale: “O si ha il coraggio delle proprie idee o è meglio non averne”.

SCOLA NE AVEVA avute tante fin da ragazzo e quelle idee, idee del valore de Il Sorpasso, di Un americano a Roma o di Io la conoscevo bene, erano diventate sogni, visioni e sofferenze strettamente legate all’evoluzione selvatica di un Paese cresciuto troppo in fretta. Sangue e merda: “Perché il sangue fa il corso suo”, e “L’odore rimane, anche quando pensi di aver pulito e aver fatto sparire tutte le tracce”. Erano apologhi sulla cialtroneria, sulla disperazione, sulla solitudine, sul coraggio impossibile, sulla società intellettuale fissata in controluce sulle terrazze e derisa decenni prima che Paolo Sorrentino – guardando anche a Scola – tornasse sul luogo del delitto. Ora Scola non c’è più e anche le verità e i giudizi: “Abbiamo sottovalutato un sacco di fattori che hanno concorso a mettercelo nel chiccherone”, i volti degli attori e le ammissioni amare: “La nostra generazione ha fatto veramente schifo” cambiano di segno per entrare in una dimensione differente. Eravamo Brutti, sporchi e cattivi e Scola, come nessuno, ce lo disse abrutto muso. Con lui abbiamo riso. Abbiamo pianto. Abbiamo sentito l’odore dei ristoranti di un’epoca lontana: “Un’altra mezza porzione, abbondante mi raccomando!” e ora rimaniamo con un pasto nudo, un piatto vuoto, senza più regine né re. Con il trono vuoto e lo scettro smarrito perché quelli come Scola nascono una volta ogni cinquant’anni.