Stefano Lorenzetto, Panorama 20/01/2016, 20 gennaio 2016
Sa che il sospetto infamante insinuato nell’opinione pubblica è quello. E allora il sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato della Santa Sede preferisce mettere da parte il linguaggio da diplomatico di lungo corso e parlare chiaro, anche a costo di arrecare un dispiacere alla Vergine del Silenzio effigiata a fianco dell’ascensore che dal Cortile di San Damaso porta alla terza Loggia del Palazzo Apostolico: «Il Vaticano non è un covo di ladri
Sa che il sospetto infamante insinuato nell’opinione pubblica è quello. E allora il sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato della Santa Sede preferisce mettere da parte il linguaggio da diplomatico di lungo corso e parlare chiaro, anche a costo di arrecare un dispiacere alla Vergine del Silenzio effigiata a fianco dell’ascensore che dal Cortile di San Damaso porta alla terza Loggia del Palazzo Apostolico: «Il Vaticano non è un covo di ladri. Rappresentarlo così costituisce una falsità assoluta. Trovo sommamente ingiusto che i nostri dipendenti, orgogliosi di svolgere un servizio per il Papa e per la Chiesa, da qualche tempo siano arrivati al punto di doversi vergognare a dire in giro che lavorano qua dentro». Non sarà la conferenza stampa di fine anno del premier Matteo Renzi, ma il messaggio che l’arcivescovo Angelo Becciu decide di affidare a Panorama nell’ultimo giorno del 2015 traccia una linea di demarcazione nello scandalo Vatileaks 2, cominciato due mesi fa con l’uscita contemporanea dei libri Via crucis di Gianluigi Nuzzi e Avarizia di Emiliano Fittipaldi e sfociato in un processo in corso presso il tribunale vaticano. Il numero due della Segreteria di Stato è tornato apposta dalla Sardegna, dove s’era recato a far visita al padre Antonio, «che a giugno compirà 100 anni, a Dio piacendo». La prima a stupirsi è la guardia svizzera di turno alla Porta di Sant’Anna: «Ha appuntamento con il sostituto? Il 31 dicembre?» interroga con marziale diffidenza, prima di telefonare ai piani alti per sincerarsene. Visto dal confine fra Città del Vaticano e Italia, il più piccolo Stato del mondo può dare l’impressione di reggersi su cose molto terrene. «No, sorella, oggi lo Ior è chiuso» e la suora se ne va perplessa per l’inaspettata vacanza feriale. «No, signore, la farmacia riaprirà il 2 gennaio» e l’anziano si allontana contrariato. «No, signori, gli inviti per il Te Deum sono finiti» e la coppia di sudamericani scopre che stasera non potrà accedere alla basilica di San Pietro. Ma le apparenze spesso ingannano. All’ultimo piano del Palazzo Apostolico, per esempio, oggi è regolarmente al lavoro anche il vice di Becciu, monsignor Peter Bryan Wells: nella linea di comando vaticana è l’assessore per gli Affari generali e ha in custodia l’anello del Pescatore con cui vengono autenticati tutti gli atti ufficiali del Pontefice regnante. Nel 2012 lo scandalo dello Ior. Adesso quello della Cosea, la commissione referente che avrebbe dovuto riorganizzare la struttura economico-amministrativa della Santa Sede. La sensazione è che cardinali e prelati utilizzino per scopi personali le donazioni dei fedeli. A cominciare dall’Obolo di San Pietro, che dipende da lei. Dispiace che all’esterno appaia questo. Posso assicurare che è un’immagine totalmente distorta. I giornalisti dovrebbero essere più precisi e dire che l’Obolo serve per le molteplici necessità della Chiesa universale, non solo per le opere di carità in favore dei più bisognosi. Nessuno imbroglia i fedeli quando le loro elemosine vengono utilizzate per sovvenzionare le strutture ecclesiastiche. È una prassi antica. Nuzzi sostiene che «ai poveri vengono destinati soltanto 2 euro su 10». Proprio qualche giorno fa Benedetto XVI mi ricordava come, da bambino, il 29 giugno, festività dei santi Pietro e Paolo, versasse l’offerta per l’Obolo convinto che