Paolo Condò, SportWeek 16/1/2016, 16 gennaio 2016
DONNE (DI SPORT) CHE ODIANO LE DONNE
I campioni sono diversi, e l’ultima a ricordarcelo – in una bella intervista al Pais firmata da Boris Izaguirre – è Garbine Muguruza, la tennista spagnola numero 3 al mondo, sulla via degli Australian Open che iniziano lunedì. Garbine è diventata famosa al grande pubblico nello scorso torneo di Wimbledon, dove arrivò in finale partendo dalla testa di serie numero 20, e trovando ad attenderla Serena Williams. Il suo idolo di sempre. «Riflettei a lungo sul fatto che stavo per vivere il momento per il quale avevo lavorato tanto fin da bambina, ma quando mi trovai in campo non c’era in me alcuna dolcezza nei confronti di Serena. Non era più il poster nella mia cameretta. Era la mia avversaria».
Il concetto, in apparenza banale, acquista spessore nelle parole successive. Garbine disegna infatti un mondo, quello del tennis femminile («i maschi sono diversi, stanno assieme con maggiore facilità»), segnato dalla ferocia della rivalità. «Le ragazze della mia età pensano che io viva in un film, ignare di un lato negativo che esiste sempre. L’amicizia, per esempio, è un sentimento che mi è praticamente precluso: passi troppo tempo lontano da casa per curare un rapporto con persone esterne al tuo mondo professionale. Dovresti fraternizzare con le altre tenniste, ma è impossibile: non puoi metterti a chiacchierare amabilmente con una ragazza che il giorno dopo affronterai in campo. Non sarebbe naturale. La verità è che fra noi letteralmente ci odiamo, e se qualcuna sostiene il contrario, beh, è una bugiarda».
È un discorso forte – l’odio come stella polare della competizione – ma tutt’altro che insolito nello sport d’élite. Il campione è un maschio alfa, segna il suo territorio usando l’intimidazione e la superiorità psicologica per tenere a bada gli aspiranti alla successione; se possiamo adorarlo è perché non ci troviamo mai sulla sua strada, altrimenti ci costringerebbe a cambiare opinione. Finché non succede, possiamo tifare per lui a cuor leggero. Valentino Rossi è il maschio alfa per eccellenza della MotoGP, e non ha ottenuto il ruolo spargendo petali di rosa sulle traiettorie degli avversari. La stessa ribellione di Marc Marquez, fatta nei modi di un adolescente in cui il talento corre molto più veloce della maturità, è la solare certificazione di una realtà: il livello top non è un livello da bravi ragazzi, e in cima alla catena alimentare c’è un solo posto. E quindi è già molto se fra rivali si riesce a mantenere una correttezza di fondo, perché l’istinto di competere richiede altri sentimenti.
È il modo di pensare che desideriamo per i nostri figli? La domanda è lecita, pensando alla quantità di genitori che si accapigliano a bordo campo – qualsiasi campo, basta sia sportivo – spingendo il loro ragazzo verso una gloria, economica ma non solo, che è un’urgenza innanzitutto loro. Ma ci sono dei prezzi da pagare, sempre. Ed è bene saperlo.