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 2016  gennaio 09 Sabato calendario

SÌ, ANCHE I PROCURATORI FANNO DEL BENE


La figura meno amata del presepe calcistico è il procuratore: discute di soldi in un mondo fondato sulla passione, cura gli interessi del singolo in un ambiente votato alla squadra, mina le certezze del tifoso spingendo il campione verso un club più ricco, e accollandosi la parte del cattivo mentre il suo cliente – romanticamente ignaro – bacia la maglia sotto alla curva fino al penultimo giorno. Nella gerarchia del mestiere, molto ingrato fino al momento di incassare le percentuali sui contratti (lì diventa un gran bel lavoro), Mino Raiola occupa ormai una delle posizioni top: abbiamo irriso per anni le sue origini umili – noi, tutti laureati a Oxford – e intanto lui, da Nedved a Ibra, da Balotelli a Pogba, inseriva nel suo portafoglio un’impressionante quantità di stelle vere o potenziali. Quando tratta Raiola può essere sgradevole, ma l’indubbia capacità di far guadagnare molto bene i suoi assistiti non è l’unica motivazione del suo successo, come ci ha da poco ricordato la bella intervista del Guardian – firmata da Andy Hunter – a Romelu Lukaku. Il centravanti dell’Everton, belga di origini congolesi (il padre era nazionale dello Zaire), a soli 22 anni ha già un fallimento alle spalle: acquistato ragazzino dal Chelsea dopo i prodigi fatti vedere nell’Anderlecht, è stato ceduto due estati fa all’Everton dopo due tentativi mancati di diventare un blues. Mourinho non lo riteneva in grado di imporsi, ed è il secondo errore di valutazione che alla lunga gli è costato la panchina dopo quello commesso con De Bruyne. Perché Lukaku è cambiato, nel 2015 ha segnato 31 gol – record per il club – e la sua potenza offensiva è ciò che mantiene vivo il sogno di Goodison Park di tornare in Europa: a «costringerlo» a maturare – racconta – è stato l’incontro con Raiola. «Sin lì avevo sempre dato retta a mio padre, che grazie al suo passato di giocatore aveva tutte le risposte alle mie domande. Ma quando Mino è venuto a parlargli, l’ho sentito dire soltanto “sì, sì, sì” per l’intera durata del colloquio. Poi si è rivolto a me, e ha detto cose che mi hanno profondamente ferito, tipo che gioco con l’atteggiamento di una ragazzina che non ha mai fatto agonismo. Oppure che se voglio fare l’attaccante ciò che conta è segnare tanti gol, perché alla fine il metodo di valutazione di una punta è esclusivamente quello. Insomma, mi ha parlato in faccia come nessuno aveva mai fatto. E mi ha convinto».
La scorsa estate Lukaku non ha fatto vacanze. Nel periodo delle ferie è rientrato a casa a Bruxelles e, assieme al suo migliore amico, il portiere dell’Anversa Nicaise Kudimbana, ha lavorato per tre ore al giorno sul tiro in porta, aggiungendo il programma atletico disegnatogli da Roberto Martinez – il tecnico dell’Everton – e lunghe sessioni di palleggi al muro, metodo di allenamento ormai desueto ma che Liedholm considerava il migliore per affinare la tecnica. Forte del sacrificio, oggi Lukaku è il miglior centravanti della Premier assieme a Vardy. E Raiola è pronto a recitare la solita parte del cattivo. A meno che l’Everton non conquisti un posto in Champions, sarà un protagonista del prossimo mercato.