il Papa l’avrebbe usata come meglio riteneva. Tale è anche la certezza dei fedeli di tutto il mondo quando fanno la donazione al Santo Padre. Vogliamo portare la quota destinata alla carità da 2 a 6 euro? Su 4 mila dipendenti, ne dovremmo subito licenziare 400. Preferiamo non caricare il governo italiano di questo ulteriore peso e attenerci alla raccomandazione di Papa Francesco: «Riformate, ma che nessuno resti senza lavoro». Vi viene contestato di sanare i buchi della curia romana con l’Obolo di San Pietro. Il bilancio è pubblico, approvato dal Santo Padre e dal consiglio dei cardinali. Vi si può leggere come lo usiamo anche per ripianare i deficit della Radio Vaticana o dell’Osservatore Romano e per sostenere le nunziature apostoliche, vale a dire le rappresentanze diplomatiche della Santa Sede, le quali fra l’altro svolgono un servizio indiretto verso i poveri. È tramite esse, infatti, che il Papa fa pervenire la sua carità alle popolazioni colpite da improvvise calamità naturali e provvede alla distribuzione annuale dei sussidi finanziari in favore delle chiese missionarie. Nuzzi in Via crucis scrive che «la segreteria di Stato mostra una situazione finanziaria in negativo e anche confusa». Falso. La situazione è trasparente e perfettamente nota a Sua Santità. Sostiene che allo Ior sono ancora aperti conti correnti intestati a Paolo VI e a Giovanni Paolo I, si chiede perché non siano stati chiusi e se vi vengano movimentate somme di denaro, e conclude che a queste domande il sostituto non ha mai risposto. Io? Lei è il primo giornalista a interpellarmi sull’argomento. Se non ricordo male, si trattava di giacenze mai utilizzate di cui ci si è accorti durante la riorganizzazione dello Ior. Nuzzi scrive su Facebook: «5.846 cittadini del Vaticano hanno diritto, con una tessera, a fare acquisti senza pagare l’Iva. E allora come è possibile che le tessere siano 41 mila?». È possibile perché moltissime di esse sono semplici carte di riconoscimento, non tessere per gli acquisti. Poi, mi lasci dire, potevano essere non 41 mila, ma 3 milioni, quanti sono gli abitanti di Roma o, meglio, poteva non esserci alcun limite. Per caso lei ha notizia che a San Marino, nel Principato di Andorra o in Canton Ticino la gente sia fornita di una tessera per potervi accedere? Il rilascio di un badge per l’entrata in Vaticano non rappresenta un’agevolazione, bensì una forma di controllo sugli ingressi nel territorio dello Stato. L’uso delle tessere è quindi un limite che la Città del Vaticano impone a quanti vorrebbero farvi visita ed effettuare acquisti al suo interno. Concorderà che tutto questo va a scapito dei suoi interessi, altro che favorire l’evasione fiscale! Ma alla fine chi sono i titolari delle tessere? Oltre ai cittadini vaticani, meno di 500, dispongono di tessere i dipendenti, i pensionati e le persone da essi delegate, per esempio le mogli e le colf. Poi il corpo diplomatico, gli ordini religiosi, il vicariato di Roma, l’ospedale Bambin Gesù, le basiliche papali, i parroci e i viceparroci di Roma e provincia, le università pontificie e altre categorie che collaborano professionalmente con il Vaticano. Che impressione ha ricavato dalla lettura dei libri di Nuzzi e Fittipaldi? La documentazione pubblicata era già a mia conoscenza. Non mi piace l’atteggiamento degli autori, quasi si sentissero investiti di una missione divina per la salvezza della Chiesa. Papa Francesco lo ha scandito con chiarezza all’Angelus, tre giorni dopo l’uscita dei loro libri: rubare quei documenti è stato un reato, un atto deplorevole che non aiuta, tanto più che gli erano ben noti. Però siamo qui a parlarne. Vorrei essere molto chiaro sul punto: non è in discussione il diritto dei giornalisti a pubblicare le notizie di cui vengono in possesso. I dubbi riguardano il modo in cui si sono procurati queste notizie. Vi è un processo in corso che lo