Paolo Roversi, GQ 1/2016, 8 gennaio 2016
LA RAPINA DEL SECOLO – [CENTO UOMINI, IN 10 ORE, RUNBANO 45 MILIONIDI DI DOLLARI DAI BANCOMAT DI MEZZO MONDO]
Una rapina come quella del film Ocean’s Eleven è esistita davvero. Più in grande, però, e non si è limitata a colpire il caveau di un casinò, ma è avvenuta su scala mondiale. Il 19 febbraio 2011, un centinaio di uomini sparsi in 28 Paesi hanno assaltato simultaneamente i bancomat delle principali città, da New York a Tokyo, ripulendoli fino all’ultimo centesimo. L’hanno potuto fare grazie a un abile gruppo di hacker (mai catturati) che si era infiltrato nei sistemi informatici della Rakbank, negli Emirati Arabi, e della Bank Muscat, in Oman, rubando i codici di sicurezza delle carte di credito. Il bottino, frutto di 36 mila transazioni effettuate nell’arco di appena dieci ore, è stato iperbolico: 45 milioni di dollari.
Dopo mesi di indagini, in cui le polizie di tutto il mondo si sono coordinate per scovare i colpevoli dell’operazione “Senza limiti”, com’era stata ribattezzata, sono stati arrestati gli esecutori materiali dei prelievi (che avrebbero intascato il 20% del bottino) mentre i mandati e gli ideatori del piano non sono mai stati individuati. Così come il restante 80% del denaro. Questa è la ricostruzione di ciò che è avvenuto a New York.
Operazione “Senza limiti”
Quel pomeriggio di metà febbraio, si gela. Ma nelle vene dei quattro uomini circola troppa adrenalina perché se ne accorgano. Siedono in un Suv, pronti a entrare in azione. Nelle tasche, ciascuno di loro ha una cinquantina di tessere a banda magnetica. Di qualsiasi tipo: per la raccolta punti del supermercato, per il parcheggio pubblico, perfino quelle delle camere degli hotel. Tutte riconvertite e riprogrammate ad hoc.
«Funzioneranno, state tranquilli», ripete “El Prime” agli altri tre. «Le hanno già sperimentate e tutto è filato liscio».
Saul Franjul, che tutti chiamano “Conejo”, Coniglio, annuisce poco convinto. Ormai è in ballo e non può più tirarsi indietro.
Sul cellulare del capo arriva un messaggio: è il segnale. «Diamoci dentro!», ordina “El Prime”. Polanco ingrana la prima e il Chevrolet Tahoe schizza in strada a tutta velocità. «Abbiamo poche ore e una caterva di bancomat da ripulire».
La cyber rapina globale
Il volto di Loretta Lynch, procuratrice del Distretto Est di New York, è l’immagine della stanchezza. Ha trascorso una notte da incubo: la polizia ha ricevuto centinaia di chiamate e le filiali delle banche di mezza Manhattan sono sul piede di guerra. È quasi l’alba e, con due pezzi grossi dell’Fbi, sta guardando i filmati registrati
da decine di telecamere di sorveglianza. I video mostrano un Suv nero che corre all’impazzata. Ogni tanto la macchina inchioda davanti a uno sportello bancomat, scendono degli uomini, introducono delle carte magnetiche e ripuliscono il distributore di tutto il contante.
«Ma com’è possibile?», domanda la Lynch a uno dei tizi in nero del Federal Bureau piegato sulla tastiera del computer.
«Devono aver manomesso il limite di prelievo, è l’unica spiegazione».
Tappa dopo tappa, i banditi riempiono borse su borse di dollari, di fronte agli sguardi increduli dei passanti.
«Sappiamo quanto hanno rubato?».
«Solo a New York, nelle dieci ore di questa follia, due milioni e mezzo di dollari».
«Cosa vuole dire “solo a New York”? Dove altro è successo?».
Uno dei federali stringe i denti prima di rispondere. «L’Interpol ci ha appena informato che l’operazione è avvenuta su scala globale: hanno attaccato i bancomat di tutto il mondo. Ventotto Paesi colpiti, dal Giappone all’Italia, dalla Germania al Canada». La procuratrice è scioccata. «Come è potuta succedere una cosa del genere?».
«Quello che sappiamo è che un’operazione del genere ha richiesto una rapidità e un coordinamento al millesimo. Ci saranno voluti mesi per prepararla».
La ricostruzione
Dopo qualche giorno di indagini febbrili, gli esperti dell’Fbi in crimini cibernetici, in coordinamento con i responsabili della sicurezza informatica delle banche, riescono a fare una prima ricostruzione di quanto è accaduto.
Tutto è partito da un gruppo di abili hacker – la cui identità è ovviamente sconosciuta – che hanno attaccato da diverse parti del mondo infiltrandosi nei sistemi operativi della Rakbank e in quelli della Bank Muscat. Hanno preso il controllo dei computer che gestiscono i fondi delle carte prepagate dei clienti in India e negli Stati Uniti, nazioni considerate ideali per i loro scopi, per due ragioni: tanta liquidità disponibile e poche verifiche.
