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 2016  gennaio 15 Venerdì calendario

APPUNTI SU BOSSETTI PER IL FOGLIO


ECODIBERGAMO.IT 15/1 –
È ancora il furgone di Massimo Bossetti, con i fotogrammi delle telecamere, il tema chiave del processo in corso a Bergamo. Nell’udienza del 15 gennaio si è tornato a parlare di come dell’identificazione del mezzo, già al centro di scontri fra accusa e difesa. Il pm Letizia Ruggeri ha chiesto alla Corte di chiamare a deporre sul tema alcuni tecnici della Iveco, oltre ai carabinieri del Ris e dei Ros. La avvocato Paolo Camporini, che con il collega Claudio Salvagni difende Bossetti, ha invece chiesto di eseguire una perizia in contraddittorio, con un esperto nominato dalla Corte, per dirimere una volta per tutte la questione. Il giudice ha rigettato la richiesta del pm, mentre si è riservato sulla richiesta di Camporini.
L’udienza si è aperta in un clima tesissimo, dopo la bagarre in aula che la scorsa settimana aveva portato alla sospensione del dibattimento. Il giudice Antonella Bertoja in aula ha lanciato un avvertimento forte alle parti e al pubblico: «È l’ultimo avviso alle parti e al pubblico – ha spiegato – : non sono ammessi comportamenti oltraggiosi nei confronti della Corte e pregiudizievoli per i lavori». «Le domande delle parti non devono contenere commenti né critiche, ma devono essere rivolte in maniera asettica. Sono inoltre vietate domande ai testimoni su qualifiche personali o qualità morali».
E al pubblico (oggi sono arrivati in tantissimi, almeno 20 le persone che sono rimaste fuori dal Tribunale) l’avvertimento ad astenersi da commenti e brusii, in caso di violazione il giudice ha avvisato che scatterà «l’identificazione e l’espulsione», cosa che è già successa stamattina: una ragazza del pubblico è stata espulsa per i brusii ed è stata identificata dai carabinieri. Il giudice non ha escluso la possibilità di proseguire il processo «a porte chiuse» nel caso non vengano rispettate le regole. Dopo il monito, è partito il controesame del pm Letizia Ruggeri al criminologo Ezio Denti, consulente della difesa. In aula con Massimo Meroni (in qualità di procuratore in pectore dopo che Francesco Dettori è andato in pensione) il pm è tornato sul già discusso tema delle telecamere che hanno filmato il furgone identificato come quello di Bossetti.
Letizia Ruggeri ha contestato a Denti di aver appreso della procedura di estrapolazione delle immagini delle telecamere da una rivista dei carabinieri e anche contestato il metodo di musurazione del consulente. Denti ha rilevato alcune difformità di orari nelle telecamere di una ditta di Brembate Sopra che riprendono il passaggio del furgone Iveco Daily. Si è quindi discusso su una macchia di ruggine, che per la procura conferma che il furgone è quello di Bossetti, ma il perito di parte ha risposto di non poter dire che la macchia sia di ruggine. «Sono pilota di elicotteri e supero la visita medica ogni sei mesi», ha evidenziato Denti. «Io invece sono miope ma la macchia la vedo», ha ribattuto la pm. Quanto poi alle maniglie che proverebbero per la difesa che il cassonato de furgone è diverso da quello dell’imputato, il pm ha sostenuto che non si tratta di una maniglia, bensì della recinzione dell’azienda che oscura in parte la strada.
«Forse non sono stata abbastanza chiara all’inizio della seduta: serve maggiore rispetto per la corte, in modo che i lavori possano svolgersi regolarmente - ha detto la presidente, prima di sospendere la seduta per la pausa - È l’ultima possibilità, dopodiché chiuderemo davvero le porte». La ragazza che in mattinata era stata fatta allontanare dall’ aula per i suoi commenti e era stata poi identificata dai carabinieri, non potrà più partecipare alle udienze.
La polemica della scorsa settimana aveva finito per oscurare, almeno parzialmente, le tesi difensive di Denti, che per tutta la mattina aveva sostenuto che l’autocarro inquadrato dalle telecamere nella zona del centro sportivo di Brembate Sopra non sarebbe quello di Bossetti, come invece ritengono gli inquirenti. «I filmati sono stati acquisiti senza seguire i protocolli», aveva affermato Denti, che ha rincarato la dose: «Il camioncino ripreso dalla telecamera Polynt 2 non può essere quello di Bossetti, perché quello ripreso è a “passo corto”, non medio, come dimostrano le mie misurazioni con il programma Autocad» e neppure quello ripreso dalle telecamere della Shell «perché la campata a protezione della cabina è più alta di quella del mezzo di Bossetti».
Per Denti, dunque, l’indagine dei Ris sarebbe da buttare. Così come quella dei Ros, che analizzando 2 mila Iveco Daily nel Nord Italia erano giunti alla conclusione che quello di Bossetti aveva caratteristiche tali da renderlo un unicum . «Tredici punti su 14 individuati dai Ros sono comuni a tutti i mezzi» ha dichiarato venerdì scorso Denti, che poi ha presentato un elenco di otto camioncini individuati a caso da lui nella Bergamasca, che non figurerebbero tra quelli presi in esame dagli inquirenti. «Mi dica il passo di questi mezzi...» ha chiesto sempre venerdì scorso il pm Ruggeri, lasciando intendere che il consulente avrebbe preso in esame mezzi con passo diverso da quello di Bossetti (e per questo fuori dall’elenco degli investigatori).

