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 2016  gennaio 14 Giovedì calendario

LA CINA VACILLA, MA NON È LA FINE DEL MONDO (PER ORA)

Martedì 19 gennaio saranno svelati i numeri sull’andamento dell’economia cinese nel quarto trimestre del 2015. La crescita dovrebbe attestarsi intorno al 7 per cento, la più bassa da 25 anni. Un dato che fa tremare le Borse: con il peggiore avvio da vent’anni, nelle prime sedute di gennaio i mercati mondiali hanno bruciato più di 2.300 miliardi di dollari. Eppure, nonostante i forti scossoni della Borsa di Shanghai, la crisi della Cina non è vicina. Solo se il governo di Pechino non saprà risolvere nel tempo i numerosi problemi che si stanno accumulando sul suo tavolo, il Paese asiatico potrà trasformarsi in futuro in una minaccia per l’economia mondiale. La tesi è di un italiano che conosce bene la Cina: Sergio Bertasi, 57 anni, chief representative di Intesa Sanpaolo a Pechino, vicepresidente della Camera di commercio italiana in Cina e numero due del Gruppo banche estere della Camera di commercio europea nella capitale cinese.
Tra i suoi conoscenti in Cina percepisce un clima di crisi o di preoccupazione? No, non tanto da incidere sulle loro abitudini o sui livelli di consumi. Più che altro percepisco un po’ di preoccupazione per quanto sta accadendo in Borsa e per quello che può succedere in futuro all’economia.
Molti cinesi giocano in Borsa: pensa che le perdite subite dai risparmiatori in questi giorni avranno un impatto sui consumi? Per ora mi sembra che gli effetti siano più psicologici che reali: di solito viene investita in Borsa una quota di risparmio considerata non essenziale.
Dobbiamo preoccuparci per il calo della Borsa cinese? È giusto prestare attenzione ai segnali che arrivano dal mercato borsistico perché sono un sintomo di problemi più gravi: anzitutto il rallentamento della crescita, con i consumi interni che non aumentano come ci si aspettava mentre la Cina perde quote di export sui mercati internazionali. Infatti Pechino sta svalutando il renminbi: non è forse questa è la vera minaccia per l’economia mondiale? Non lo è se il governo continuerà ad assecondare la discesa graduale del cambio, evitando forti ribassi. Del resto, gli stessi americani con il rialzo dei tassi di interesse stanno provocando una rivalutazione del dollaro. Non c’è il rischio che si scateni un attacco speculativo contro la moneta cinese? Non credo: la Cina ha intaccato le proprie riserve per difendere il cambio, ma ne ha ancora tante da scoraggiare un attacco speculativo. Come stanno reagendo le aziende italiane presenti in Cina con cui avete rapporti di lavoro? Per ora con molta calma e tranquillità. Chi è qui lo è per motivi strategici e non è condizionato dai ribassi della Borsa. Alcuni sostengono che la Cina rappresenti la maggior minaccia per l’economia mondiale: è d’accordo? Lo è, ma non a breve termine. Mi spiego: una svalutazione del 20 per cento del renminbi o un improvviso rallentamento della crescita al tre per cento annuo avrebbero un forte impatto sull’economia mondiale. Ma non sono eventi probabili. L’importante è vedere se Pechino riuscirà a risolvere nel tempo i problemi, anche sociali, che attanagliano la Cina e a governare le tendenze di fondo dell’economia. Questa è la vera scommessa. Se si guardano i dati dell’Ocse (vedi grafico), si scopre che il commercio con la Cina ha un peso tutto sommato modesto sul Pil italiano e di altri grandi Paesi europei. E l’incidenza dell’export in Cina sul fatturato delle aziende italiane quotate in Borsa si ferma al 3,6 per cento. Non è che stiamo sopravvalutando l’impatto della Cina sulle nostre economie?
Non dimentichiamo i rapporti che legano la Cina agli Stati Uniti o ai Paesi asiatici. Un’eventuale crisi di Pechino creerebbe una serie di difficoltà a queste economie che a loro volta si riverberebbero, con un effetto a catena, anche in Europa.
Lei ha fiducia nelle capacità del governo cinese di tenere la barra del timone e guidare il Paese senza causare troppi choc al mondo? Ho fiducia che ci sia la volontà di farlo. A Pechino non c’è un governo di sprovveduti, sono consapevoli dei problemi del Paese. Semmai sono preoccupato perché le difficoltà sono tante, non solo economiche ma anche sociali.