accerterà. Comunque mi chiedo: perché le fonti dei due libri che il signor Nuzzi ha scritto sull’argomento sono sempre finite in carcere? Non mi pare una benemerenza. E che ne sarebbe stato dell’aiutante di camera Paolo Gabriele, che nel 2012 gli passò i documenti rubati al Papa apparsi in Sua Santità? Non mi risulta che il Nuzzi si sia preoccupato del suo destino. L’unico a farlo è stato Benedetto XVI, che con infinita bontà lo graziò e ci supplicò: «Se proprio bisogna licenziarlo, fatelo. Ma trovategli un altro lavoro. Non voglio che i suoi figlioli abbiano a soffrirne». Se lei fosse un gallerista e io le portassi un quadro, dicendole che è stato sottratto al legittimo proprietario, lo metterebbe in vendita? Me lo impedirebbe il bambino che è ancora vivo in me. Ricordo che un giorno tornai a casa tutto trionfante con una penna. Mia madre mi riportò all’asilo tenendomi per un orecchio: «Di’ a chi l’hai presa e rendigliela». Quindi, se fossi un gallerista, no, non lo metterei in vendita. E se un gallerista venisse a confessarsi accusando questo peccato, gli darei l’assoluzione solo dopo che avesse restituito il maltolto. Fuor di metafora, io qualcosa che è stato sottratto al Papa non l’avrei mai utilizzato. Ma se i soldi diventano la misura di ogni cosa, allora consideriamoci pure tutti assolti. Almeno smettiamola, però, di tirare in ballo l’etica e la libertà di stampa. Autorevoli osservatori avevano pronosticato che il processo contro monsignor Lucio Ángel Vallejo Balda e Francesca Immacolata Chaouqui, il segretario e la componente della Cosea accusati d’aver costituito «un sodalizio criminale organizzato», sarebbe finito prima dell’inizio del Giubileo della misericordia, magari con un indulto. Si ha invece la sensazione che il Vaticano lo stia tirando per le lunghe. La bufera mediatica vi ha spaventato? Per nulla. Il desiderio era quello, proprio per non disturbare l’Anno santo. Ma il presidente del tribunale ha ritenuto di approfondire le indagini e di concedere più tempo alla difesa dei due imputati, che con il collaboratore Nicola Maio e i giornalisti Nuzzi e Fittipaldi sono accusati di essersi illegittimamente procurati documenti concernenti interessi fondamentali della Santa Sede. Ma ha senso processare in Vaticano due cronisti che nell’esercizio della loro professione rispondono solo alle leggi dello Stato italiano? Mi intenda bene: siamo grati al Nuzzi e al Fittipaldi per essersi sottoposti volontariamente al giudizio. Non erano tenuti a farlo. Chi e perché ha suggerito a Papa Francesco i nomi di Vallejo Balda e Chaouqui? Non lo so. Con il Pontefice eletto da poco, vi era una forte spinta a innovare anche le procedure di chiamata. Il tradimento dei due è stato uno schiaffo al Santo Padre. Avevano giurato sul Vangelo di non rivelare a nessuno quanto visto, sentito e letto nello svolgimento del loro compito. Eppure il vaticanista Sandro Magister vi aveva messo in guardia fin dal luglio 2013 nel suo blog Settimo cielo: «C’è da aspettarsi che Francesca Chaouqui creerà grattacapi in Vaticano, viste le indiscrezioni che grazie a lei compaiono su Dagospia, di cui è informatrice assidua per quanto riguarda il gossip e i veleni curiali». Il Santo Padre ha riconosciuto che è stato commesso un errore. E qui mi fermo. Prima di mettervi in casa un collaboratore, a chi chiedete informazioni? Ai vescovi e ai parroci. Dovreste rivolgervi anche ai carabinieri. Non so se i parroci ne sentano il bisogno. Chaouqui ha dichiarato alla Stampa che è «nei guai per uno squallido gioco di potere» fra cardinali e che molti in Vaticano «sperano che Papa Bergoglio muoia da un giorno all’altro». Non commento le sciocchezze. Non crede che lo screditamento della Chiesa possa rientrare in un disegno per privarla della sua autonomia economica? È già avvenuto una volta con i Savoia, vedi le leggi Siccardi del 1850. Tutto può succedere. Sono restio alle