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GIANGAVINO SULAS, OGGI 13/1 –
Il sospetto aleggia. Forse è fondato. Chi aveva interesse a trasformare in una rissa la 22a udienza del processo per l’omicidio di Yara? L’aula della Corte d’Assise, nel pomeriggio di venerdi 8 gennaio, è diventata un’arena dentro quale, mentre il pubblico rumoreggiava e applaudiva, urlavano tutti. «Quel delinquente» ha esclamato il Pm Letizia Ruggeri riferendosi a Ezio Denti, investigatore privato e consulente della difesa di Bossetti. E poco prima l’aveva definito: «Un ignorante che deve leggere tutto». «Ma stiamo facendo il processo a Bossetti o al nostro consulente?», ha chiesto alterato l’avvocato Claudio Salvagni. «Basta!», ha urlato Enrico Pelillo, avvocato di parte civile. «Basta cosa? Basta lo dici a casa tua!» ha replicato Salvagni alzando ancora i toni. «Che cazzo vuoi? Non sto parlando con te», gli ha risposto Pelillo. È intervenuto a muso duro Paolo Camporini, altro avvocato della difesa: «Dimmelo guardandomi negli occhi». Udienza sospesa e rinviata di una settimana. Antonella Bertoja, presidente della Corte, ha abbandonato l’aula indignata.
Ma chi ha tratto vantaggio da questa decisione? È solo un sospetto ma probabilmente chi al mattino aveva visto franare sotto i colpi di Ezio Denti, quella che l’Accusa considera la seconda prova in ordine di importanza contro l’imputato. Le immagini del camioncino di Bossetti che per un’ora avrebbe girato attorno alla palestra in attesa di rapire Yara.
La prova del camioncino era stata demolita
Già questa prova era uscita molto compromessa dall’udienza nella quale il colonnello Giampietro Lago, comandante del Ris di Parma, era stato costretto ad ammettere che i Carabinieri, d’accordo con la Procura, avevano assemblato un collage di immagini del cassonato assolutamente illeggibili per ricavare un filmato da consegnare alla stampa. «Esigenze di informazione», aveva detto il colonnello. Un video fatto apposta per costruire la figura del predatore-Bossetti. Nel fascicolo processuale infatti sono rimaste solo due immagini del camioncino considerate attendibili. Le altre, lo ha detto lo stesso Pm, «non le abbiamo accluse agli atti». «E se non sono nel fascicolo alla Corte non interessano» aveva sentenziato il presidente.
Nell’udienza di venerdi 8 gennaio Ezio Denti ha incrinato, con una ampia documentazione e con prove fotografiche anche l’attendibilità delle due immagini rimaste. Il camioncino mostrato nei fotogrammi delle telecamere della Polynt 1 e Polynt 2, un’azienda accanto alla palestra di Yara, non è quello di Bossetti. Per almeno tre ragioni.
Le contromosse di Ezio Denti
La prima. La Iveco produce camioncini Daily con tre “passi” diversi: 3 metri, 3 metri e 45 e 3 metri e 75. Il “passo” è la distanza fra il centro della ruota anteriore e quello della ruota posteriore. Il camioncino di Bossetti ha un “passo” più lungo, 3 metri e 45, rispetto a quello del camioncino ripreso dalle telecamere e attribuito dagli inquirenti al muratore di Mapello che ha un “passo” di soli 3 metri. La seconda. Quasi tutti gli Iveco Daily hanno una campata (sbarre di ferro tipo portapacchi o portasci) sul tettuccio che non solo protegge la cabina dai carichi ingombranti ma serve anche per fissare questi carichi. La più costosa delle campate è quella mobile, che si può alzare o abbassare facendola scorrere con un congegno. Bossetti, per risparmiare, non aveva il congegno. Ce l’aveva saldata al tettuccio. Quindi la sua altezza è fissa. Mentre quella del camioncino ripreso dalle telecamere è mobile, quindi regolabile. Lo si vede benissimo nel fotogramma.
La terza. La cassetta portattrezzi sulla fiancata del camioncino di Bossetti ha una sola maniglia mentre quella dell’automezzo mostrato in aula ne ha due, una per ciascun lato.
Difficile controbattere a immagini e misurazioni così precise. E non a caso, tutti hanno notato con quanta attenzione e senza mai interrompere, il Presidente e l’intera Corte seguissero la deposizione di Ezio Denti. Così al Pm Letizia Ruggeri sono saltati i nervi: «È un ignorante, deve leggere tutto. Io quello lo distruggo», ha esclamato girandosi verso gli avvocati della famiglia di Yara. E Denti ha assestato un altro colpo mostrando ancora il video della Polynt. Pochi secondi dopo il passaggio del presunto camioncino di Bossetti nel filmato ne appare un altro proveniente in senso contrario. È bianco, identico (almeno nelle immagini in bianco e nero perché quello di Bossetti non è bianco ma verde acquamarina) a quello del muratore di Mapello. «E questo automezzo di chi è? L’avete mai controllato? Eppure ha un “passo” identico a quello che voi attribuite a quello di Bossetti», dice Denti. Imbarazzo in aula. Solo la Pm chiede: «Me lo fa rivedere? Ma a che ora è passato?».
Per ultimo il colpo di teatro. Denti mostra alla Corte otto Iveco Daily bianchi identici a quello incriminato. Elenca di ciascuno numero di targa e nome del proprietario. Tutti circolanti in comuni vicini a Brembate. «Avete detto che sono stati controllati tutti i camioncini della Bergamasca con queste caratteristiche e che li avete esclusi perché dalle vostre verifiche i proprietari non erano a Brembate quando Yara è sparita. E questi come mai non figurano negli atti del processo e neppure nei registri della Motorizzazione? Da dove saltano fuori? Perché non li avete controllati?». Il Pm Ruggeri ha replicato con sarcasmo: «E lei come li ha trovati? Li ha incrociati per strada?».
«I video non sono stati mai sequestrati»
Ma Denti ha calato un’altra carta che ha spiazzato tutti: «I video della telecamera della Polynt 2 non sono stati sequestrati dalla polizia giudiziaria, come avrebbe dovuto essere. Sono stati estratti e consegnati dalla proprietaria dell’azienda il 4 febbraio 2011, due mesi e dieci giorni dopo la sparizione della ragazza. Ma non esiste un server che conserva le registrazioni per 71 giorni. Le immagini si cancellano automaticamente. E come mai invece i video della Polynt 1 portano la data del 29 novembre 2010? Tre giorni dopo la scomparsa di Yara? Li avete acquisiti a rate? O li avete riprodotti con la carta velina?»
Pausa pranzo. Riunione urgente degli inquirenti negli uffici della Procura. Forse per organizzare la controffensiva. Che parte puntuale. Ma non nel merito delle prove mostrate dal consulente della difesa. Con un attacco frontale sul piano personale e professionale a Ezio Denti da parte del Pm. «Lei è laureato? Dove? A me risulta che sia solo un ragioniere. Lei ha avuto una denuncia per falso? Lei ha fatto un corso di fotografia? Lei è iscritto all’albo degli investigatori privati?». E in aula è scoppiata la rissa. Adesso l’Accusa ha una settimana di tempo per riorganizzarsi.

