Paolo Siepi, ItaliaOggi 9/1/2016, 9 gennaio 2016
PERISCOPIO
Il Papa: «No alla mediocrità». Allora ha sbagliato Paese, Santità. Gianni Macheda.
Ma se per farsi prendere sul serio dal resto del mondo Kim Joun-un cominciasse a cambiare barbiere? Il rompi-spread. MF.
Terroristi e pure molestatori, ora ’sti profughi stanno proprio esagerando. Jena, la Stampa.
Il nuovo Air Force di Renzi, una cuccetta riservata al premier. Per Alfano c’è un tappetino. Spinoza. Il Fatto.
Per Lenin il socialismo doveva essere imposto e conservato anche col terrore. Al servizio di questa sua opinione mise non solo una devozione maniaca ma anche un talento politico di prim’ordine e cioè una capacità di calcolo esatto delle situazioni e dei modi di affrontarle. Quando rientrò in Russia dentro lo scompartimento schermato messogli a disposizione dai tedeschi, non era che il capo della minoranza bolscevica, alias massimalista. Dopo poco era diventato il despota unico del suo sventurato Paese. Panfilo Gentile, Democrazie mafiose. Ponte alle Grazie, 1997.
Cito spesso una frase di Romain Gary. Egli racconta, nella Promessa dell’alba che sua madre, che era lituana, gli diceva: «Mio piccolo, bisogna sempre amare la Francia, perché è il paese che ha fatto di Victor Hugo un presidente della Repubblica». È evidentemente, questo, un falso storico ma è anche filosoficamente vero. Jacques Julliard, Les Gauches françaises: 1762-2012. Flammarion.
Con Roberto D’Agostino, che conobbi al Piper quand’era ragazzo, fummo i primi a fare i gossip. Il peggio di Novella 2000 vendette 100 mila copie. Poi Roberto continuò genialmente per conto proprio. Renzo Arbore (Aldo Cazzullo). Sette.
A lungo andare questi compaesani, a forza di dedicarsi alla mountain bike e alla bollicina, si sono brutalizzati parecchio il cervello.Certo. Ora apprezzano lo scampo crudo e la sfiletatta di shuzi, la tartare di tonno e l’angus, la kickboxing, il kitesurf. Vanno di corpo come l’orologio e fanno i conti con il calcolatore. Cagare e fatturare. La merda è il fatturato. Il fatturato è la merda. Questo è il paese delle cose che stanno morendo. Francesco Maino, Cartongesso. Einaudi.
Io sono negata per le date, ma questa me la ricordo: 5 gennaio 1972. Il mio primo incontro con Josè Carreras alla vigilia della prima di Bohème al Regio di Parma. «Si tagli quella barba, la invecchia», lo apostrofai. L’indomani si presentò con il viso rasato. Era sposato da sei mesi. Dopo altri sei aveva già lasciato la moglie per me. Fu passione a prima vista. Eravamo pazzamente innamorati l’uno dell’altra, come due liceali. Fra alti e bassi, lo siamo stati per 13 anni. Poi arriva il momento che ti stanchi di fare l’eterna fidanzata. Katia Ricciarelli (Stefano Lorenzetto). Panorama.
A Sciacca, sul Canale di Sicilia, ho visto una legione di belgi che, dopo aver scavalcato quasi tremila chilometri per raggiungere il Mar d’Africa, non lo hanno mai toccato, ne’ degnato di uno sguardo, felici di tuffarsi insieme nell’acqua dolce di piscine identiche a quelle di Bruxelles e di Gand. Saverio Vertone, Viaggi in Italia. Rizzoli, 1988.
A Cinecittà ero arrivata per affermarmi. Volevo farcela e, per riuscire nell’intento, mi mimetizzai. Alle mie colleghe, sembravo leggera, vacua, inoffesiva. Ero pericolosa invece, ma se ne resero conto quando era troppo tardi. Sandra Milo, attrice (Malcom Pagani). Il Fatto.
La incontravo ogni mattina in paese, sempre alla medesima ora. Aveva la mia età, gli occhi glauchi persi nel vuoto, la mano stretta in quella di una tata anziana, tutti gli anni la stessa. Era una bambina Down, ma allora si diceva in un altro modo; e tutti, chissà perché, lo dicevano abbassando la voce, come di una vergogna. Non sapevo il nome di quella bambina, e, benché abitasse non lontano da noi, nessuno dei vicini lo sapeva. La bambina Down viveva in una grande villa, sola con la tata. Figlia di gente molto ricca, che l’aveva confinata lassù; ma mai ho visto qualcuno arrivare al cancello, o suonare alla porta. Le persiane venivano chiuse regolarmente alle otto, quando d’estate è ancora giorno. La bambina era sempre vestita con grande cura, i golf di cachemire e i kilt scozzesi, i calzettoni candidi. Credo restasse in montagna anche d’inverno, perché lei e la tata erano le ultime che restavano a passeggiare in paese, quando noi partivamo, a settembre. Mai ho sentito quella bambina pronunciare una parola, né ha ricambiato il mio sguardo; né ho avuto il coraggio di chiederle il suo nome. Perché Dio lascia che i bambini si ammalino, e come è possibile abbandonare un figlio? Lei era, in quelle estati dense e radiose, un’ombra gentile, che reggeva domande troppo grandi. Marina Corradi. Avvenire.it.
All’opposto di coloro che nutrono delle tristi prospettive sul declino e la decadenza del mondo, all’immagine della loro busta terrestre che si deteriora, io ho voluto essere un testimone di speranza. Hélie de Saint Marc, Memoires. Perrin, 1995.
Ho dunque fatto partire subito una pattuglia, con due cavalli di scorta e venti giorni di viveri. Un solo cavaliere è tornato. Non aveva ancora raggiunto la città. Lo hanno ritrovato con la gola tagliata tre leghe da qui, nudo come un verme. Jean Raspail, Sept cavaliers. Roberto Laffont, 1993.
Gli esseri umani sono dei bambini che fanno dei bambini. Alle volte ne nasce un uomo. Robert Sabatier, Le livre de la dèraison souriante. Albin Michel. 1991.
Hélène Lazareff, che aveva appena lanciato in Francia il settimanale Elle, aveva avuto un grave incidente di salute. La sostituii facendo quello che potevo per qualche mese intanto che fabbricavo un bambino. Pierre Lazareff, editore e marito di Hélène, mi ripeteva teneramente tutti i giorni: «Soprattutto non affaticatevi troppo». Ma io non ero affaticabile. Non ho mai accettato l’idea di poter essere stanca. Piccola nevrosi personale. In effetti, per molto tempo, ho avuto una salute di ferro. Françoise Giroud, Lecons particulières. Fayard, 1990.
La figlia Cirene, simile al padre, era cresciuta pallida come una fesa di tacchina. Andrea Vitali, Il segreto di Ortelia. Garzanti, 2007.
Nel corso della notte la bora si era fatta sentire coi suoi lunghi ululati e i duri colpi che, simili a cozzate di toro, dava nelle case e contro ogni ostacolo che trovasse sulla sua strada. Piero Chiara, Vedrò Singapore? Mondadori, 1981.
La vita non mi ha mai dato quello che le ho chiesto. Mi ha sempre dato di più o di meno. Roberto Gervaso. Il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 9/1/2016