dietrologie. Devo però ribadire con fermezza che non siamo un’accolita di corrotti e incapaci. La Cosea ha messo in evidenza, oltre ad aspetti positivi, anche alcune storture. Per casi isolati accaduti allo Ior o all’Apsa sono state prese le necessarie contromisure. Il Papa ha avviato una riforma, creando la Segreteria per l’Economia. Ora si tratta solo di darle una chiara veste giuridica. Lei ha affiancato il cardinale Tarcisio Bertone in Segreteria di Stato. Che cosa pensa dei 150 mila euro che egli ha deciso di versare all’ospedale Bambin Gesù dopo i restauri dell’attico in cui abita, pagati a sua insaputa da quell’ente? È stata una decisione personale per aiutare la clinica pediatrica. Ho l’impressione che il cardinale Bertone sia diventato un facile bersaglio dei giornalisti. È un fatto che i cardinali della curia romana vivono in spazi principeschi, mentre Papa Francesco si accontenta di meno di 50 metri quadrati. Vero. Però molti di questi spazi risalgono agli anni Trenta, quando i cardinali erano in effetti considerati principi della Chiesa e come tali venivano trattati. Ho sentito il Nuzzi affermare in tv che si dovrebbero traslocare tutti i porporati a Casa Santa Marta e affittare i loro alloggi a canoni che frutterebbero al Vaticano grosse entrate, senza più obbligarlo a ricorrere alle offerte dei fedeli per il mantenimento delle strutture centrali della Chiesa. L’idea mi pare populistica ai limiti del ridicolo. Trasferire i cardinali significa forzare la volontà di persone già anziane. E poi: dove sistemare i sacerdoti, minutanti della Segreteria di Stato, che oggi vivono a Santa Marta? Dovremmo costruire un altro palazzo in cui ospitarli. Sulla base di un pregiudizio ideologico, ci si chiede cioè di lasciare sfitti gli appartamenti e di sprecare ingenti risorse in nuova edilizia. E questo sarebbe amore per i poveri? Perché resterebbero sfitti? Perché non è consentito locarli a persone estranee al Vaticano. Quegli appartamenti si trovano nelle sedi dei dicasteri, che in quanto tali godono del privilegio dell’extraterritorialità. Vi possono abitare solo cittadini o dipendenti vaticani. Immagini che pandemonio si scatenerebbe se per disgrazia finissero in affitto a evasori fiscali o comunque a individui ricercati dalla giustizia, che così potrebbero usufruire dell’immunità. I sospetti si allungano sulle diocesi. La Procura di Marsala ha inquisito il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, accusandolo d’aver spostato migliaia di euro della curia sul proprio conto corrente. Ma sarebbero anche in ballo 1 milione di euro del mutuo per la costruzione di tre chiese svanito nel nulla, 570 mila euro di fondi dell’8 per mille destinati a usi impropri, prestiti di favore, spese pazze. È difficile esprimersi sulla scorta di notizie pubblicate dai giornali. Sono in corso indagini e tutti noi abbiamo fiducia nella magistratura. Spero, per la sua onorabilità, che quanto il presule afferma in propria difesa sia vero. Monsignor Mogavero tiene un’omelia domenicale sul Fatto Quotidiano, consigliò le dimissioni al premier Silvio Berlusconi, «per il bene del Paese», e al direttore di Avvenire, Dino Boffo. Ora non dovrebbe per coerenza rinunciare al governo della diocesi? Dico solo questo: non mi è piaciuto che su Rai 3 abbia parlato, a proposito di Via crucis e Avarizia, di volontà moralizzatrice, di trasparenza, di legalità. Chi di spada ferisce. Eeeh... Adesso non esageri. Come mai tutti i pezzi grossi chiamati dal Vaticano a occuparsi di mass media e di finanze arrivano dall’Opus Dei? Joaquín Navarro-Valls, Ettore Gotti Tedeschi, Greg Burke, monsignor Vallejo Balda. Anche Chaouqui si è dichiarata «spiritualmente molto vicina» all’Opera. Dichiararsi vicino non significa nulla. Burke, ex giornalista di Time, nominato vicedirettore della Sala stampa vaticana dall’1 febbraio prossimo, è stato scelto per la sua