Armando Gallo, Oggi 13/01/2016, 13 gennaio 2016
VICNO L’OSCAR E POI SALVO LA TERRA
Los Angeles (Stati Uniti), gennaio
Quest’anno arrivano due grandi film western al cinema. Il molto atteso Hateful Eight di Quentin Tarantino (il 4 febbraio) e, dal 14 gennaio, Revenant - Redivivo di Alejandro Gonzales Iñarritu. Entrambi sono capolavori, ma se il film di Tarantino sconfina nel comic book, quello di Iñarritu ha qualcosa di speciale che sfiora il poetico-spirituale.
Revenant - Redivivo è la storia di Hugh Glass (un Leonardo DiCaprio dal profumo di Oscar), un leggendario esploratore e scout delle compagnie di cacciatori di pelli dei primi anni dell’Ottocento; 200 anni fa l’America era un posto inesplorato e selvaggio popolato da una quantità infinita di animali, le pelli di castoro erano le più usate per confezionare gli eleganti cappelli delle ricche signore di Parigi e Londra e, in generale, le pelli erano allora l’unica merce esportata in Europa. Per questo le compagnie francesi e inglesi setacciavano le foreste del Nordamerica lottando quotidianamente con le numerose tribù indiane.
Revenant - Redivivo è un western come non si era mai visto prima. La storia di Hugh Glass è già stata raccontata in Uomo bianco, va’ col tuo dio! - nel 1971 con Richard Harris - ma Iñarritu è stato capace di portarci in modo straordinario nel Dakota del 1823.
Il film inizia in un giorno di fine estate quando l’accampamento di una di queste compagnie di cacciatori viene assalito da Sioux sul sentiero di guerra. La scena, girata con una lente sperimentale da 14mm, sembra quasi realtà virtuale. Una scena che porta lo spettatore dentro l’accampamento stesso e rende tutta la violenza di una lotta mortale tra frecce, sparatorie, accette che volano, scalpi, fuochi, grida, fango e morte. Pochi cacciatori riescono a fuggire sul fiume con le pelli salvate su un unico barcone. Leonardo DiCaprio recita in una parte totalmente diversa da quelle interpretate finora. Hugh - veniamo a sapere tra sogni e visioni - vive tra queste foreste da almeno 20 anni. Ha perso la sua donna indiana, ma tiene vicino a sé il loro figlio 17enne e con lui guida la spedizione. Finché viene attaccato da un orso e... Non sveliamo niente nel dire che il film è una storia epica di soppravivenza.
DiCaprio, ci racconti come sono andate le riprese.
«Ci siamo preparati per mesi, fisicamente e psicologicamente. Non mi sono tagliato barba e capelli per quasi due anni. Abbiamo interpretato uomini dalla forza brutale, avventurosi, senza paura, a volte disperati, che affrontavano un lavoro praticamente letale: cacciare animali selvatici in territori ostili, popolati da tribù di nativi».
Dove avete girato?
«Nelle foreste a nord di Alberta, nel centro del Canada. Dato che era inverno avevamo solo un’ora e mezza o due al giorno per le riprese. Alejandro voleva girare con luce naturale e tutto il resto del tempo era dedicato alle prove. Ogni ciak era preparato nei minimi dettagli. Questo è senza dubbio il film più difficile che abbia mai fatto, per come ho dovuto immedesimarmi nel personaggio e nel periodo».
È vero che ha mangiato il fegato di un bisonte?
«Dovevo scegliere tra uno finto di gelatina e quello vero, e l’attore indiano nella stessa scena stava mangiando quello vero da ore. “Fa parte della nostra cultura”, mi ha spiegato. Così ho lasciato perdere quello finto. Il fegato è come avvolto da una specie di membrana che ti scoppia in bocca quando lo mordi e l’effetto che mi ha fatto lo si vede nel film» (ride).
L’attacco dell’orso quasi sicuramente entrerà nella storia del cinema. È terribile!
«Lo so, quella scena piacerà al pubblico. Alejandro mi ha chiesto di non rivelare molto, ma posso dire che abbiamo fatto le prove per tre settimane prima di girarla. E poi abbiamo girato per due settimane. Quando ho visto il risultato finale sono rimasto anch’io stupefatto. Alejandro è un genio».
C’è qualcosa di poetico nelle scene che mostrano i sogni deliranti di Glass, molta spiritualità.
«Quando Alejandro ha preso in mano il copione ha voluto aggiungere proprio questo per fare capire meglio chi fosse Hugh Class. Non esistono documenti scritti su di lui, ma solo l’epico viaggio di 300 chilometri dopo l’incontro con l’orso. Era un ottimo scout e sapeva trattare con gli indiani. I nativi d’America per la prima volta non sono visti come selvaggi brutali, ma uomini con il senso dell’onore e una spiritualità in armonia con il creato».
Volendo tirare le somme all’anno appena terminato, cosa sente?
«Che siamo a un importante crocevia nella storia dell’umanità. Le decisioni che verranno prese riguardo i cambiamenti climatici saranno molto decisive per il futuro del pianeta. Il 2015 è stato l’anno più caldo di tutti i tempi. L’ho anche constatato in prima persona girando questo film: sebbene fossimo in Canada, la neve e il ghiaccio erano già spariti a marzo e l’intera produzione si è dovuta trasferire nella regione più a sud dell’Argentina, nella Terra del Fuoco, perché avevamo bisogno della neve per girare l’ultima scena».
Qual è il più grosso ostacolo che impedisce un cambiamento?
«I soldi, il capitalismo, la dipendenza dal petrolio. Tutto ciò è difficile da sradicare. A chi non piacciono i soldi?».
Auto elettriche, la raccolta differenziata, il riciclo e il movimento verde aiutano?
«Certo, ma deve sorgere un movimento più forte, magari guidato da Facebook e Google che possono diventare dei motori di avviamento. Il movimento per un mondo pulito deve estendersi, deve coinvolgere i leader politici».
Lei ha sempre usato la sua celebrità per conoscere persone giuste e fare cose egregie. Qual è la sua ultima scoperta?
«Consiglio a tutti di dare un’occhiata a Divest Invest (http://divestinvest.org) che suggerisce di ritirare ogni investimento da petrolio, gas e carbone per re-investire in energia rinnovabile, pulita. Dobbiamo smettere di sputare monossido di carbonio nell’atmosfera e interrompere l’effetto serra».
Chi l’ha ispirata in tutto questo?
«Mio padre, da sempre. È una persona attenta, intelligente e colta. È lui che mi ha aperto gli occhi sulla grande fortuna che Titanic mi aveva regalato: “Circóndati di persone valide”, mi disse. Subito dopo andai alla Casa Bianca e conobbi Al Gore, allora vicepresidente, che mi espose chiaramente il problema climatico. Era il 1999 e creai subito la mia Foundation, cinque anni prima del documentario di Gore, quello che vinse l’Oscar. È dovere di tutti noi, ma soprattutto di chi è al timone politico e tecnologico, fare rinascere questo pianeta. È lui il vero Redivivo».