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 2016  gennaio 15 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - NUOVA DISCESA DELLE BORSE


REPUBBLICA.IT
MILANO - Ore 17. Seduta pesante per le Borse del Vecchio continente strette tra i timori cinesi e la debolezza di Wall Street che perde il 2,4% zavorrando tutti i principali listini globali: Piazza Affari cade del 3%, Londra cede l’1,8%, mentre Francoforte cede il 2,5% e Parigi il 2,2%. A preoccupare investitori ed economisti è soprattutto la crescita cinese: lo dimostrano i continui crolli della Borsa di Shanghai che anche oggi ha lasciato sul parterre il 3,55% portando il saldo dai massimi di dicembre a -20%. Per gli addetti ai lavori il listino cinese è entrato in una fase recessiva.
Non aiutano i mercati neppure i dati macroeconomici pubblicati oggi (leggi l’agenda dei mercati) negli Stati Uniti dove l’indice Empire, che misura l’attività manifatturiera dello stato di New York, è sceso a gennaio ai livelli delle recessione, facendo molto peggio delle attese (l’indice è calato a -19,37 punti dai 6,21 di dicembre, mentre l’attesa era a -4 punti). In linea con le attese, ma sempre in calo, i prezzi alla produzione scesi a dicembre dello 0,2% mensile, ma a spaventare sono soprattutto le vendite al dettaglio che il mese scorso sono calate dello 0,1% rispetto a novembre attestandosi a 448,1 miliardi di dollari. Su base annua sono salite del 2,1%, ma gli analisti restano scettici sulla solidità della ripresa, anche perché la produzione industriale è calata dello 0,4% (-0,2% l’attesa). A gennaio, infine, sale oltre le attese la fiducia del Michigan, che arriva a quota 93,3 punti.
La prima conseguenza del profluvio di dati è il calo sotto quota 30 dollari al barile del prezzo del petrolio: il Wti scambia a 29,77 dollari, dopo un minimo dal 2003 di 29,61 dollari e i future sul Brent arretrano a 29,93 dollari, dopo un minimo dal 2004 di 29,73 dollari. A complicare la situazione è l’attesa del ritorno sul mercato del greggio iraniano con la fine delle sanzioni. Sempre più probabile che - a questo punto - l’Opec (il cartello dei paesi produttori di petrolio) decida di convocare una riunione straordinaria a marzo.
Il calo del greggio mette in crisi anche la Russia: "L’andamento del petrolio crea seri rischi alla gestione del bilancio" dice il premier, Dimitri Medvedev. D’altra parte l’oro nero rappresenta con il gas oltre la metà delle entrate di bilancio della Russia e Mosca ha già annunciato la sua intenzione di tagliare del 10% la spesa pubblica. La Borsa è crollata del 5%. A livello globale, il prezzo del greggio rallenta anche la ripresa dell’inflazione complicando in qualche modo i piani della grandi banche centrali mondiali. Gli investitori a questo punto scommettono che, dopo il primo rialzo dei tassi in 9 anni a dicembre scorso, la Federal Reserve non abbia alcuna fretta di stringere la cinghia.
Le Borse come detto non riescono a interpretare con chiarezza la mole di segnali in arrivo dall’economia globale e continuano a muoversi all’insegna della volatilità tra pesanti strappi al ribasso e tentativi di rimbalzo. L’euro è in rialzo a 1,0881 dollari. Contro lo yen la moneta unica passa di mano a 128,10. Lo spread è stabile in area 98 punti base, mentre i Btp a 10 anni sul mercato secondario rendono l’1,54%. Sotto i riflettori ancora il comparto dell’auto: dopo le indagini su Renault e le accuse a Fiat di aver manipolato i dati sulle vendite, oggi sono usciti i dati sulle vendite in Europa nel 2015, quando sono cresciute del 9,2%.
Questa mattina, l’indice Nikkei della Borsa di Tokyo ha chiuso con una perdita dello 0,54%, appesantito da un cambio di direzione dello yen. Alla chiusura
degli scambi, l’indice di riferimento dei 225 principali titoli registrava un calo di 93,84 punti, chiudendo a 17.147,11. Il Nikkei ha perso il 3,1% sulla settimana e il 9,91% dall’inizio dell’anno, il peggiore avvio borsistico dal 1949, con una sola seduta positiva su nove sessioni.

