Vittorio Zincone, Sette 8/1/2016, 8 gennaio 2016
«C’È CHI SPERA NEL CROLLO DELLE PROPRIE CASCINE
PER NON PAGARE L’IMU» [Gaddo della Gherardesca] –
Indica un affresco svolazzante “Co. di Donoratico…”. Spiega: «Co. sta per Conte, ma ogni tanto penso che voglia dire altro». Gaddo della Gherardesca, 66 anni, erede del conte Ugolino e di una delle casate toscane più longeve della storia, è anche vicepresidente di Prs, la concessionaria pubblicitaria guidata da Alfredo Bernardini de Pace. Lo incontro a Castagneto Carducci, nel palazzo di famiglia che ha ristrutturato nel 1994 insieme con il fratello Manfredi e la sorella Sibilla. Appesi ai muri ci sono trofei assortiti: corna di cerbiatto, zanne di cinghiale, la testa di un bisonte.
Toscano verace, durante l’intervista cita Dante, poi Carducci. Spiega: «Tutti e due hanno scritto dei Gherardesca. Abbiamo avuto dei testimonial eccellenti, ahah». Si concede qualche metafora pop-gergale: «I comunisti con me si levan la sete col prosciutto», «che Gesù sia morto di sonno non me la danno a bere».
Fa anche parte della Giunta e del Consiglio dell’Associazione dimore storiche italiane (Adsi) e la prima cosa che mi mostra appena entriamo nel suo studio è una pila di faldoni. Ringhia: «Tasse e tasse». Da quando il governo ha deciso di escludere i castelli e le dimore storiche dall’esenzione Imu prima casa, gli si è «rizzato il pelo, come ai cinghiali». È combattivo e non ama essere preso per i fondelli né subire prepotenze: «A chi ci prova ricordo sempre che i Gherardesca sono prepotenti da 35 generazioni». Lo provoco.
C’è la crisi. Voi nobili e aristocratici avete castelli e terre, non sarebbe giusto da parte vostra pagare le tasse senza fare troppe storie?
«C’è un equivoco. Ed è stato infranto un patto».
Quale equivoco?
«Chi pensa che possedere una dimora storica equivalga a essere ricchi è rimasto fermo a 200 anni fa. Quella del nobile benestante è una foto che non esiste più».
Lei è nobile e benestante.
«Io ho lavorato per 40 anni nel marketing e nella raccolta pubblicitaria. Per tenere in equilibrio il bilancio di Castagneto Carducci devo fare capriole».
Il patto infranto…
«Da più di settant’anni lo Stato chiede ai proprietari di beni “notificati”, le dimore storiche e i castelli, di garantirne la manutenzione e la sicurezza. In cambio ci sono sempre state delle agevolazioni. Ora sono sparite le agevolazioni e sono rimasti gli obblighi e le tasse. In pratica siamo dei cretini: invece di buttare soldi per mantenere questi palazzi, avremmo potuto risparmiarli per goderceli. Quando l’Agenzia delle Entrate ha bussato alla mia porta, ho risposto: “Avete sbagliato indirizzo”. Davvero non è chiara la differenza tra noi e quelli delle ville in Sardegna?».
Qual è la differenza?
«La mia è una famiglia che in milleduecento anni ha visto erodere le sue fortune. Abbiamo ereditato palazzi su cui abbiamo pagato laute tasse di successione. Chi oggi è diventato ricco in tempi rapidi e si compra una villa in Sardegna da 10 milioni di euro, ha una situazione patrimoniale leggermente diversa, o no?».
Lei potrebbe vendere il palazzo di Castagneto Carducci e vivere tranquillo.
«Non mi interessano i soldi. Io combatto per il valore del territorio. E comunque non tutte le dimore e i castelli hanno un mercato. In molti casi i costi di manutenzione sono tali da renderli indigeribili per qualunque investitore. Ci si perde e basta».
Non le interessano i soldi, ma chiede allo Stato l’esenzione dalle tasse.
«Lo scopo non è certo l’arricchimento. Noi vorremmo mettere le persone che vivono in questi castelli e in queste dimore in condizione di mantenerli in un buono stato. Perché mia sorella che ha la sua prima casa in una dimora storica deve pagare l’Imu?».
Perché è un bene di lusso, che magari viene messo a reddito…
«Gli introiti degli affitti per eventi e per matrimoni servono a malapena per la manutenzione. E in ogni caso, se una dimora storica viene trattata come prima casa, allora si tolgano i vincoli che impediscono qualsiasi tipo di ristrutturazione “moderna”. Il rapporto tra i proprietari di castelli e lo Stato non è mai stato così duro. Eppure noi siamo quelli che mantengono e tutelano il patrimonio culturale sul territorio».
Per molti italiani voi proprietari di castelli siete quelli che hanno costruito le proprie fortune in tempi bui, fatti di servitù e terre usurpate.
