Fabrizio Salvio, SportWeek 16/1/2016, 16 gennaio 2016
LA PARTITA DI PAP
Chissà se, a distanza di un quarto di secolo, gli psicologi italiani la pensano ancora allo stesso modo: i calciatori sono polli d’allevamento e – ed è il punto che qui ci interessa – padri generalmente inaffidabili, perché superficiali e immaturi.
Risale al ’92 lo studio della federazione dei dottori della mente, giunti a conclusioni tanto nette e implacabili quanto, probabilmente, frettolose e generiche. Non fu mai spiegato infatti quali fossero stati i metodi di indagine – se un test, un questionario, dei disegnini –, quanti calciatori fossero stati esaminati e a quale campionato appartenessero: perché tra Serie A e LegaPro (allora C) cambia non solo la categoria, ma anche lo stipendio e, di conseguenza, il tenore di vita e forse lo stile educativo.
Certo è che oggi, forse perché il luogo comune calciatore=immaturo resiste ancora, chi tira calci a un pallone fa di tutto per mostrarsi padre presente e attento, affannandosi a comunicare al mondo il proprio orgoglio genitoriale attraverso foto, tweet, messaggini tanto teneri da apparire, quelli sì, infantili. L’ultima immagine in ordine di tempo è quella del cuscino con il nome “Leopoldo Mattia” postato su Twitter da Gigi Buffon e Ilaria D’Amico, genitori del neonato. E chissà cosa si inventeranno Francesco Totti e Ilary Blasi quando, a marzo, nascerà il loro terzo bambino dopo Cristian e Chanel.
IL CIUCCIO DI ALBERTINI
In campo, poi, dopo un gol è un susseguirsi di scenette dedicate ai figli: le braccia dondolate a mo’ di culla (a memoria, Bebeto fu il primo, al Mondiale ’94), i “ciucci” finti (il pollicione di Totti infilato in bocca) e veri (Tevez, tirato fuori dai pantaloncini dopo un gol al Milan), i baci soffiati con plateali gesti della mano alla famiglia adorante in tribuna, fino ai pancioni mimati nelle occasioni in cui si è in attesa del lieto evento. Lo stesso Tevez, sempre a corredo di un’esultanza, abbozzò un balletto che ribattezzò “robot”, spiegando – poi – che era un gioco che faceva con sua figlia. Gilardino si è spinto fino a tatuarsi Peppa Pig all’interno del braccio sinistro in omaggio alle figlie.
«Ai miei tempi noi calciatori eravamo consumatori mediatici, ora siamo diventati protagonisti e produttori della comunicazione», spiega Demetrio Albertini, ex centrocampista del Milan stellare di Sacchi e Capello, ritiratosi nel 2005. «Detto questo, se nel 2000 avessi vinto l’Europeo con la Nazionale, mi sarei presentato davanti alle telecamere con un ciuccio appeso sul collo: avevo appena saputo da mia moglie che sarei diventato padre per la prima volta».
Federico, il primogenito, è nato a febbraio dell’anno seguente e da quel momento, e poi ancora con Costanza, venuta alla luce nel 2004, Albertini si è concentrato come padre soprattutto su un compito: convincere i figli a non considerarsi privilegiati. «O meglio, sapere di esserlo senza farlo pesare agli altri. Non sopporterei se fossero classisti, voglio che stiano con tutti come ho sempre fatto io. Per esempio: quando il Milan ha vinto la sua ultima Champions, nel 2007, ho portato Federico in piazza Duomo a vedere la squadra sfilare sul bus scoperto come un qualsiasi tifoso. Prima ancora, devi essere un padre presente, sforzandoti di apparire come tutti gli altri: io ho sempre partecipato alle feste scolastiche dei miei figli. E sarei stato contento se avesse fatto il calciatore, ma sono più contento ancora che abbia scelto la scherma: può vivere lo sport senza l’ansia del paragone con suo padre».
Vale ancora per un calciatore la regola dello sposarsi presto, come suggerivano un tempo i club per evitare che i propri tesserati cadessero in tentazione nelle troppe serate libere? «Io mi sono sposato a 25 anni, neanche giovanissimo, dato che molti colleghi salgono all’altare appena ventenni».
È il caso di Luigi Sepe, portiere della Fiorentina, che ha fatto di più: a 24 anni è già padre di 2 bambini, Giuseppe di 5 anni e Diego di 1. Pentito? «Macché. Quando ero ragazzo dicevo a mia madre: a 20 anni voglio diventare papà. Lei mi prendeva per pazzo, ma alla fine ho pure anticipato i tempi, dato che Giuseppe l’ho avuto a 19. Poi tra altri 10 farò il terzo, come Buffon e Totti. Il problema, per modo di dire, è di Anna Laura, mia moglie: è lei, a 22 anni, a doversi smazzare i figli tutto il giorno. Da buona napoletana i figli se li cresce da sola».
«Ma è bellissimo essere padri così giovani: con Giuseppe ho quasi un rapporto da amico. Se ho mai rimpianto di non essere in ritiro pur di non sentirli piangere di notte? I miei hanno sempre mangiato e dormito. A proposito: è bellissimo dormire tutti e quattro nel lettone. Lo so, è sbagliato, ma abbiamo abituato il primo e non potevamo escludere il secondo. Ora loro due stanno in mezzo e io e mia moglie rannicchiati ai bordi, ma non mi lamento. Quando a volte mi ritrovo solo in casa, dico: e adesso che faccio?». E i privilegi di cui sopra? «Sono figlio di operaio, conosco la vita reale. È vero, ai miei figli posso regalare tutti i completini firmati che voglio, ma con mia moglie siamo d’accordo che, quando li smettono, vanno in beneficenza».