CORRIERE.IT
Il prezzo del petrolio, tornato sotto i 30 dollari, fa crollare le Borse europee. Due giorni fa il premier russo Dmitri Medvedev lo aveva detto: «Prepararsi al peggio se con il petrolio va avanti così». E il peggio sembra essere in arrivo: l’indice Rts della Borsa di Mosca perde il 6,18%, mentre l’indice Micex fa registrare una flessione di quasi il 5% scendendo sotto i 1.600 punti per la prima volta dal luglio del 2015. A picco anche il rublo che sprofonda ai minimi storici contro il dollaro statunitense: il cambio dollaro/rublo è pari a 77,60, mentre il cross euro/rublo si attesta a 85 sfiorando i massimi del dicembre 2014 toccati a 88. Le vendite stanno interessando l’intera Europa: i listini del Vecchio Continente perdono mediamente il 2,8% (Stoxx 600): a Milano, dopo una raffica di sospensioni al ribasso e l’indice Ftse Mib in calo del 3%, c’è stato un leggero recupero fino a -2,5%. Tra i titoli, da segnalare la pressione su tutte le azioni del paniere principale da Finmeccanica e Yoox che arretrano di oltre il 5%, al settore banche con Mps che è la peggiore (-5,5%). L’unico titolo sulla parità è quello di Italcementi (+0,29 a 10,22 euro) in vista dell’Opa di HeidelbergCement di 10,60 euro per azione. Londra scende del 2,21%, penalizzata dai minerari, con Bhp che perde il 6,3%, Parigi arretra del 2,24%, con Renault a -3%, dopo aver ceduto ieri oltre il 10%. Francoforte scende di circa il 3%.

LASTAMPA.IT
Giornata di forti vendite sui mercati mondiali, con un nuovo brusco scivolone della Borsa di Shanghai e un nuovo tonfo del petrolio che trascinano con sé anche l’Europa.



A pesare sul Vecchio Continente, oltre al pessimo andamento del mercato cinese, anche il prezzo del petrolio che in mattinata è tornato sotto la soglia dei 30 dollari al barile. Incerto il settore auto dopo il giovedì nero di ieri. Nel pomeriggio, complice un nuovo scivolone del prezzo del greggio - sceso sotto i 29,30 dollari al barile - le principali piazze europee sono tutte in deciso ribasso, con il Dax di Francoforte che cede il 2,5% e Piazza Affari che arriva a perdere il 3%. Schianta Mosca: -6,18%. Il prezzo del petrolio pesa anche su Wall Street, che fa segnare un avvio in netto calo. Il Dow Jones perde l’1,68% a 16.102,31 punti, il Nasdaq cede il 3,23% a 4.464,81 punti mentre lo S&P 500 lascia sul terreno l’1,48% a 1.895 punti.
Al termine delle contrattazioni in Cina l’indice Shanghai Composite ha perso il 3,55%. A pesare sul mercato cinese è il ritorno dei timori circa l’efficacia delle misure messe in campo dal governo di Pechino per stimolare l’economia e frenare l’emorragia di liquidità dal mercato azionario. Dai massimi di dicembre l’indice di Shanghai ha perso circa il 20%



Limita i danni Tokio, con l’indice Nikkei in calo dello 0,54% a fine seduta. Andamento negativo anche ad Hong Kong, che paga i timori sul mercato cinese e va in scia a Shanghai. L’indice Hang Seng cede l’1,50%. Dalle vendite si salva Taiwan, con l’indice della borsa locale che chiude in territorio positivo con un guadagno dello 0,25%.

LASTAMPA.IT
FRANCESCO SPINI


Non dà segni di arresto la lunga discesa del greggio iniziata con il raffreddamento della domanda globale - complice il rallentamento dell’economia cinese e dei Paesi emergenti - e con il contemporaneo ampliarsi dell’offerta, aggravata dal braccio di ferro ingaggiato dall’Arabia Saudita contro i nuovi produttori americani. Dopo un tentato rimbalzo, ieri il greggio è perfino sceso sotto i 30 dollari al barile, ai minimi dal 2004. Cosa comporta questo? Al distributore il prezzo del carburante comincia a calare, ma le tasse frenano gli effetti dovuti alla materia prima. Nei viaggi ci saranno biglietti meno cari, ma prima le compagnie devono smaltire le riserve di cherosene. Nel frattempo l’inflazione rischia di scendere nuovamente e i produttori di petrolio tremano.