Il passo successivo è stato ancora più semplice: hanno rubato i Pin di quelle carte di credito e hanno forzato il blocco che fissa un tetto massimo di prelievo. Poi hanno rastrellato tutte le carte magnetiche che sono stati in grado di trovare e le hanno riscritte con i nuovi codici, rubati e modificati. Hanno utilizzato ogni genere di carta immaginabile, purché disponesse di una banda magnetica, e l’hanno riconvertita. Il risultato è stato pazzesco: bastava infilarne una nello sportello automatico, digitare il codice di cinque cifre, e la macchina sputava fuori tutti i soldi che aveva in cassa. Non esistevano più limiti: si poteva prelevare anche un milione di dollari. Per essere sicuri che tutto funzionasse a dovere, i banditi hanno perfino fatto una sorta di prova generale, per testare la funzionalità degli allarmi. Il 21 dicembre 2010, attraverso i sistemi informatici della Rakbank, hanno eseguito 4.500 operazioni in 20 Paesi, incassando 5 milioni di dollari senza che nessuno sospettasse nulla. Tutto è filato così liscio che hanno deciso di tentare il colpo grosso.
Alle 3 del pomeriggio del 19 febbraio 2011, ora di New York, danno il via all’operazione “Senza limiti”. Avvertite da un sms, una serie di squadre sparse nel mondo partono all’assalto di decine di bancomat e li svuotano fino all’ultimo centesimo.
«Follow the money»
Loretta Lynch e l’Fbi, nonostante l’abilità dimostrata dai criminali, si mettono sulle loro tracce utilizzando la loro stessa arma: l’informatica. Partono dai video di sorveglianza degli sportelli automatici e confrontano i volti degli uomini, ripresi a volto scoperto mentre li svuotavano, con il database della motorizzazione con le foto delle patenti. Poi, con un software sofisticato setacciano migliaia di profili Facebook per cercare somiglianze con i lineamenti dei rapinatori. Ne ricavano migliaia di informazioni utili, e arrivano anche i primi risultati, che hanno però bisogno di conferme.
«Follow the money, seguiamo i soldi: così li troveremo», è il mantra della Lynch. E l’ostinazione della procuratrice viene premiata. Incrociando quella mole di dati si scopre che alcuni sospettati hanno aperto conti correnti in Florida, versando migliaia di dollari. Un paio di loro si sono lanciati in spese pazze: donne, mance esagerate nei night, orologi di lusso e bolidi, una Mercedes G63 AMG e una Porsche Panamera. «Eccoli, sono loro», punta il dito soddisfatta la procuratrice. «Prima di prenderli, però, voglio che ci portino dal loro capo».
Gli investigatori si mettono alle calcagna di uno di loro, Saul Franjul, il Coniglio. Lo seguono mentre sale su un pullman diretto a Miami, con due grosse valigie. Sul suo iPhone sarà poi trovata una foto del loro contenuto: 800mila dollari in contanti, banconote a pacchi.
Chi c’è dietro i “Money Mules”?
Tre mesi dopo il colpo, tutti i componenti della cellula newyorkese finiscono in manette. Vengono arrestate nove persone: Anthony Diaz, Saul Franjul detto “Conejo”, Saul Genao detto “Cocolito”, Jaindhi Polanco, Jose Angeley Valerio detto “Zikkytakki”, Franklyn Ferreira anche noto come “Franklyn $”, Jael Mejia Collado, Jose Familia Reyes e Chung Yu-Holguin altrimenti detto “Chino el Abusador”. Altra gente viene fermata in Germania e in diversi Paesi, ma si tratta solo di pedine.
«Questi sono “Money Mules”, i muli dei soldi», commenta la procuratrice Lynch in conferenza stampa. «Abbiamo catturato gli esecutori materiali, cioè gli uomini che hanno fisicamente svuotato i bancomat. Li abbiamo arrestati perché si sono comportati come dei malviventi vecchio stile: hanno speso la loro parte in auto e in bella vita.
Adesso siamo sulle tracce dei mandanti, che hanno incassato i soldi veri, riciclandoli su conti correnti offshore».
Chi è stato preso, insomma, è solo la punta dell’iceberg, la parte sacrificabile di un’operazione gigantesca. Gli investigatori americani se ne rendono conto quando le indagini, in coordinamento con le polizie di 16 nazioni, li conducono fino alla Repubblica Domenicana, sulle tracce di Alberto Yusi Lajud Peña detto “El Prime”, il capo della banda dei newyorkesi, quello che tranquillizzava gli altri tre soci dentro il Suv.
Quando, il 27 aprile 2011, la polizia fa irruzione nella villetta dove si nasconde, lo trova già morto. Qualcuno gli ha sparato appena pochi minuti prima, mentre giocava a domino con i suoi due fratelli, rimasti gravemente feriti. Nella casa viene ritrovata una valigetta con l00mila dollari in banconote, segno che “El Prime” non è stato ucciso per soldi, ma perché non aprisse bocca. Loretta Lynch capisce che è finita: con quel cadavere si chiude la ricerca dei colpevoli visibili del più grande colpo del secolo. La parte sommersa dell’iceberg se n’è scivolata chissà dove, forse nella parte più oscura e nascosta del web.