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CORRIERE DELLA SERA 13/1 –
Il settimanale Oggi pubblica una lettera firmata da Massimo Bossetti, l?imputato dell?omicidio di Yara Gambirasio. Altre lettere sono uscite prima dell?inizio del processo, iniziato lo scorso luglio. Come su Tgcom24, nel febbraio 2015, dopo il nuovo no del gip alla richiesta di scarcerazione: «Sono prostrato di fronte a tanta ingiustizia. Non ho mai fatto male a nessuno. Sono innocente, vi prego di credermi». E su Il Giorno , nel marzo dello stesso anno: «La procura si è fissata su di me, senza nessun?altra pista». Ora, nel pieno del processo, esce la lettera sul settimanale, in edicola oggi. La copertina è la foto del carpentiere con la cazzuola in mano. Dentro, la lettera: «Volete sapere come sto veramente? Da schifo! Con una dignità completamente distrutta, continuamente stuprata dai media, e tutti i giorni, mesi e forse anni trascorsi ingiustamente in questa cella per i loro dannati sbagli». C?è il riferimento alla famiglia: «Sto terribilmente soffrendo per tutta questa lontananza dal mio amore Marita e i miei fantastici adorabili cuccioli, tutto perché al giorno d?oggi essere innocente si diventa altamente scomodo per tanti altri». E c?è il riferimento al video del suo arresto che è stato oggetto di polemiche e dello sciopero delle Camere penali, a dicembre (per questo erano saltate due udienze del processo per l?omicidio di Yara): «Dopo aver visto uno straziante, indegno, vergognoso video sul mio arresto, penso che non ci sia altro da dirvi visto le modalità che un italiano viene trattato nella maniera più indegna, schifosa, questa è una vergogna nella vergogna». In tre pagine c?è lo sfogo e ci sono le accuse: «Il mio dolore, rabbia, sofferenze affondano sempre più il mio desiderio di vita. Mi hanno vivisezionato la vita, la famiglia e dignità completamente distruggendola. Nessuno può riuscire a togliermi, cancellare tutto il dolore che ho subito a causa di persone che hanno giocato sporco su di me, togliendomi tutti gli anni più belli della crescita dei miei cuccioli figli, tantissimo amati e ora terribilmente mancanti». Dolore è la parola più ricorrente: «Una volta anch?io tenevo un cuore che gioiva, pulsava tanta voglia di poter vivere la propria vita piena d?amore. Ormai è solo un cuore molto fragile e infranto da tantissimo dolore che m?è stato causato senza motivo».Bossetti scrive molto in carcere, nella cella che condivide con un altro detenuto della sezione speciale, quella in cui sono richiuse persone accusate di omicidio, violenze e maltrattamenti. C?è chi gli scrive, gente da fuori. E lui risponde. Di recente è emersa anche la notizia che a luglio, prima che iniziasse il dibattimento, il carpentiere di Mapello ha scritto una lettera per i genitori di Yara. L?ha consegnata a Claudio Salvagni, uno dei suoi due avvocati: «Non conosco il contenuto ? aveva detto il legale ?, è sigillata. Il mio assistito mi ha detto di consegnarla nel momento più opportuno, che ritengo sia la fine del processo. Comunque non prima del processo perché non voleva che passasse per un tentativo di strumentalizzazione». C?è poi una lettera che ha colpito più delle altre. Quella che Bossetti ha letto dal pulpito, al funerale del padre Giovanni, il 29 dicembre, a Terno d?Isola: «Papà, questa perdita ha lasciato un vuoto incolmabile. Dolore nel dolore».

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GIULIANA UBBIALI, CORRIERE DELLA SERA 9/1 –
«Vada come vada il processo, questa lettera è per la famiglia Gambirasio». Massimo Bossetti l?ha scritta ai genitori di Yara, la tredicenne che è accusato di aver ucciso ma che lui nega di aver mai incontrato. L?ha consegnata al suo avvocato Claudio Salvagni a luglio, prima che iniziasse il processo. La notizia è trapelata ieri. Il legale conferma: «Me l?ha consegnata sigillata, non conosco il contenuto. Mi ha solo detto di darla nel momento che ritengo più opportuno. Credo sia la fine del processo». Bossetti scrive molto nella cella che condivide con un altro detenuto. Risponde a chi gli manda lettere. Ha scritto anche alla Corte d?Assise ringraziandola di avergli permesso di partecipare al funerale del padre Giovanni Bossetti. Aspetta così le udienze, scrivendo e leggendo gli atti del processo. In quella di ieri ha parlato il consulente della difesa Ezio Denti. L?investigatore privato ha mostrato in aula un filmato della telecamera del distributore Shell di via Locatelli, davanti al centro sportivo. Sono le 18.40.10 del 26 novembre del 2010 (giorno della scomparsa di Yara) quando passa un autocarro. Per l?accusa è quello dell?imputato. «Ma c?è un particolare che esclude sia quello di Bossetti», dice Denti, che ne mostra la foto e spiega perché: «Nel filmato, la barra di protezione sopra la cabina è più alta di quella del mezzo dell?imputato». Il confronto colpisce. Che sia l?angolatura della telecamera? Denti lo esclude «altrimenti sarebbe deformata anche la cabina». Quindi? Il contro esame del pm è stato interrotto dalla presidente della Corte d?Assise per l?alta tensione tra le parti, quindi il dato emergerà alla prossima udienza, il 15 gennaio: secondo l?accusa quella barra più alta è un riflesso che si vede anche nelle immagini in cui il furgone non c?è. Se fosse così, crollerebbe l?osservazione della difesa. È vero, quella ripresa non è nitida. Per il pm, però, c?è un anello logico secondo il quale quel mezzo è lo stesso filmato 4 minuti prima dalla telecamera della ditta Polynt, in via Caduti dell?Aeronautica, alla sinistra della palestra: è la sequenza di una moto, un furgoncino e l?autocarro, che per gli inquirenti è dell?imputato. In quella di ripresa il mezzo si vede bene, infatti è stata usata per la comparazione tridimensionale. Altro passaggio che Denti contesta. Mostra un furgone simile a quello dell?imputato e indica le parti utilizzate per il confronto con quello del filmato: la macchia nera che corrisponde al tappo del serbatoio, le luci sul tetto, la striscia scura ai lati per citarne alcuni. «Su 14 elementi 13 corrispondono ? illustra ?. Manca solo la cassetta porta attrezzi sul retro». Vuole dimostrare che gli Iveco Daily si somigliano tutti. Dalle indagini del carabinieri, però, due dettagli caratterizzano quello Bossetti: una macchia di ruggine all?interno della sponda destra e gli inserti a forma di trapezio che interrompono la striscia rossa laterale. I militari avevano mostrato in aula il raffronto. «Ma la ruggine ce l?hanno tutti i furgoni e quegli inserti poligonali proprio non li vedo nei video», obietta il consulente, che è andato alla ricerca di altri Iveco simili. Ne ha trovati sette in Bergamasca. Ma ce ne sono solo cinque (altri), per i carabinieri. Come si spiega? Hanno selezionato quelli con il passo (la distanza tra le ruote) medio, perché così risulta nel furgone ripreso. Per la difesa, invece, è un passo corto. Già, perché anche la misurazione con il sistema autocad - è la conclusione del consulente - non è corretta.
Giuliana Ubbiali