RAGAZZI PADRI
Più giovani di Sepe sono Daniele Baselli e Marco Benassi, centrocampisti del Torino: insieme non arrivano a 50 anni, ma sono già genitori rispettivamente di Natalie e Alessandro. «Diventare padre ti cambia la vita: non è una frase fatta, è la pura realtà», confida il primo. Classe 1992, la sua bambina compirà 2 anni a ottobre, ma come papà si sente già maturato: «Con la nascita di Natalie mi sono accorto di aver fatto il passo: dall’essere un ragazzo a diventare uomo». Anche papà Benassi, che ha due anni in meno del compagno, si è accorto della differenza: «Da quando sono diventato padre vedo il mondo con occhi diversi». Nella sfida sul quotidiano il campione coi pannolini è Baselli («Ero già esperto prima che nascesse Natalie: ho una sorella molto più giovane di me e quando c’era bisogno aiutavo mia mamma a cambiarla»), anche se il più allenato è Benassi: «Alessandro è vivace e curioso: oltre alle corse con i compagni devo pure marcare stretto lui».
Perché, si sa, i figli cambiano la vita: «Mi piaceva pescare», racconta Baselli, «ma da quando è nata la bambina ho smesso». Daniele Gastaldello ha fatto di più: per “colpa” di Pietro e Sofia, 4 e 2 anni, ha messo da parte otto anni di Sampdoria per trasferirsi al Bologna, più vicino alla “sua” Reschigliano: «Non mi piaceva che crescessero distanti dai nonni».
FAMIGLIE EXTRA LARGE
I figli cambiano la vita, specie quando ne metti insieme 5 come ha fatto il portiere del Napoli Pepe Reina, primatista assoluto tra i 190 papà della Serie A, quanti ne abbiamo calcolati prendendo in considerazione i 15 giocatori più importanti di ciascuna delle 20 squadre del campionato. Papà come Maurito Icardi, che a 23 anni ancora da compiere si ritrova a crescere 4 figli, uno – l’ultimo arrivato – suo e gli altri concepiti dalla compagna Wanda Nara, con l’ex marito Maxi Lopez, guarda caso collega di Icardi. Una storia, quella della relazione tra il centravanti argentino e la ex modella di lui più anziana e che per lui ha lasciato Lopez, che ha fatto storcere il naso a molti. A cominciare da Diego Maradona, che così apostrofò Maurito: «Ha giocato a fare l’amico, poi ha rubato la donna a un compagno». Incurante del giudizio altrui, Icardi si è calato alla perfezione nel ruolo del padre modello: «Passo molto tempo coi bambini», ha raccontato a SportWeek. «Mi alzo di notte se hanno bisogno, seguo i più grandi nei loro primi passi nel mondo del calcio. Mi chiedono consiglio, sono felice di essere un punto di riferimento».
L’altra faccia della medaglia, nel dorato mondo dei divi del pallone, è rappresentata dall’abitudine a cambiare città, con tutte le relative conseguenze sulla vita pratica ed emotiva dei figli. Che, quanto più sono piccoli, tanto più risentono dei cambiamenti di residenza, scuola, amicizie. D’altra parte, però, sono sempre più i calciatori che, rispetto al passato, si portano dietro la famiglia quando cambiano squadra. Anche quando la nuova squadra è all’estero. Fu il caso di Alessandro Del Piero quando lasciò la Juve per Sydney: «L’Australia ha rappresentato una nuova vita, uno spartiacque per me e i miei figli. In Italia mi è impossibile non essere Del Piero fuori dalle quattro mura di casa: nel mio nuovo mondo cercavo normalità, e l’ho trovata. La passeggiata al parco coi miei figli mi ha aiutato a ritrovare una dimensione di padre che non conoscevo». Più di recente, Alberto Aquilani, per esempio, ha spiegato di aver scelto lo Sporting e Lisbona «per far conoscere ai miei figli una realtà diversa».
IL POKER DI DENIS
German Denis, centravanti dell’Atalanta, di figli ne ha 4. E, almeno in una circostanza, sottrarsi al loro abbraccio può diventare un sollievo. «Matias, 13 anni, è il mio critico numero uno: se gioco una brutta partita me lo fa notare e non mi lascia in pace. Julian, invece, ne ha 6 e chiede: “Papà, perché oggi non hai fatto gol?”». Per fortuna dell’attaccante nerazzurro, Benjamin ha solo un anno, Malena 9, ma è la seconda donna di casa dopo mamma Natalia «ed è la più tranquilla». Quattro figli per uno dei papà più indaffarati della Serie A: «Non conto più le volte che sono arrivato all’allenamento con due ore di sonno. Viziati? Niente affatto. Sono un padre giocherellone, ma anche severo: se prendono un’insufficienza a scuola o fanno i capricci, mi basta uno sguardo per rimetterli in riga». Alla fine, il problema vero è spiegare ai figli perché, proprio al sabato e alla domenica, non ci sei: «Quando vede che sto mettendo la tuta del Bologna per andare in ritiro, Pietro mi dice: “Papi, ma devi sempre andare alla partita? Non puoi stare qui con me?”», racconta Gastaldello. Una domanda cui nessun calciatore sa trovare una risposta convincente.
(Hanno collaborato Mattia Bazzoni e Stefano Rosso)