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 2016  gennaio 10 Domenica calendario

LIBRO IN GOCCE NUMERO 72

(L’ebreo con la svastica)

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FRITZ BECKHARDT, PRIGIONIERO NUMERO 8.135 –
Identità. «Il mio ebraismo, come si suol dire, mi era indifferente: restava sotto la soglia della mia coscienza. Ma l’antisemitismo, così come costringe gli ebrei deboli, vili e smodatamente arrivisti a convertirsi al cristianesimo, a me ha estorto con violenza l’identità ebraica» (Theodor Herzl).
Wiesbaden. Wiesbaden, nel 1852 eletta «città mondiale per le cure idroterapiche», centomila clienti l’anno, tra cui l’imperatore Guglielmo II, che ogni anno a maggio arrivava in città e alloggiava nel suo castello in centro.
Ballin. L’American Jewish Year Book, l’annuario ebraico americano, elenca 27 ebrei, ai quali nel 1915 fu conferita la croce di ferro di prima classe. I primi due sono Albert Ballin e Fritz Beckhardt. Dall’inizio della guerra Ballin organizzò insieme a Walther Rathenau il rifornimento di materie prime e delle altre importazioni importanti per la guerra. L’imperatore, così si raccontava, avrebbe proposto di offrire a Ballin la carica di cancelliere del Reich se solo si fosse fatto battezzare. Ma lui rifiutò e nel novembre del 1918, quando Guglielmo II abdicò, si tolse la vita con il veleno.
Svastica. La voce su Fritz Beckhardt dal libro Jüdische Flieger im Welkrieg (Editore Schild) pubblicato dopo la Prima guerra mondiale e oggi introvabile: «L’ebreo Fritz Beckhardt da Wallerthein in terra assiana con l’aereo con la svastica ha portato in cielo le sue vittorie e i suoi successi. Tuttavia non immaginava che il suo simbolo popolare, con cui si conquistò la croce di ferro di prima classe, l’ordine degli Hohenzollern con le spade, la medaglia al valore assiana, l’onorificenza del franduca d’Assia, la mostrina da aviatore e il distintivo dei feriti, nonché una coppa d’argento al valore in combattimento aereo, diventasse il simbolo di dimostranti puerili, che neppure a lui riconoscono coraggio e onore».
Lettera. A dicembre del 1935, pochi giorni prima del suo suicidio, durante l’esilio svedese, Kurt Tucholsky scrisse allo scrittore ebreo Arnold Zweig una sorta di testamento politico, attribuì agli ebrei tedeschi, dinnanzi all’antisemitismo, una mentalità ghettizzata e priva di dignità: «Chi dal principio accetta come dato di fatto il ghetto, ci resterà in eterno. Ed è questo, solo e unicamente questo, il fallimento dell’intera emigrazione tedesca, della quale non voglio fare alcuna questione ebraica... È doloroso da riconoscere. Lo so sin dal 1929... Poiché ho compiuto un tour di conferenze e ho visto faccia a faccia “La nostra gente”, davanti al podio, sostenitori e avversari, e da lì ho capito e mi sono chiuso sempre di più nel mio silenzio. La mia vita mi è troppo cara per mettermi sotto un melo e pregarlo di produrre pere. Non lo farò più. Non ho più niente da spartire con questa terra, la cui lingua parlo il meno possibile. Volesse crepare... Volesse conquistare la Russia... Io me ne lavo le mani».
Amuleto. «Il mio amuleto (la svastica) mi fu portato via dal braccio sinistro da un colpo d’arma da fuoco e rimase appeso al guanto. Da quel momento questo piccolo talismano mi è entrato nell’animo, così che lo porto sempre con me» (Fritz Beckhardt).
Vergogna razziale. Carta personale del detenuto Fritz Beckhardt, deportato a Buchenwald, prigioniero numero 8.135: «Custodia cautelare ordinata il 29/07/39 dalla Stato Ffm. Appartenenze partitiche fino a oggi: nessuna. Precedenti penali: reato contro il codice della strada (multa di marchi 30), vergogna razziale (1J 9M Gef.). Motivo del trasferimento: collegato alla pena per vergogna razziale).
Giorgio Dell’Arti, Domenicale – Il Sole 24 Ore 10/1/2016