CARBURANTI - Ancora troppo alto il pieno di benzina
ANSA

Stando alle associazioni dei consumatori, siamo alle solite. «Le quotazioni del petrolio scendono vistosamente, i prezzi dei carburanti no», lamentano Federconsumatori e Adusbef. Secondo le due associazioni (in virtù di un cambio euro-dollaro meno forte, l’aumento delle accise e dell’Iva rispetto al 2009, quando il greggio stava allo stesso livello e il carburante costava 1,13 euro) la benzina è di 6 centesimi più cara di quanto dovrebbe. Negli ultimi giorni le compagnie hanno ridotto a più riprese il costo dei carburanti. Ma le manovre sono limitate da una tassazione «monstre», che tra accise e Iva grava per il 69% sul prezzo della benzina e per il 68% su quello del gasolio. Secondo Nomisma Energia lo spazio per ulteriori tagli c’è. Il prezzo medio al dettaglio della benzina è di 1,429 euro al litro, superiore di 1,4 centesimi al prezzo ottimale calcolato da Nomisma. In media un litro di gasolio costa 1,248 euro al litro, 3,6 centesimi in più dell’equilibrio migliore.





VIAGGI - Voli meno cari ma a scoppio ritardato
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Chi viaggia molto lo spera: col petrolio così basso viaggiare costerà molto meno. «Tanto più - spiega Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia - che il cherosene è sottoposto a una tassazione inferiore agli altri carburanti». Perché allora il prezzo dei biglietti non cala? Da Alitalia rispondono che «come tutte le compagnie» anche loro acquistano il carburante «con molti mesi di anticipo». Nel 2014 Alitalia «aveva opzionato per il 2015, a quotazioni di allora, gran parte della quantità di carburante per il 2015». Per questo «i benefici della diminuzione del prezzo del carburante matureranno soprattutto a partire dal 2016».





INFLAZIONE - I prezzi più bassi aiutano i consumi
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C’è chi ricorda il rischio che un petrolio a quota 30 dollari o meno potrebbe ridestare il fenomeno della deflazione, con prezzi che diminuiscono anziché crescere. «Se la gente ha pochi soldi in tasca come nel 2009 e rinvia gli acquisti al futuro si genera una deflazione preoccupante. In questo caso - spiega l’economista Francesco Daveri - il calo del petrolio contiene i prezzi che però contribuiscono al rilancio dei consumi». E comunque, avverte, l’inflazione «core», legata ai servizi, resta ancorata all’1%, lontana da aree di pericolo. Di certo un’inflazione che resta bassa non aiuta i Paesi più indebitati come l’Italia.





LAVORO - Le major dell’oro nero licenziano
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La prima reazione è stata quella della Bp. La compagnia inglese ha annunciato che taglierà 4 mila posti di lavoro nel settore dell’esplorazione e della produzione di greggio nei prossimi 2 anni. Si rischia una forte emorragia di lavoratori anche negli Stati Uniti dove in bilico c’è la miriade di società che negli anni passati ha investito una montagna di dollari per estrarre il petrolio dagli scisti argillosi. Un settore che, se il prezzo si manterrà basso ancora per lungo, rischia il crac. Anche molte compagnie tradizionali stanno riducendo gli investimenti. La brasiliana Petrobras, di qui al 2019 li ha tagliati di 32 miliardi di dollari.





STATI - Un vantaggio per l’Europa solo se resta stabile
REUTERS

Chi perde e chi guadagna tra gli stati alle prese col nuovo mini-dollaro? La situazione, a sentire gli economisti, va letta in chiaroscuro. A tremare sono i grandi produttori del mondo: dal cartello dell’Opec, che comincia a ragionare su un taglio della produzione, fino alla Russia, che si ritrova a dover correre ai ripari. Il suo bilancio pubblico è «sostenibile con i prezzi del petrolio a 82 dollari al barile», ha detto il ministro delle Finanze Anton Siluanov che si prepara a tagliare la spesa. Al contrario per «i paesi manifatturieri come la Germania e l’Italia il petrolio basso è una buona notizia - dice l’economista Daveri - a patto che resti stabile almeno per un po’». Col Giappone, aggiunge Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, l’Italia è tra i Paesi più dipendenti dall’import di idrocarburi che nella bilancia dei pagamenti sono passati da «70 miliardi del 2011 ai 30 di quest’anno». Per gli Usa il petrolio low-cost ha due facce. Tremano i produttori locali, ma i consumi interni vengono spinti al rialzo.