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LUCA TELESE, LIBERO 9/1 – 
Piovono furgoni. O meglio cadono, nel processo per l’omicidio di Yara Gambirasio. Anzi, sarebbe ancora meglio dire che decadono, dal rango di prova regina (fino a ieri) della presenza del muratore di Mapello nei pressi della palestra di Yara, a quello di indizio forse addirittura insignificante (perché non più identificabile in modo certo). La difesa, per di più, riesce a dimostrare, addirittura, producendo fotografie e generalità dei proprietari, che ci sono altri furgoni (quasi identici a quello di Bossetti) non presenti nella lista di quelli esaminati dall’accusa. Otto di questi circolano addirittura nel territorio della provincia di Bergamo. Due di loro, non solo sono esteticamente simili, ma hanno addirittura lo stesso lo stesso cassone di quello di Bossetti, una lunghezza identifica a quella indicata dalla procura. Un terremoto. Sarà per questo motivo che ieri a Bergamo l’udienza è finita in rissa verbale ed alla fine è stata sospesa? Possibile, e infatti il racconto della pirotecnica giornata è complesso.
Tutto deflagra intorno alle 16.30, nel modo più imprevedibile. Fino a quel momento, con l’eccezione di un ennesimo avventore di bar chiamato a testimoniare sul fatto che tra il 1988 e il 1989 aveva visto Massimo Bossetti nella discoteca il Gabbiano (sic!), l’unico teste importante della giornata è il perito della Difesa, Ezio Denti. Denti è un investigatore privato pieno di risorse, un uomo d’azione, un osso duro, un maniaco del dettaglio. È tornato ancora una volta a rivedersi tutte quelle immagini di cui così tanto l’accusa aveva parlato, fotogramma per fotogramma, si è convinto di aver notato qualcosa che a tutti gli investigatori è sfuggito. Quando tutto accade Denti ha appena finito di esporre (lo ripercorreró tra poco) le ragioni e il materiale foto audio-visivo con cui prova a demolire due pilastri dell’inchiesta: dopo le note vicende del video «dato alla stampa», erano rimaste – a detta del colonnello dei Ris Lago – solo due telecamere su cui la pm Ruggeri faceva conto per provare che Bossetti quella sera era proprio lì, a Brembate. Caduta la prova delle celle telefoniche era davvero un punto vitale. Nella sua esposizione Denti è stato molto convincente, in sala c’è grande attesa per il controinterrogatorio, le sue tesi sembrano aver spiazzato anche gli inquirenti, persino la pm che chiede di rivedere più volte un video: «Me lo rimanda? Che ora ha questo passaggio?». Ma a sorpresa, quando tocca a lei, la Ruggeri si disinteressa completamente del merito, e prova ad attaccare Denti sul piano professionale, e addirittura personale. Lucida, aggressiva molto determinata.
Dà il via alle danze: Ruggeri: «Lei ha detto di essere un investigatore?».
Denti: «Sì, perché?».
Ruggeri (sarcastica): «Ma perché esiste un albo degli investigatori?».
Denti (serafico): «No. Ma esiste una licenza fornita dal ministero».
Ruggeri (stesso tono): «Ah, lei ha la licenza....».
Denti (pure lui imperturbabile): «Si, la 31981. Ce l’ho qui con me, la vuole vedere?».
Ruggeri (acida): «Lei ha detto di aver lavorato a migliaia di casi».
Denti (sornione): «No, io ho detto di essermi occupato di diversi casi. Molti in processi di rilevanza nazionale».
Ruggeri: «E quali?».
Denti: «Se devo li elenco: omicidio Trifone, Katia Tondi...».
Ruggeri: «Come consulente di chi?».
Denti: “Prevalentemente per la difesa».
Ruggeri (sorriso): «Perché, un investigatore per chi dovrebbe lavorare?».
Denti: «Anche per l’accusa».
Ruggeri: «E dove lo avrebbe fatto per l’accusa?».
Denti: «Per la procura di Santa Maria Capua a Vetere».
Ruggeri (affondando il coltello): «Lei ha detto di essere laureato. Ma mi risulta che lei sia un diplomato in ragioneria. Con 36!».
Salvagni (arrabbiato): «Che facciamo, adesso, controlliamo le pagelle!?».
Ruggeri: «Non mi risulta la sua laurea».
Denti: (imperturbabile) «Io però ce l’ho qui con me. La vuole vedere?».
Ruggeri: «Lei dice di essere laureato a Friburgo! Bene, ce ne sono due, quale Friburgo?». Denti: «Friburgo in Svizzera!».
Ruggeri (trionfante): «In Svizzera? Peccato che ho fatto verificare: non c’è nessuna facoltà di ingegneria! È sicuro di averla presa li?».
Denti (beffardo): «Allora quando dovrò scegliere un indirizzo universitario chiederò consiglio a lei! Ma perché non legge? Ho qui il certificato!».
Camporini: «Mi spiace che le risorse pubbliche vengano usate per fare indagini sulla difesa!».
E qui parte un applauso alla battuta dell’avvocato. La presidente Bertoja (giustamente) si arrabbia. Minaccia di sospendere. Chiede ad accusa e difesa di non riferirsi a fatti non rilevanti per l’inchiesta. La Pm riparte imperterrita:
Ruggeri: «Lei pensa di avere competenze in video fotografia?».
Denti: «La mia esperienza processuale. Che ovviamente non si esaurisce con la mia laurea».
Ruggeri: «Lei ha fatto un corso da sottufficiale dei carabinieri?».
Salvagni: «Obiezione, cosa c’entra?».
Bertoja: «Obiezione accolta!».
Ruggeri: «Lei anni fa è stato condannato per falso... ?».
Salvagni: «Ma è incredibile!».
Bertoja: «Questo peró si può chiedere».
Denti: «Io posso rispondere a qualsiasi domanda e spiegare: ma perché l’accusa non contesta le nostre tesi invece del mio curriculum?».
Salvagni: «Qui invece che fare il processo a Bossetti si fa il processo al perito!!!». Ruggeri: «Non è lei che mi può dettare le domande!».
Pelillo: «E basta! Basta!».
Ruggeri: «Giusto».
Salvagni: «Come ti permetti tu di dirci basta!».
Pelillo: «Che cazzo vuoi!? Non dicevo a te».
Denti: «Io vorrei...».
Ruggeri (girandosi): «Cosa vuole quel delinquente?».
Ed è a questo punto che la Bertoja manda tutti a casa: «Mi spiace, vi avevo avvisato, la seduta è sospesa! Ci vediamo la prossima settimana».
Domanda: Parte Civile e Accusa hanno davvero perso la testa, o la pm puntava a una sospensione per riorganizzare una linea, dopo la deposizione di Denti? E qui bisogna spiegare cosa aveva fatto il perito in aula prima che si scatenasse questo putiferio. Il colpo più clamoroso di Denti, nella sua esposizione, era stato forse questo. Invece di contestare nel merito, la perizia con cui i Ros dei carabinieri avevano monitorato tutti i furgoni Iveco Daily di cinque regioni italiane del nord, l’investigatore ha prodotto in aula i documenti, che provano in maniera inconfutabile, l’esistenza degli otto furgoni che sono sfuggiti a quell’indagine. Ne sarebbe bastato anche solo uno. E sarebbe stato curioso, già capire per quale motivo, tra le regioni monitorate, sia stato incluso il Trentino (che è più lontano) ed esclusa la Liguria (che è confinante con la Lombardia). Se lo chiede anche la Bertoja: «Sì, ho notato che il Trentino è più distante, avvocato Salvagni!». E la pm si era difesa senza spiegare: «Sì, sono io che ho scelto di escludere la Liguria!». Ma Denti, con un coup de theatre porta in aula numeri di telaio, codici d’immatricolazione, targhe e persino i nominativi dei diversi proprietari. Dimostra, per esempio, che la ditta Pizio ne possiede addirittura tre. Nessuno di questi otto furgoni compare, né nella lista della motorizzazione fornita ai carabinieri con gli Iveco Daily immatricolati in Italia, né – ovviamente – nella lista dei furgoni esaminati dai carabinieri. Non tutti in Aula lo capiscono subito: quando la Bertoja fa una domanda esplicita sul tema, c’è uno sconcerto generale. La Difesa si frega le mani, e festeggia come una squadra che ha segnato un gol. Ipotesi: e se si trattasse di automezzi immatricolati in altri paesi? Comunque sia, il già vacillante edificio dell’inchiesta sui furgoni crolla. Restavano le ultime due telecamere: quella della ditta Polint 2, e quella del distributore Shell. Secondo la pm, quello è davvero il furgone di Bossetti, perché lo dicono ben 14 elementi distintivi, dettagli della carrozzeria come le maniglie, il tappo e la dimensione del serbatoio, il colore degli specchietti, una fascia rossa che corre lungo il cassone, le luci di posizione sul tetto (altro che caratteristica particolare, ce le hanno tutti). Ma il primo fotogramma è demolito da Denti grazie alla perizia svolta con un programma che si chiama Autocad. È lo stesso principio, di quei programmi usati dagli architetti per misurare gli interni. Se tu imposti due misure certe su una foto, Autocad calcola tutte le altre in proporzione. Morale della favola, il cassone della foto, secondo il programma, misurerebbe 3 metri. Peccato che Denti abbia annotato a misura di ogni dettaglio, e spieghi: «In realtà il furgone di Bossetti è lungo 3.450».
Il margine di errore di Autocad, applicato a un’immagine sgranata come quella in questione (non supera i dieci centimetri). L’ultima ripresa considerata buona, invece, va in fumo per il dettaglio di «una campata» che sta sopra i fari superiori della cabina. Il furgone della foto, e visibilmente più alto di quello di Bossetti. Gli inquirenti non si erano preoccupati, perché in molti esemplari di Daily, quell’accessorio è regolabile in altezza. Ma Denti, che è andato con il metro nei depositi dei Ris di Parma, mostra in aula che quello del muratore di Mapello non può scorrere. Se tutto questo non venisse confutato nel controinterrogatorio sospeso ieri, cadrebbe anche l’ultima prova della presenza di Bossetti sulla scena del crimine. Ma ieri in aula c’era qualcosa di più, lo scontro fra due approcci totalmente diversi e inconciliabili. Quello dell’investigatore, che parte dalla praxis, dall’indagine sul campo, dalla stima di ogni millimetro, come al Pacino, l’allenatore di “Ogni maledetta domenica”. E quello della pm e degli investigatori di Bergamo, invece, hanno lavorato su grandi criteri, decisi a tavolino. È su questo terreno, ieri, che hanno dato battaglia, e sono stati sconfitti.