«Usurpate? I Gherardesca sono in Maremma dal IX secolo dopo Cristo. Prima di noi c’era Dio, poi gli Etruschi e gli antichi Romani. Abbiamo sempre dato lavoro, e protetto il territorio e il paesaggio. A Volterra la mia famiglia ha fatto pure la Resistenza. Comunque non voglio parlare del mio caso. L’affaire Imu riguarda migliaia di castelli e di dimore. Quando incontrerò Renzi glielo dirò: il patrimonio storico italiano rischia di andare in malora».
Non esageri.
«Guardi che c’è chi spera nel crollo delle proprie cascine per smettere di pagarci l’Imu. E una volta che sono crollati i palazzi, i castelli e le cascine che cosa resterà sul territorio? Le fabbrichette di cemento? Lo sa a quanto ammonta l’incasso che lo Stato otterrà con l’operazione Imu sui castelli?».
A quanto?
«Circa 8 milioni di euro».
Poca roba.
«Niente in confronto a quello che si spreca nell’amministrazione pubblica. Tenga conto che i proprietari di dimore storiche sono già in credito con lo Stato».
In che senso?
«Lo Stato deve centosessanta milioni di euro a quei proprietari che hanno sborsato denari per le loro dimore “notificate”, convinti che gli sarebbero stati restituiti, come da accordi. È tutto fermo dal 2005. Ne ho parlato anche al ministro della Cultura, Dario Franceschini. Ha senso che lo Stato esiga il pagamento dell’Imu quando deve ancora dei soldi agli stessi contribuenti?».
È una domanda da fare a Renzi.
«Io sono renziano della prima ora. Lo scrissi anche su un quotidiano: “Caro Renzi, spero che tu sia come Gesù nel Tempio. Caccia tutti i ladri!”. Renzi mi piace perché fa quello che promette. Lui aveva eliminato l’Imu anche sulle dimore e sui castelli».
Poi l’ha reintrodotta.
«Lo hanno costretto a fare marcia indietro. Sono certo che una persona intelligente come lui presto comincerà a investire seriamente anche sul turismo culturale. Ma le pare possibile che l’Italia non abbia più un ministero del Turismo?».
Lei lo ripristinerebbe?
«Ci vorrebbe se non altro una Authority, fatta di persone competenti che hanno viaggiato. Mi è capitato di parlare con sindaci e presidenti di Regione a cui non era nemmeno venuto in mente di interloquire con gli amministratori delegati dei più grandi tour operator mondiali».
I grandi tour operator mandano i turisti a visitare principalmente Venezia, il Colosseo e i Musei Vaticani.
«Questo perché nessuno ha mai raccontato loro le meraviglie delle nostre specificità territoriali: le ville venete, i castelli siciliani, le tombe etrusche sul mare… Ci sono città meravigliose escluse dai flussi turistici. Il guaio è che noi stessi sembriamo non aver coscienza di questo patrimonio storico e culturale. Per valorizzarlo si deve prima averne coscienza e poi bisogna saperlo raccontarlo bene. Lo dico da esperto di vendite di spazi pubblicitari».
Lei quando ha cominciato a occuparsi di pubblicità e di marketing?
«A trent’anni grazie a un’inserzione sul Corriere, entrai nella Ciba-Geigy, che poi è diventata Novartis. In poco tempo ho raggiunto grandi risultati: nel 2001 ho realizzato da solo quindici miliardi di lire di fatturato per la Prs».
Qual è l’errore più grande che ha fatto?
«Avrei dovuto cominciare a lavorare prima».
La scelta che le ha cambiato la vita?
«Trasferirmi a Milano nel 1968, dopo aver frequentato il Collegio Navale Morosini, a Venezia. Milano mi ha insegnato la grinta e il dinamismo».
Quale era l’alternativa?
«Probabilmente vivere in campagna. Sarei morto di fame e di debiti».
Che cosa guarda in tivvù?
«Molta informazione. E devo dire che quella italiana è di un provincialismo deprimente: sappiamo tutto su Yara Gambirasio, ma non abbiamo idea di che cosa accada a Pechino o a Bangkok».
Segue anche le gesta televisive di suo nipote Costantino?
«Sì, certo. È bravissimo, colto e simpatico».
Il film preferito?
«Balla coi lupi. Mi piace Kevin Costner. E ho sempre parteggiato per gli indiani. Anche dal punto di vista elettorale ho tifato soprattutto per piccoli partiti: i liberali, i repubblicani… a parte l’ultimo voto in area renziana».
Ha mai votato per Berlusconi?
«Sì, nel 1994. E sono rimasto deluso».
Il libro?
«Sono appassionato di strategia militare e mi piacciono molto le opere che parlano della Grande Armée, l’esercito di Napoleone».
Sa quanto costa un pacco di pasta?
«Certo, un euro e qualcosa, faccio la spesa».
Conosce l’articolo 41 della Costituzione?
«No».
Dice che l’impresa privata non può essere in contrasto con l’utilità sociale.
«Giusto. Ma in Italia si tende anche troppo all’arricchimento collettivo a scapito di quello individuale. In medio stat virtus».