Pier Augusto Stagi, Avvenire 14/1/2016, 14 gennaio 2016
CUNEGO: «RICOMINCIO DA ME»
In vino veritas, sostenevano i latini. Nel vino è la verità. Cosa c’entra questo con Damiano Cunego, vino novello del ciclismo italiano che a soli 22 anni vinse un Giro d’Italia da urlo e di sè lasciò presagire un futuro semplicemente radioso? C’entra per il semplice fatto che oggi il corridore veronese da vino novello è invecchiato bene ma non benissimo. Il vitigno era senz’altro di quello buono, ma l’annata 2004 è e resta irripetibile. «Combinazioni magiche…», dice lui che viene da una terra che del vino fa la propria cifra distintiva. E poi il vino c’entra perché dopo dieci anni alla corte della Lampre di Beppe Saronni, da un anno è passato a difendere quella di un team nippo-italiano: la Nippo Vini Fantini, un connubio tra un colosso Giapponese dell’edilizia (la Nippo costruisce strade e ponti: 3 miliardi di euro di fatturato e duemila dipendenti, ndr) e una delle più belle realtà vinicole del Belpaese. E da quando Cunego è passato alla corte del team abruzzese diretto da Francesco Pelosi, il “Piccolo Principe” è anche caratterialmente cambiato. Si è aperto, si è liberato dai tanti fantasmi che spesso lo tormentavano e lo rendevano riservato e schivo. Ora Cunego, un Giro, tre Lombardia e un’Amstel a risplendere nel suo palmarés, ha il volto di sempre: quello di un ragazzino che a settembre compirà 35 anni, ma i suoi occhi, il suo sorriso e soprattutto il suo modo di porgersi con gli altri hanno una nuova angolatura e una nuova luce.
Merito del vino?
«Merito di una squadra che mi ha dato una scossa, ma nonostante io corra per una buonissima azienda vinicola, io bevo pochissimo. Diciamo che sono più un degustatore: amo bagnarmi le labbra, ma poco di più. In ogni caso non sono più un ragazzino. S’invecchia, o meglio, si matura e anch’io penso di essere cresciuto. Prima ero molto più diffidente, faticavo a lasciarmi andare, temevo sempre che dietro ad una domanda o una richiesta ci fosse chissà che cosa. Ora però ho imparato a riconoscere le persone».
Come definirebbe la prima stagione alla Fantini?
«Molto buona, perché ho trovato un ambiente eccezionale, una vera e propria famiglia. Non che alla Lampre di Saronni non mi sia trovato bene, ma forse dopo dieci anni dovevo cambiare aria non tanto per loro, ma per me. Avevo bisogno di una scossa. Dovevo darmi una mossa. Me la sono data e sono contento. Ho ritrovato continuità, anche se non ho trovato la vittoria, che mi manca però da troppo tempo, dalla Coppi & Bartali del 2013. Sono stato anche un po’ sfortunato, alcune corse mi sono sfuggite per un niente, come l’Appenino, una tappa e la classifica della Coppi & Bartali, oppure l’Emilia. In Coppa Italia sono arrivato primo a pari merito con Colbrelli, classifica quindi persa solo perché Sonny aveva vinto qualche corsa e io no. Poi al Giro d’Italia stavo anche andando benino, ma sul più bello sono caduto, spaccandomi la clavicola. Come dicevo ho raccolto tanti piazzamenti, e la vittoria mi è sempre sfuggita per un niente, ora però voglio pensare alla nuova stagione. Meno piazzamenti e più vittorie. Sento che si può fare».
Cosa pensa quando le muovono l’appunto di non aver mantenuto le attese?
«Ho vinto il Giro nel 2004, ero giovanissimo. Forse pensavano che avrei fatto facilmente incetta di Giri e Tour. Purtroppo io sono un corridore completo che se la cava su tutti i terreni ma non è specializzato in niente. Posso vincere una grande classica, come mi è successo, ma posso anche fare bene nei Grandi Giri, dove però ci sono specialisti molto più dotati di me. Io forse appartengo ad una categoria di ciclisti che oggi non c’è più. Quella che corre tutto l’anno, da febbraio ad ottobre e cerca di dare il meglio di sé in ogni corsa».
Cosa le piacerebbe fare da grande?
«Intanto sono in scadenza di contratto e mi piacerebbe strappare alla fine di questa stagione una riconferma di almeno due anni. Poi mi vedo bene come allenatore».
Cosa chiede al 2016?
«Intanto un invito per correre il Giro d’Italia (la sua squadra ha bisogno della wild-card degli organizzatori, ndr). Se sarò al via, non farò una corsa per la classifica, ma per tornare a vincere almeno una tappa. Poi correrò qualche classica del nord. E anche la coppa Italia m’interessa parecchio, soprattutto quella a squadre».
Dopo sette anni, l’inchiesta di Mantova, che la vedeva sul banco degli imputati con tanti altri componenti della Lampre, si è chiusa con un’assoluzione piena e totale: come ha vissuto questa vicenda che a livello mediatico ha avuto una grande rilevanza?
«Se proprio glielo devo dire, con grande disagio e imbarazzo. Io mi sono sempre dichiarato estraneo, e i fatti mi hanno dato ragione. Il pm Condorelli, che aveva costruito l’impianto accusatorio è stato lui stesso a chiedere per me Saronni & C. l’assoluzione, ma sette anni di campagna mediatica non propriamente favorevole non posso dire che mi abbia fatto piacere. Anche a livello di rendimento ha influito e non poco. Non è bello finire sui giornali con quelle accuse. In ogni caso ne sono uscito a testa alta, e questa è la vittoria più bella, quella che più desideravo, e che valeva un bel brindisi». Prosit.