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LUCA TELESE, LIBERO 10/1 –
Una delle scene che non si scordano, nella giornata più folle del processo Yara, culminata con la sospensione dell’ udienza, è il surreale siparietto di metà mattinata. Sta parlando Ezio Denti, investigatore privato, superconsulente della difesa. È seduto al banco dei testimoni, affiancato dal suo aiutante. Mentre illustra le prove, i filmati, i fotogrammi, le ingegnose misurazioni con cui sta provando a demolire le tesi dell’ accusa, compaiono diversi carabinieri. Non quelli di guardia solitamente nel tribunale di Bergamo (sono in uniforme) ma due ufficiali in borghese.
Uno si mette proprio dietro di lui, con un taccuino, e prende appunti, guardando direttamente sullo schermo del consulente. Dopo alcuni minuti l’ avvocato Claudio Salvagni lo nota e insorge, rivolgendosi alla presidente della Corte, Antonella Bertoja: - Camporini: «Presidente, scusi, si può evitare che ci siano delle persone dietro il nostro consulente che spiano?».

- Ruggeri: «Ma stiamo scherzando? Adesso per la Difesa un maresciallo dei Ris o un poliziotto che fa il suo lavoro passa per spione?».

- Camporini: «Io non ho mai visto una cosa di questo tipo in Aula!».

- Bertoja: «Scusi, avvocato, ma non posso pensare che ci sia un qualsiasi intento spionistico...».

- Camporini: «Ma perché allora sta proprio lì dietro, scusi?».

- Ruggeri: «Quel che sta dicendo è incredibile!».

- Bertoja (sorridendo): «Credo che, ragionevolmente, sia lì per l’ affollamento che oggi c’ è in aula. Se c’ è un problema, ma solo di questo tipo, si può consigliare al signore che è lì dietro di sedersi più comodamente tra il pubblico».

- Salvagni (sarcastico): «Allora guardi, purché non resti lì dietro gli cediamo volentieri un posto tra i banchi della difesa!».

