Paolo Bottazzini, Pagina99 9/1/2016, 9 gennaio 2016
QUANTO COSTA LA CASA BIANCA
Chi è Wagner? Per molti sarà un musicista tedesco riconducibile alla colonna sonora di Apocalypse Now, ai lager e alle battute di Woody Allen. Una cerchia più ristretta di melomani conoscerà le sue opere e ne amerà ogni nota. Per una nicchia ancora più circoscritta di analisti politici, invece, questo nome non ha nulla da spartire con le rivoluzioni armoniche del romanticismo ottocentesco e con i teatri lirici, ma evoca un personaggio che ha prodotto uno sconvolgimento non meno dirompente nell’ambito delle campagne elettorali. Dan Wagner infatti è stato il capo degli analisti di dati per Barack Obama nel 2008 e nel 2012: il suo lavoro è alla base di entrambe le vittorie del presidente.
La conquista del consenso elettorale ha cambiato la sua struttura di fondo, e non passa più attraverso la dominazione brutale dei mass media: la conoscenza di dettaglio degli interlocutori, fino al limite ideale della comunicazione personalizzata uno per uno, è diventata la chiave di volta del successo politico.
Le tecniche di analisi, i cosiddetti Big Data, sono progredite in fretta anche rispetto alle modalità operative delle ultime due campagne elettorali. Quando Wagner è stato contattato da Eric Schmidt, presidente di Google, ha dovuto ammettere che i modelli di calcolo per la corsa di Obama erano prodotti artigianali, elaborati senza la sistematicità e la forza tecnologica di, un grande gruppo commerciale. Ma ormai le potenzialità economiche e politiche di questi dispositivi di intelligence sono venute alla luce, e non possono più essere ignorate né dai partiti, né dai loro candidati.
Le direttrici di fondo dell’analisi di Big Data per le competizioni elettorali sono due. La prima è più tradizionale, e riguarda il monitoraggio in tempo reale dell’opinione pubblica di fronte alle sollecitazioni prodotte dalla comunicazione politica sui mass media. In fase preventiva l’esame tenta di misurare il gradimento che gli spettatori tributeranno ad argomenti e a parole-chiave che dovranno essere adottate negli slogan, in ogni forma di promozione pubblicitaria. Insieme al favore emotivo, si cerca di cogliere quali possono essere gli stimoli capaci di intercettare l’attenzione delle persone, e di soggiogare la loro memoria al personaggio politico e al suo messaggio. Anche il fastidio può essere un valido collaboratore per imporre il ricordo di un nome nel segreto dell’urna, a discapito dell’anonimato delle migliori intenzioni.
In seconda fase invece l’analisi vuole calcolare l’impatto suscitato sul pubblico da ogni frase pronunciata dai candidati durante le interviste e i dibattiti. L’occhio di bue dell’esame illumina soprattutto quello che accade in televisione, dal momento che il piccolo schermo rappresenta (secondo un’indagine del Pew Research del giugno 2015) la principale fonte di informazioni sulla politica ancora per uno spettro tra il 37% e il 60% degli americani. Le affermazioni vengono distinte in un flusso principale e in un flusso secondario, in modo da intercettare diverse modalità di efficacia dei candidati. È questo tipo di indagine che ha permesso a Forbes di rilevare nel contesto delle Primarie Repubblicane che, se Trump prevale nel filone principale delle argomentazioni (con il 31% dei rilanci in Rete delle sue dichiarazioni), tocca a Carly Fiorina il primato nel flusso secondario (con il 45% dei rilanci).