professionalità. Se poi fa parte dell’Opus Dei, è un onore per la prelatura esprimere persone di valore. Noto un paradosso: il Papa passa per marxista ma è circondato da membri di una prelatura conservatrice. Marxista? Lo dice per scherzo, spero. Non lo dico io: glielo rinfacciano in molti, soprattutto negli Stati Uniti. Francesco stesso ha scherzato su questa nomea «sinistrina». Sì, ma allora andrebbe anche ricordato che ha definito sbagliata l’ideologia marxista. E che, quand’era giovane superiore dei gesuiti in Argentina, fu rimosso perché non approvava la teologia della liberazione. La passione per i poveri non è un’esclusiva del comunismo. Come sta Papa Francesco? Ha avuto un po’ d’influenza, ma si è subito ripreso. Ci sorprende con le sue energie. Appena tornato dal massacrante viaggio in Africa era già al lavoro. Toccò a lei smentire con un tweet la notizia che fosse affetto da un tumore al cervello: «Che è ’sta gazzarra sulla sua salute?». Non le sembra un linguaggio poco consono a un sostituto? A essere sincero volevo usare un’espressione romanesca più colorita, ma poi ho preferito cambiarla. Strano, lei trova il tempo di trastullarsi con Twitter, mentre io, che ho molte meno responsabilità, non lo frequento. Amo i mezzi di comunicazione. Bazzicavo anche Facebook: mi ha consentito di confessare. Confessa su Facebook? Capiamoci: mi ha permesso d’intavolare dialoghi spirituali, che poi potevano portare alla confessione sacramentale data di persona. È accaduto. Ho notato che su Twitter lei segue, con L’Osservatore Romano e Avvenire, anche Tuttosport e La Gazzetta dello Sport. Mi parla di un altro tipo di fede. Posso sapere per chi tifa? Ahia! Si ricordi che provengo dal Regno sabaudo di Sardegna. Quindi Cagliari e... Juventus. Sarebbe più fede quella nel Toro. Ha prevalso l’amore per il latino. Ha portato Paolo Brosio, telecronista tifoso della Juve, in udienza da Bergoglio. Mi aveva molto colpito il suo pianto durante una finta telefonata di Francesco organizzata da una trasmissione televisiva. Ne ho parlato con il Papa, che mi ha detto: «Chiamalo». Non sto a raccontarle la fatica per convincere il giornalista che non si trattava di un altro scherzo. So che hanno parlato delle apparizioni a Medjugorje, dove Brosio s’è convertito. È così. Si sta valutando l’opportunità che la Santa Sede dia indicazioni pastorali sul culto mariano in quella località. Secondo un tweet del 29 luglio scorso, prontamente ripreso da Dagospia, lei avrebbe dovuto essere rimosso al termine del viaggio papale negli Stati Uniti. Invece mi ritrovo ancora qui. I cosiddetti bene informati non ne azzeccano una. Papa Francesco ha più volte messo in guardia la curia romana dalla tentazione del carrierismo. È così diffusa? È più diffusa l’umile operosità di chi va in pensione a 75 anni, dopo 40 di lavoro compiuto in silenzio, nel nascondimento, senza mai pretendere nulla. Ma vengono spesso a sollecitarle una promozione? Capita che qualcuno desideri avanzare di grado. C’è l’aspetto positivo: aspirare a qualcosa che motivi maggiormente la persona. E c’è l’aspetto negativo: lasciarsi tormentare da una nomina che non arriva mai. LORENZETTO Stefano. 59 anni, veronese. È stato vicedirettore vicario del Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Scrive per Panorama, Arbiter e L’Arena. Ultimi libri: Buoni e cattivi con Vittorio Feltri e L’Italia che vorrei (entrambi Marsilio). LORENZETTO Stefano. 59 anni, veronese. Prima assunzione a L’Arena nel ’75. È stato vicedirettore vicario di Vittorio Feltri al Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Scrive per Panorama, Arbiter e L’Arena. Quindici libri: Buoni e cattivi con Vittorio Feltri e L’Italia che vorrei (entrambi Marsilio) i più recenti. Ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent di giornalismo. Le sue sterminate interviste l’hanno fatto entrare nel Guinness world records.