ILSOLE24ORE.COM
Wall Street ha chiuso ieri con un forte rimbalzo. Ma questa mattina le Borse europee hanno snobbato i guadagni degli Usa e, soprattutto, le motivazioni che hanno spinto ieri sera la Borsa americana a salire. Il presidente della Federal Reserve di Sant Louis, James Bullard, ha messo in dubbio i prossimi rialzi dei tassi (a quello effettuato lo scorso dicembre quest’anno stando alle previsioni dovrebbero seguirne 3-4 nel tentativo di normalizzare la politica monetaria da parte degli Usa). Le prospettive di inflazione dovrebbero essere riviste ancora una volta al ribasso, il che non giustificherebbe ulteriori strette da parte della Banca centrale statunitense.
Una prospettiva che tecnicamente dovrebbe continuare a favorire le asset class più rischiose - come le azioni - che beneficiano (come peraltro è accaduto dal 2009 al 2015) dei tassi bassi (visto che le obbligazioni risultano meno competitive in termini di rendimenti offerti). Per questo per qualche ora è tornato il buon umore a Wall Street con gli investitori che hanno provato a dimenticare gli attuali crucci: ovvero il petrolio ai minimi da 12 anni (ormai sotto i 30 dollari al barile e secondo molte banche d’affari diretto a quota 20), il rallentamento dell’economia globale (di cui il calo del petrolio è parzialmente un riflesso) e soprattutto dei Paesi emergenti, i quali devono fare i conti con la bolla dei bond aziendali considerato che molte imprese dell’area hanno in pancia molto debito in dollari, debito che ora costa di più dato che il dollaro si sta rivalutando su scala globale dall’estate 2014, da quando è pure partito il ribasso del petrolio che da allora ha perso oltre il 70% del proprio valore.

La Borsa cinese questa mattina ha chiuso con un ribasso superiore al 3% portando a -20% il parziale da inizio anno e perdendo la soglia - questo per gli amanti dell’analisi tecnica - che delimita la fase rialzista di medio-periodo da quella che invece aprirebbe la strada a nuovi ribassi.

E le Borse europee? Situate - non solo geograficamente - in mezzo tra le Borse asiatiche e quella americana stanno vivendo un’altra giornata di forte stress e stanno per archiviare con questa seconda settimana del 2016 il peggior avvio d’anno dal 1999. La verità è che gli investitori in questo momento non sanno che pesci prendere. I rendimenti dei titoli di Stato dell’area euro sono praticamente nulli, se non negativi su scadenze anche fino a 5 anni (come nel caso dei Bund). I mercati azionari europei sono tornati ai livelli di 12 mesi fa e hanno ormai vanificato la ventata d’ottimismo portata dal primo quantitative easing della storia nell’area euro. Tra le Borse dell’area, quella di Francoforte - sempre per gli amanti dell’analisi tecnica - viaggia al di sotto del supporto che delimita la soglia rialzista di lungo periodo. Insomma il quadro è fosco, estremamente complicato. Il tutto mentre alcune banche d’affari - tra cui anche chi “vede” il petrolio a 20 dollari - indica che a questi prezzi le azioni europee sarebbero da acquistare.

Anche tra gli analisti si sente ormai tutto e il contrario di tutto. E per un investitore evoluto, così come per un piccolo risparmiatore, è davvero complicato in questa fase decidere cosa fare della propria liquidità (che sta anche aumentando per via del fatto che molti risparmiatori, dopo l’avvio da gennaio delle nuove regole sul bail-in bancario in Italia, stanno ritirando una parte dei risparmi dai conti correnti).

Alcuni operatori stanno consigliando di acquistare oro, considerate le sue caratteristiche di bene rifugio, ignorando o dimenticando che però l’oro è quotato in dollari e (come tutte le materie prime quotate in dollari) soffre di una pressione al ribasso in caso di rivalutazioni del dollaro (e il biglietto verde viene visto ancora in rialzo per via del fatto che la Banca centrale degli Usa ha smesso di stampare denaro a differenza delle altre principali banche che proseguono nella fase espansionistica per continuare a svalutare le rispettive divise e dare più linfa alle rispettive economia). Dimenticando anche che l’oro è un ottimo asset in caso di inflazione ma quando l’inflazione non c’è e all’orizzonte se ne intravede davvero poca perde parte di questa natura difensiva.

Altri gestori invece - probabilmente tra i più seri in questo momento - consigliano invece di restare liquidi, ovvero di attendere che la tempesta in atto passi. In attesa che il quadro sia più chiaro. A tal punto da consentire all’investitore di avere un maggiore controllo sul proprio portafoglio. Controllo che è impossibile mantenere nell’attualità fase di elevata volatilità.

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