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 2016  gennaio 12 Martedì calendario

COM’È CHE SIAMO DIVENTATI PIÙ ALTRUISTI?

Stephen Pinker scrive un saggio sul declino della violenza. Un volume poderoso. Con molti strumenti statistici dimostra – oddio, sembra strano – quello che i dati (oggettivamente) illustrano: un lento declino del tasso di violenza. Sì, d’accordo, non è scontato che il trend duri, dichiara Pinker, e lo ribadisce ogni volta che può, e tuttavia a partire dal Settecento il processo di civilizzazione procede con passi più lunghi: siamo diventati meno rigidi, più aperti, più educati, controllati. Pinker individua due momenti simbolici. Primo: la parola “anima” cede il passo alla parola “vita”. Quando c’era l’anima io ti potevo anche torturare, che vuoi che siano tre ore di torture, sia pure con strumenti orribili, cosa vuoi che sia la sofferenza di questo corpo, comunque destinato alla degradazione, se io, attraverso il dolore, ti salvo l’anima, e per l’eternità? Ci si può ragionare: in effetti la parola vita cambia tutto, perché vita significa qui e ora, e non solo, vita è anche una successione di momenti. O meglio, la vita non è contenuta solo nel passato, non dobbiamo solo salvarci l’anima, ma badare anche alla nostra vita: sì, qui e ora, e immaginarci, soprattutto, proiettati nel futuro. Il futuro appunto: non è solo rispondere alla domanda “dove finirà la nostra anima, dannata tra le fiamme o beata in paradiso?”. Eh no, il futuro è anche capacità di investire sul presente, per garantirsi una vita migliore: per esempio, avere fiducia nel prossimo, magari prestargli dei soldi, affinché possa mettere su un’attività, guadagnare e restituire il capitale iniziale.
Fate gli affari non la guerra (o per lo meno, si pensò tra Sei e Settecento, fate sì le guerre ma per meglio commerciare). Anche perché la torta – si stava ora scoprendo – si poteva ingrandire. Il secondo punto che Pinker individua è l’ascesa dell’empatia e dunque una nuova forma di rispetto per la vita umana.
Il motto: commerciate e non guerreggiate – perché così facendo aumentate la porzione torta – ha portato alla luce nuove classi sociali: commercianti, agricoltori, scienziati, assicuratori. Ecco che ne arriva un’altra: la classe di lettori.
E i lettori sono empatici. Naturalmente l’empatia o la pietà verso il prossimo non sono venute fuori d’emblée durante il Settecento, sono sentimenti connaturati nel genere umano. François de La Rochefoucauld, in una sua massima, offre una descrizione abbastanza precisa e cinica e dunque poetica: “La pietà è un sentimento dei propri mali in una persona estranea: è un’abile previsione delle sventure che ci possono capitare e che ci fa prestare soccorso agli altri per impegnarli a restituircelo in occasioni simili, cosicché i servizi che rendiamo a quelli che sono incappati in qualche sventura sono, propriamente parlando, benefici anticipati che facciamo a noi stessi”. L’altruismo, in fondo, è solo egoismo ritardato. Insomma, umano, molto umano, ce lo portiamo dietro dalla notte dei tempi. Tuttavia la domanda interessante è: cosa può aver ampliato il cerchio dell’empatia? Secondo Pinker, appunto: l’alfabetizzazione. La lettura è solo tecnologia, un cannocchiale per guardare mondi lontani più da vicino. Se si accede ad altri mondi, quelli pur numerosi ma invisibili fuori dalla ristretta cerchia del proprio orto – non per niente i miei avi erano uomini a chilometro zero, si muovevano poco e nemmeno conoscevano i propri simili al di là della collina, forse avrebbero avuto difficoltà anche a comunicare, visto il dialetto – insomma, se si riesce a osservare gli abitanti di questi mondi, se, come accade, è possibile capire che pensieri ha in testa il tuo prossimo, e non solo, si osserva il mondo dal suo punto di vista, è naturale, sostiene Pinker, condividere anche i piaceri e i dolori altrui. Dunque, se si legge di un uomo alla gogna, torturato e sbeffeggiato e si condividono i suoi pensieri, e si entra intimamente nella sua mente, allora potremmo avere ripensamenti: davvero torturare un uomo è giusto? Qui torniamo alla cinica massima di François de La Rochefoucauld. Tuttavia che l’empatia sia altruismo puro o egoismo ritardato il risultato non cambia: comunque ci chiediamo se non ci sia altro modo per fare le cose che come finora abbiamo fatto. Autocoscienza, insomma, e fatto sta che accanto ai commercianti, agli scienziati, agli assicuratori, agli inventori, ecco arrivare i lettori. Solo nel sedicesimo secolo una biblioteca con un centinaio di volumi qualificava il proprietario come uomo di cultura, alla fine del diciottesimo una biblioteca di un migliaio di volumi era un fatto consueto. Si può anche tracciare un riassunto veloce. L’Europa meridionale apre la strada con Don Chisciotte di Miguel de Cervantes, poi nel diciassettesimo secolo arrivano gli autori francesi, Marie-Madeleine de la Fayette con La Princesse de Clèves (il primo romanzo moderno in lingua francese, dice l’accademia), seguirono un migliaio di romanzi (anche se non sempre presentati come tali), la gran parte di questi furono subissati da critiche di immoralità, e a proposito di censure il bestseller Manon Lescaut dell’abate Prévost venne proibito. A seguire, nel 1737 le autorità francesi imposero un bando a tutti i romanzi, a meno che non rispettassero alcune regole. Per esempio, la pubblicazione e la diffusione dell’opera omnia dell’abate Prévost dovette soggiacere a una condizione: il protagonista doveva diventare cattolico. Poi arrivano gli inglesi. La diffusione fu così rapida che il romanzo diventò il genere letterario inglese per eccellenza – Robinson Crusoe, Moll Flanders, Lady Roxana di Daniel Defoe; I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift; Pamela, Clarissa di Samuel Richardson; Tristram Shandy, e Viaggio sentimentale di Laurence Sterne. Tra questi, il romanzo Pamela fu quello che riscosse il maggior successo, anzi fu il primo format della storia, visto che fu tradotto nella maggioranza delle lingue europee e soprattutto le storie furono adattate agli usi e costumi dei singoli Paesi. In Francia, Pamela diventò una nobile, non sia mai detto che un’eroina di basso rango possa sposare un nobile. Non filò tutto liscio. La Monthly Review nel 1790 scrisse: “I romanzi spuntano come insetti sulle rive del Nilo, riempiono le nostre biblioteche come le locuste affollano i campi dell’Africa. Il loro numero vasto e crescente è un grave male, perché, in generale, presentano visioni ingannevoli della vita umana e, nel divertire, spesso avvelenano la mente”. Divulgare equivaleva per alcuni a volgarizzare, e poi metti anche l’atteggiamento misogino, in fondo attraverso i romanzi (soprattutto quello epistolare) le donne avevano accesso alla letteratura, erano produttrici e consumatrici. Voglio dire, finora la narrativa aveva raccontato le gesta di eroi e personaggi religiosi, e il dramma barocco, la poesia devozionale in prevalenza si rivolgevano a un pubblico maschile, ma la narrativa realistica cominciava a raccontare le avventure di gente comune, dei rapporti familiari e soprattutto delle donne. E da qui, secondo Pinker, il suono si amplifica, si moltiplica l’empatia. L’amore per i libri, insomma.