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 2016  gennaio 17 Domenica calendario

IL NOME CHE MANCA NELLA LISTA

Robert Bob Levinson, il cittadino americano tenuto più a lungo in ostaggio, non è entrato nello scambio. Semplice e complicato al tempo stesso: perché ufficialmente nessuno sa dove sia. Gli iraniani hanno promesso agli Usa che cercheranno ancora. Eppure di tempo ne hanno avuto, visto che le ultime tracce si perdono sull’isola di Kish, Golfo Persico, nel 2007. Un intrigo che ne chiude molti altri, una delle ombre nei rapporti bilaterali.
Intanto c’è il passato. Levinson, 67 anni, ha lavorato con la Dea e l’Fbi, ha seguito trafficanti di droga, mafiosi dell’Est, contrabbandieri, riciclatori. Un uomo esperto, prezioso, al quale non vogliono rinunciare quando se ne va in pensione. E qui si apre la prima casella. Anne Jablonski, funzionaria della Cia delle Divisione Crimine, lo ingaggia in modo poco ortodosso: se ne vuole servire, ma gli chiede di non avere mai contatti con gli uffici amministrativi dell’agenzia. Lei penserà a tutto, dagli ordini alle coperture, è intenzionata a usare la competenza di Bob sul campo. La missione arriva presto. Levinson stabilisce un contatto con un personaggio da romanzo, ambiguo, sfuggente: l’americano David Belfield, alias Dawud Salahuddin, ricercato dagli Stati Uniti per l’uccisione di un esulo iraniano nel 1980. Da anni vive in Iran, ha buoni agganci e la faccia tosta di recitare nel famoso film Kandahar . Possibile che la Cia pensi ad una manovra per catturarlo o a reclutarlo, solo che nella trappola ci resta Levinson.
L’ex agente raggiunge Kish e scompare. Washington indaga, offre una ricompensa di 5 milioni di dollari, bussa a tutte le porte, anche in Vaticano. Non ne cavano nulla. Gli iraniani negano di averlo arrestato, giurano di essere all’oscuro del suo destino. Il sospetto, invece, è che lo tengano per scambiarlo con un alto esponente dei pasdaran, il generale Alì Reza Asghari svanito durante un viaggio a Istanbul, forse finito in America dove avrebbe ottenuto asilo. Altri dicono sia in Israele o in Germania. La famiglia Levinson in angoscia deve tacere, aspetta. Nel 2010 e nel 2011 riceve finalmente dei segnali. Un video, foto che lo ritraggono in catene e con la tuta arancione, delle email. Bob è disperato, si appella ai suoi. Per l’intelligence il filmato è un tentativo di allontanare i sospetti da Teheran.
La moglie si muove, con sua sorpresa scopre il legame con la Cia che le versa una somma consistente perché mantenga il segreto. Accetta, la storia rimane sepolta fino al 2013, quando l’ Associated Press racconta tutto. L’agenzia sapeva i dettagli da tre anni ma non li ha pubblicati su pressione dell’amministrazione che stava indagando. Il caso esplode, diversi funzionari della Cia sono puniti, tre perdono il posto, sulla sorte di Levinson non si fanno progressi. Una nostra fonte sostiene che avrebbero cercato di eseguire il test del Dna su un campione recuperato attraverso un cammino tortuoso, forse solo una voce nell’intrigo del prigioniero misterioso.