Ma la seconda direttrice è quella più innovativa, ed è rappresentata dal cosiddetto microtargeting. Il suo obiettivo è quello di rintracciare le caratteristiche degli elettori a livello individuale, scoprendo i loro punti vulnerabili al messaggio promozionale. Su questo terreno i Democratici si sono mossi per primi, con un dispositivo chiamato VoteBuilder. Gli algoritmi di calcolo esplorano i comportamenti politici delle persone, verificando la loro tendenza a recarsi al seggio e la loro fedeltà a un orientamento ideologico nel corso del tempo; ma raccolgono anche una varietà imprevedibile di altri segnali, che possono essere correlati con le intenzioni di voto. Gli algoritmi di interrogazione applicano modelli di connessione tra i dati con lo scopo di ottimizzare la mobilitazione porta-a-porta dei comitati elettorali. Per vincere la competizione è necessario convincere gli individui a uscire di casa per andare a votare; bisogna impedire a coloro che stanno per cambiare la loro posizione politica di consumare il tradimento, o di raggiungere il seggio il giorno delle elezioni; occorre rivolgere a ciascuno l’argomentazione più appropriata – e per farlo diventa utile conoscere anche la marca della sua automobile o il tipo di alimentazione che predilige. Big Data non vuol dire solo grandi moli di dati; significa anzitutto varietà di informazioni raccolte, e intelligenza nel rintracciare le connessioni che le rendono significative.
Rispetto al 2008 e al 2012 la complessità degli algoritmi e la loro capacità di previsione sono cresciute in modo esponenziale. La loro gestione non può più essere interpretata come una professionalità artigianale, perché l’agonismo degli attori del mercato esige prestazioni sempre più efficaci. Michael Slaby, il capo del team tecnologico delle due campagne di Obama, ora dirige Groundwork, una società fondata da Eric Schmidt che si è attivata per la campagna di Hillary Clinton. A quanto si sa, la candidata alle primarie Democratiche è l’unica cliente della nuova agenzia del presidente di Google (ora Alphabet): le operazioni sono partite nel secondo trimestre del 2015 con un primo investimento di 177 mila dollari.
Il primo test di efficacia dei software si consuma nella fase di raccolta fondi per il sostegno ai singoli candidati: Obama ha insegnato che per vincere non serve primeggiare nella classifica di chi ottiene i contributi più corposi. Il patrimonio di 70 milioni di dollari, accumulato dall’attuale presidente per la tornata del 2012, è stato composto da un crowdfunding di vastissima portata con donazioni da dieci dollari ciascuna. I Repubblicani hanno innescato un processo di cambiamento culturale per adattarsi a questa impostazione del confronto elettorale, con un piano di spesa che secondo Politico ammonta a 900 milioni di dollari per le sole elezioni del 2016. Dopo la sconfitta di Matt Romney nel 2012, il Republican National Commettee (Rnc) ha stabilito un accordo con Charles e David Koch per realizzare una piattaforma di gestione dei dati, chiamata i360; dal giugno 2015 il contratto non è stato rinnovato e l’Rnc ha avviato da agosto un nuovo progetto, battezzato Orca, per collezionare i dati dei sondaggi, dei donatori, dei contatti personali, delle email e delle conversazioni online di ciascun potenziale elettore. La disputa tra le due soluzioni si è conclusa con un’intesa salomonica: i candidati Repubblicani possono accedere a entrambe le piattaforme – sebbene tendano a mostrare una certa preferenza per i360.
L’esempio di Schmidt e dei fratelli Koch mostra, secondo Quartz, che le startup di Big Data sono i nuovi superpac (i comitati elettorali a cui sono destinati i finanziamenti, ndr) per il finanziamento delle campagne. Le attività di analisi, con le loro esigenze di macchine e competenze professionali, costituiscono uno dei maggiori centri di costo per i candidati, e una delle loro maggiori garanzie di successo. La formazione delle agenzie di analisi permette di aggirare le restrizioni legali sul finanziamento ai comitati nazionali dei partiti: lo statuto di organizzazioni non direttamente collegate alla gestione della campagna, permette di applicare le regole per i superpac, e di accedere quindi a risorse finanziarie illimitate. Anche sotto questo punto di vista, l’era dei Big Data segna la fine della politica tradizionale e della sua vita negli organismi dei partiti.