Qualunque fosse la vera motivazione, il sovraffollamento o la visuale sul computer di Denti, curiosamente, dopo il trambusto che segue a questo scambio di battute, l’ ufficiale con il taccuino scompare, e si ritira nella stanza dei testimoni. Ma la tensione che questa ennesima polemica rivela, fotografa bene il momento drammatico di venerdì mattina.
Ieri ho raccontato del colpo di scena con cui Denti ha apparentemente smontato i due fotogrammi dei furgoni che fino a ieri erano considerati dalla Pm come attribuibili a Bossetti (non essendoci stato controinterrogatorio nel merito, ma solo sulla biografia di Denti, si deve presumere che la Pm non avesse argomentazioni).
Oggi è ancora più interessante entrare nei dettagli di come si è arrivati a questo colpo di scena, mettendo alla prova due inconciliabili ed opposti metodi di indagine, quello della procura e quello dell’ investigatore.
Per la sua esposizione Denti è partito in modo molto piano, senza effetti speciali. Poi, quando sta parlando della telecamera che secondo la Pm era la più attendibile, quella della Polynt 2, spiega che nell’ incartamento degli atti, curiosamente, non compare nessuno schema di misurazione del mezzo. Gli inquirenti (stando a queste carte ed alle loro relazioni) pur avendo il mezzo sotto sequestro, non lo hanno usato per un sopralluogo a Brembate, magari per riprodurre la stessa immagine raccolta dalla telecamera. Hanno lavorato «al contrario», con uno schema di questo tipo: se questo è il mezzo di Bossetti, cosa lo identifica come tale? Nel farlo hanno individuato 14 punti distintivi.
Denti ha esattamente ribaltato lo schema. Cinque mesi prima della sua udienza ha fatto regolare domanda, ha ottenuto il permesso di accedere al deposito giudiziario, si è messo a misurare e a fotografare ogni minimo particolare, fra l’ altro dovendo fare i conti con un limite di tempo dato. È un’ operazione inutile? Tutt’ altro: come spesso capita, cerchi una cosa e ne trovi un’ altra. Scattando decine di immagini sulle famose luci di ingombro che sono sul tetto del cassone, l’ investigatore (senza ancora sapere che si dimostrerà un indizio decisivo) si trova quasi a cavalcioni della cosiddetta campata: ovvero di quella sbarra che attraversa la larghezza di quasi tutti gli automezzi.
La campata serve per proteggere la cabina quando si ha un carico ingombrante, o un pezzo lungo, come ad esempio una scala. I Carabinieri avevano sicuramente notato che nell’ immagine del furgone che attribuivano al muratore di Mapello questa sbarra era molto alta, ma non avevano dato una particolare importanza: in moltissimi furgoni, anche per facilitare i diversi carichi, c’ è un accessorio molto utile che permette di modificare l’ altezza della sbarra a seconda dell’ ingombro.
Era stato lo stesso colonnello Lago - ironia della sorte - a mostrare proprio quella sequenza, e quel frame in Aula. Ed è stato proprio in quel momento, in Tribunale, che Denti aveva fatto un salto sulla sedia. Si era ricordato che mentre armeggiava sopra la cabina del Daily di Bossetti, nel deposito giudiziario, lui e il suo assistente avevano dovuto scavalcare la sbarra per fotografare le luci.
Torna in ufficio, prende il file con le foto, le visiona una per una. E poi si illumina: il furgone di Bossetti (fra l’ altro comprato usato) non era regolabile. La barra di campata è saldata. Quindi il furgone della foto non può essere quello di Bossetti, anche perché, se si trattasse di una distorsione dovuta alla prospettiva, tutta la cabina dovrebbe risultare "allungata": Andare sul campo, dilungarsi in lunghe operazioni con il metro ha prodotto un risultato insperato. Ma non è il solo.
L’ultima videocamera rimasta, l’ ultimo fotogramma di furgone che secondo la Ruggeri era «indubitabilmente» di Bossetti è raffigurato nella telecamera 2 della ditta Polynt, in veduta laterale. Il cassone appare in tutta la sua lunghezza, ed è quello l’ elemento distintivo su cui lavorano i carabinieri. Come fanno a misurarlo?
Come stabiliscono che fra le tre lunghezze possibili (3 metri, 3.45 metri e 3.75 metri) si tratti proprio di un 3.45 metri, cioè quello di Bossetti? Ancora una volta, nei fascicoli dell’ inchiesta, non risultano prospetti con dati di stima. E nemmeno fotogrammi lavorati con Autocad, il programma che il colonnello Lago, nella sua udienza, ha detto che era stato utilizzato dai periti dell’ accusa.
Così Denti decide di utilizzarlo lui stesso. Autocad è usato dagli architetti, dai progettisti, dagli inquirenti persino dagli arredatori quando devono fissare misure certe. Funziona tutto con il calcolo delle proporzioni: in un’ immagine con diverse misure o distanze, bisogna avere almeno alcune misure certe, per poter calcolare quelle che non si conoscono.
A complicare le cose, anche in questo caso, c’ è il problema di quanto possa aver distorto il gioco di prospettiva o l’ inclinazione della telecamera. Così l’ investigatore della difesa ha una idea: vede che nel fotogramma è inquadrato un cancello di ferro, quello della stessa ditta, che - ovviamente - è parallelo alla carreggiata dove transita il furgone. Lui e i suoi assistenti si armano sia di metro che di misuratore laser.
Vanno sul posto: appurano che il cancello è lungo sette metri, che è composto di 44 sbarre, ognuna larga quattro centimetri, con un intervallo di 10.05 centimetri tra l’ una e l’ altra.
Ogni sbarra è alta 1.25 centimentri, la pianta è larga 35, l’ altezza complessiva 1.70 metri. La distanza della telecamera dal cancello è 20.6. La larghezza della carreggiata, l’ altezza dei marciapiedi sono tutte misurabili.
Tutti questi dati, immessi su Autocad sono un tesoro. Ma per essere sicuro, per abbattere il margine di errore, a Denti serve una misura certa anche a bordo del furgone. Allora ritorna a prendere le famose foto del Daily fatte la mattina di cinque mesi prima a Parma. Si concentra sul dettaglio della cassetta d’ acciaio Butti che sta sul cassonato. Sa con certezza che è lunga 55 centimetri.
Ripete la misurazione, scattando le foto che mostrerà in aula nella sua esposizione. Immette anche quel dato e quando scopre la misura che Autocad stima per il suo cassone, lui e il suo assistente Marco Biella, finiscono per abbracciarsi. Secondo il programma il cassone del furgone è lungo 3 metri.
Ma quello di Bossetti, come sappiamo, è lungo 3.45. Presi dall’ entusiasmo i due si concentrano sull’ ultimo tema: l’ indagine con cui la Pm dice di aver vagliato tutti i furgoni simili a quello di Bossetti in tutta Italia. La procura ha proceduto così: prima ha acquisito tutti i dati sui furgoni immatricolati dalla motorizzazione. Poi ha selezionato cinque regioni del nord dal Veneto al Piemonte (escludendo, non si capisce perché, la Liguria, che pure per distanza chilometrica è molto vicina). Poi, tutte le stazioni dei comandi dei carabinieri sono andate a fare le foto di questi furgoni.
Un lavoro titanico. Le hanno divise in simili e diversi. E poi - avendo stabilito che solo cinque erano simili, hanno interrogato i proprietari. Denti, scorrendo immagine per immagine, scopre che tra i furgoni scartati molto sono comunque simili a quelli di Bossetti. Ma non si accontenta.
Scopre che il criterio di selezione (limitarsi al modello Daily 3.45 metri) è sbagliato, e in aula spiega perché: «Anche la Fiat 500 è prodotta sia con il motore 1.200 che il 1.600. Ma dal punto di vista estetico è perfettamente identico». Dimostra, con le riprese, che anche la selezione cromatica è sbagliata: «Il furgone di Bossetti è color verde acqua. Ma ripreso dalle telecamere in bianco e nero, quel colore, così come il celeste, diventa bianco. Tant’ è vero che quasi tutti quelli che hanno visto le immagini in tv - spiega - sono convinte che sia bianco».
Ma anche questo non gli basta. Così ribalta totalmente il criterio apparentemente scientifico (ma astratto) fissato dalla procura. Anziché partire dalla motorizzazione parte dalla strada. E piazzandosi con i suoi collaboratori nei crocevia della bergamasca, si mette a fotografare i Daily che passano. Poi controlla le targhe. Quando arrivano i responsi della motorizzazione, quelli del pool difensivo non credono ai propri occhi. Ben otto furgoni che hanno proprietari residenti nella provincia di Bergamo non compaiono nella lista della motorizzazione, e nemmeno in quella dei carabinieri.
Denti scandirà questo elenco in aula per diversi minuti, esemplare per esemplare, finché la presidente Bertoja, comprendendo l’ importanza non gli chiede: «È sicuro che non siano nella lista?». Denti Risponde proiettando le immagini. La Ruggeri si oppone: «Ma che lunghezza di cassone hanno? Lei per caso ha compreso anche quelli lunghi 3 metri?».
Denti sgrana un sorriso criminale: «Negli otto di cui vi parlo, tutti appartenenti a proprietari residenti a Bergamo, ce ne sono sia lunghi 3 metri che lunghi 3.45 metri». In aula c’ è grande brusio. In realtà ne basterebbe uno: se anche un solo furgone fosse sfuggito tutta l’ indagine scientifica dei Ros diventerebbe carta per il camino.
Però Denti cerca anche il colpo di teatro, e proietta l’ immagine di un sito: «Guardate, questo è Autoscout24. Anche qui si trovano furgoni simili», Autoscout è il sito più visitato per il mercato dell’ usato. Ma evidentemente la Pm non aveva pensato di visitarlo. Ancora una volta pragmatismo contro teorema. Ancora una volta fiuto contro teoria. Sembra che stavolta abbiano vinto i secondi.

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GIANGAVINO SULAS, OGGI 31/12/2015 –
Assenza di freni inibitori... Particolare efferatezza nell’esecuzione del delitto... Casualità nella scelta della vittima... Circostanze di tempo e di luogo». Queste le motivazioni con le quali la Corte d’Assise ha respinto la richiesta di arresti domiciliari per Massimo Bossetti. Più che valutazioni di merito sembrano motivazioni di una sentenza. Ma il processo è solo a metà strada. Devono ancora sfilare molti testimoni. Il mistero di quel Dna mitocondriale che non appartiene a Bossetti nessuno l’ha saputo spiegare. I colpi di scena sono in agguato. Anche se «qualcosa» abbiamo già visto. Interviste taroccate: «Ho visto pubblicato il contrario di quel che avevo detto», ha dichiarato Massimo Maggioni, il muratore che ha denunciato Bossetti per calunnia. «Volevano pagarmi l’intervista se avessi accettato il testo che avevano scritto e che non corrispondeva a quel che avevo detto», ha rivelato Antonella Ornago, cameriera in una trattoria frequentata da Bossetti. «È un processo segnato. Bossetti non ha scampo», ci dice un avvocato che la sa lunga. «Sarà, ma il vero processo non è questo. È già stato fatto in carcere. E Bossetti è stato giudicato. Chi fa del male ai bambini, in carcere se la passa male. Molto male. A lui in un anno e mezzo di detenzione non è stato torto un capello. Capisce cosa intendo?», rivela un agente della Penitenziaria. È l’ennesimo enigma destinato a lasciare una scia di dubbi. Anche perché, dopo 20 udienze, quante certezze sono state raggiunte? Forse neanche una.
1. IL DNA
L’Accusa è certa che il I profilo nucleare trovato sugli slip di Vara sia di Bossetti, ma nessuna è riuscito a spiegare come mai sia sparito il Dna mitocondriale. Otto genetisti hanno dato altrettante spiegazioni diverse. C’è una sola certezza, ma in aula non se n’è parlato. Nel luglio 2012 Emilio Giardina. dell’università di Tor Vergata, ricevette dal Pm Letizia Buggeri i profili genetici mitocondriali di 532 donne per trovare la mamma di Ignoto 1. Giardina, per il confronto, chiese al Ris di avere la caratterizzazione mitocondriale di Ignoto 1, quindi un documento, non un estratto o il campione di Dna. E il Ris cosa fece? Consegnò a Giardina non il profilo di Ignoto 1. ma quello di Yara. Un errore sfortunato? No, perché il mitocondriale di Ignoto 1. alias Bossetti, il Ris non poteva averlo. Non è mai stato trovato da nessuna parte. Al suo posto, sugli slip, c‘è quello di Vara. E il colonnello Lago qualcosa avrebbe dovuto intuire perché prima, il 22 settembre 2011, aveva ricevuto dal Pm l’incarico di una consulenza privata per scoprire caratteristiche di tipo somatico e il mitocondriale di Ignoto 1. Anziché al Racis di Roma che dispone di laboratori ad hoc, Lago si rivolse al Dipartimento di antropologia molecolare dell’università di Firenze e il responso avrebbe dovuto allarmarlo. Accanto al Dna nucleare di Ignoto 1 compariva il mitocondriale di un soggetto femminile (Yara) e di un soggetto maschile sconosciuto, quindi non di Ignoto 1. Il consulente della difesa Marzio Capra si chiede: «Siamo sicuri che non ci sia stato un errore nella caratterizzazione iniziale di Ignoto 1?». Tradotto: che Terrore non si stato fatto dal Ris? La risposta arriverà dalle 1.300 pagine di dati grezzi (le radiografie delle procedure usate) consegnati dal Ris dopo 6 settimane di ricerche in archivio?
2 KIT SCADUTI
II Ris, per fare gli esami del Dna, usa dei kit scaduti? «Sì, può capitare», ha ammesso davanti alla Corte Marco Pizzamiglio, vicecomandante del Ris di Parma. «Le scadenze vengono riviste perché le date indicate dai produttori sono strette per vendere di più. Ma se i kit sono scaduti noi ci accorgiamo». Ma la difesa di Bossetti ha fatto notare che i kit usati per il Dna di Ignoto 1 erano scaduti da dieci mesi, non da qualche giorno.

3 UNDICI DNA SCONOSCIUTI
Sul corpo di Yara sono stati scoperti 13 profili genetici. Solo due sono stati attribuiti: a Massimo Bossetti, quello sugli slip, e a Silvia Brena, maestra di ginnastica, quello sulla manica destra del giubbino (positivo al sangue). Ma restano ignoti i due profili genetici, uno maschile e uno femminile, sui guanti, i 7 Dna (due della stessa persona) estratti dalle tracce pilifere trovate sotto la felpa di Yara, un altro Dna mitocondriale maschile, oltre a quello di Yara, scoperto negli slip e un altro trovato su un fazzoletto di carta a pochi metri dal cadavere. Ma forse il dato più inquietante è che sugli abiti e sul corpo di Yara non sia stata trovata una sola traccia genetica dei suoi familiari. Qualcuno ha fatto pulizia?
4 LE FIBRE NELLE FERITE
Cristina Cattaneo nella relazione autoptica non ne parla. Lo ha rivelato Dalila Ranalletta. medico legale e consulente della difesa: «Le 9 ferite su schiena, polsi, dorso e gamba di Yara erano piene di filamenti di tessuto rosso, blu, verde, nero e bianco nessuno dei quali proveniente dagli indumenti di Yara». Come si spiegano? «È stata denudata e tenuta avvolta in un tessuto (un tappeto?) che ha depositato le fibre sulle ferite aperte. E ci sono rimaste quando è stata rivestita», ha detto Ranalletta. Ma Yara è morta nel campo di Chignolo o è stata portata dopo?

5 IL CORPO MUMMIFICATO
«Il corpo di Yara era in gran parte corificato», ha rivelato ancora Dalila Ranalletta. La corificazione è un fenomeno simile alla mummificazione. Si verifica nei cadaveri conservati in luoghi ermeticamente chiusi, senza ossi geno. «Fosse rimasto all’aperto per tre mesi, come sostiene l’accusa. avrebbe subito un altro fenomeno, quello della putrefazione. Evidentemente in quei tre mesi è stato tenuto al chiuso», ha concluso il consulente.
6 ANALISI DEL SANGUE
«Perché non sono state fatte le analisi del sangue trovato sotto il corpo di Yara?», ha chiesto la dottoressa Ranalletta. «Non toccava a me», ha risposto Cristina Cattaneo. E a chi toccava? A nessuno. Era solo una domanda-trappola quella del consulente della difesa perché un corpo che si mummifica i liquidi li ha già rilasciati da tempo. Lo sapevano anche gli Egizi.
7 IL CAMIONCINO FANTASMA
È considerata la seconda prova contro Bossetti. È stata spazzata via dallo stesso comandante del Ris Giampietro Lago: «Questo video, d’accordo con la Procura, è stato fatto e dato alla stampa per esigenze di comunicazione». Il video regalato a televisioni e giornali che mostrava per 13 volte in un’ora il camioncino di Bossetti transitare attorno alla palestra è stato assemblato dagli inquirenti pur sapendo che solo due immagini mostrano il camioncino di Bossetti. «Identificazione probabile» ha rimarcato in aula il maresciallo del Ris Vincenzo Nobile. Le due immagini buone sono quelle riprese dalla telecamera della Polynt 2 alle 18.35’.31” e alle 18.36’.00’’ in via Caduti dell’Aeronautica. In pratica dove Bossetti. trovando la strada dietro la palestra chiusa per lavori, è stato costretto a invertire la marcia. Tutte le altre che abbiamo visto per un anno in Tv non consentono di identificare l’automezzo di Bossetti. Quindi l’ipotesi accusatoria del predatore che girava forsennatamente attorno alla palestra in attesa della preda sembra caduta. Il perché lo capiremo meglio l’8 gennaio quando in aula deporrà Ezio Denti consulente della difesa. Rivelerà, fra le altre cose, come e con quanti mesi di ritardo quei filmati, che non erano stati sequestrati, sono stati consegnati agli inquirenti dai proprietari delle telecamere.

8 LA SABBIA
II 9 dicembre 2010, 15 giorni dopo la scomparsa di Yara, Bossetti comprò un metro e mezzo cubo di sabbia alla EdilBonacina di fronte al campo di Chignolo. Per l’Accusa quella sabbia doveva servire per tumulare Yara. Poi, resasi conto che con un carico di 25 quintali il camioncino sarebbe affondato nel campo fangoso, ha sostenuto che Bossetti si è creato l’alibi per andare a controllare il corpo. L’architetto Sergio Trivella ha detto in aula che, stando alla sua agenda, proprio il 9 dicembre Bossetti lavorava a Boriate Sopra, vicino al campo di Chignolo e quella sabbia mista a pietrisco è servita per rifare un marciapiede. «L’agenda e alcune fotografie dei lavori nelle quali dovrebbe comparire Bossetti le consegnai ai carabinieri». Dove sono finite? Perché non sono nel fascicolo processuale? O anche questa notizia è stata fatta trapelare per esigenze di informazione? «Devo averle io», ha detto in aula il pm Ruggeri.

9 YARA È STATA RAPITA?
Bossetti e Yara non si conoscevano. L’hanno detto la mamma, il papà, la sorella e la zia di Yara. L’hanno ribadito compagne e insegnanti di scuola e di palestra. Lo dicono telefoni e computer. Quindi Yara non può essere salita sul camioncino di uno sconosciuto. Lo hanno escluso tutti quelli che la conoscevano. È stata rapita. Ma fra i capi di imputazione il sequestro di persona non figura. Perché?

10 I VERBALI
Quelli del processo per l’omicidio di Yara resteranno secretati fino alla sentenza della Cassazione. Lo ha deciso il presidente della Corte Antonella Bertoja: «Per impedire un possibile uso improprio dei verbali di udienza», ha scritto, rispondendo a un giornalista di Quarto grado che aveva chiesto di consultarli. «È un provvedimento abnorme e illegittimo», precisa a Oggi l’avvocato Caterina Malavenda, «Perché il processo è pubblico. Avrebbe senso solo in un processo a porte chiuse. Bisogna rivolgersi al Presidente del Tribunale per far revocare questo provvedimento».

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ARMANDO DI LANDRO E GIULIANA UBBIALI, CORRIERE DELLA SERA 30/12 – 
L’agente della polizia penitenziaria che per tutto il funerale è rimasto alla sua sinistra gli mette una mano sulla spalla. La messa è quasi finita e Massimo Bossetti esce dalla prima fila per raggiungere il pulpito. Nella parrocchia di Terno d’Isola, si rivolge direttamente a Giovanni Bossetti, il papà morto la mattina di Natale a 73 anni. Per un’ora, in chiesa, non è l’imputato per l’omicidio di Yara Gambirasio, ma è un figlio che ha perso il padre. Legge un foglio, con un nodo in gola: «Papà, questa tua perdita ha lasciato un vuoto incolmabile. Dolore nel dolore. Non c’è sofferenza peggiore, i genitori sono il pilastro della nostra esistenza». Perché, continua, «si può avere tutto dalla vita, una moglie, dei figli, sorelle e fratelli, zii, ma quando mancano i genitori non sei più nessuno. Sono insostituibili, come lo eri tu».
Giovanni, dice Massimo, era «un perfetto marito, non ho nulla da rimproverare. Ci hai cullato, amato, cresciuto, insegnato tante cose». Poi scende gli scalini e va a baciare la foto del padre sopra la bara. Quando torna nel banco con gli occhi gonfi per le lacrime, la mamma Ester Arzuffi lo stringe in un lungo abbraccio. In seconda fila c’è la moglie Marita Comi. Lui si volta, piange disperato e anche lei lo stringe forte. Era arrivata poco dopo il resto della famiglia, con la chiesa già piena di gente, e si era seduta sul lato opposto a quello dei Bossetti. Ha cercato il marito con lo sguardo e poi è andata a sedersi dietro di lui.
Quando è il momento di tornare in carcere l’ultimo abbraccio per Massimo è della sorella gemella Laura Letizia. Gli altri proseguono a piedi verso il cimitero, dove Marita rimane nell’ombra della discrezione, per poi avvicinarsi alla suocera e abbracciarla. La madre e la moglie, le due donne che il giorno dell’arresto di Massimo si sono scontrate. «Dovevi dirmelo», le aveva urlato Marita riferendosi alle indagini sul Dna: il suo «Massi» figlio naturale dell’autista di Gorno Giuseppe Guerinoni, non di Giovanni Bossetti.
Ester e la figlia Laura Letizia sono arrivate sull’auto scura della security privata ingaggiata dal loro avvocato Benedetto Maria Bonomo: cinque uomini con gli auricolari sono rimasti a fare quadrato attorno ai Bossetti anche in chiesa, con gli occhi puntati su chi armeggiava nelle tasche o nelle borse. Ma anche i carabinieri e gli agenti della polizia penitenziaria in borghese, per almeno un’ora prima della messa hanno fatto su e giù in chiesa per controllare che non ci fosse nessuno, appostato con telecamere indiscrete. Sono sempre rimasti attorno all’imputato, senza mai allentare l’attenzione. E non si sono lasciati sfuggire il telefonino spuntato dalle tasche di un ragazzo. Un agente l’ha fulminato con lo sguardo, lui è uscito. Si è materializzato così il desiderio di riservatezza dei Bossetti.
Armando Di Landro e Giuliana Ubbiali