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 2016  gennaio 08 Venerdì calendario

GLI UFFIZI (E MOLTO ALTRO) CHE NON AVETE MAI VISTO

GLI UFFIZI (E MOLTO ALTRO) CHE NON AVETE MAI VISTO –
Il vento teso e freddo che spazza Firenze a cinquanta metri d’altezza assume dignità di tormenta. Siamo sul tamburo ottagonale della cupola di Santa Maria del Fiore, simbolo della capitale medicea. È questo il punto di partenza del nostro viaggio nella città “segreta”. Esattamente cinquecento anni fa Michelangelo ebbe a dire, sprezzante, che questo ballatoio sorretto da colonne in marmo bianco era una “gabbia per grilli”. Il suo livore era diretto al collega Baccio d’Agnolo che lo aveva battuto nel contest per scegliere chi avrebbe dovuto abbellire il Duomo. La seconda cupola più famosa del mondo (dopo quella di san Pietro) è tutta un mistero. «Brunelleschi diede istruzioni per “voltarla” già nel 1418», spiega l’architetto Samuele Caciagli, dell’Opera del Duomo di Firenze, nostro cicerone di giornata. «A tutt’oggi il sistema statico non è ben conosciuto, ora ve ne renderete conto con i vostri occhi». Entriamo dentro e percorriamo lunghi e claustrofobici corridoi prima di arrivare a una porticina di ferro che dà accesso a un altro passetto. È la famosa intercapedine tra le due volte, frutto dell’ingegno del Brunelleschi. «L’idea di costruire una cupola dentro l’altra è stata grandiosa», continua Caciagli, «quella più interna, fatta con conci “a spina di pesce”, è autoportante, quella esterna è solo di copertura. Se potessimo visualizzare l’effetto delle forze che agiscono su questa struttura, la volta ci apparirebbe come un polmone che respira». Tradotto, significa che i carichi sono perfettamente distribuiti su tutta la struttura. Dopo la lezione di architettura, visto il luogo, è d’obbligo concedersi una digressione artistica. Percorriamo a ritroso il camminamento e poi giù per le scale che portano al loggiato interno, a stretto contatto con il Giudizio Universale di Vasari e Zuccari. Tremila e seicento metri quadrati di affreschi, un mare di colori, scene, figure che, osservate così da vicino, ingenerano stordimento. Noi sbuchiamo nel “registro” più basso, quello dedicato all’Inferno e ai peccati capitali. «Nulla di personale», scherza Caciagli. Siamo nel mezzo di un grande fuoco che ingoia i dannati, i nostri vicini sono i lussuriosi sodomizzati con lance infuocate e altri condannati a patimenti eterni. Poi lo sguardo sale verso l’alto, supera i doni dello Spirito Santo, i Santi ed Eletti, il Coro angelico e culmina nella visione dei 24 anziani profeti dell’Apocalisse.

Come dentro Star Wars. Lasciamo il Duomo per il Battistero di san Giovanni, appena pochi passi più in là ma, ci assicurano, numerosi secoli indietro. Una volta dentro, Caciagli solleva una grata dal pavimento e ci fa scendere nella Florentia romana. Camminiamo tra mosaici e resti di mura, sotto i piedi di ignari turisti. È solo una piccola parte di quel che ci sarebbe ancora da scoprire. Mesi fa, infatti, alcuni ricercatori californiani dell’Università di San Diego, hanno “visto”, grazie a un radar ad alta penetrazione, una scalinata, due grandi stanze, mura e corridoi. Gli archeologi già si fregano le mani. I segreti di una città si celano spesso nelle pieghe dei monumenti o delle istituzioni museali più famosi, e allora, prossima tappa gli Uffizi o, meglio, il loro deposito. Questa volta, a sorpresa, non andiamo sotto terra ma su per una scala che sembra uscita da Star Wars, effetto dei lavori per i Nuovi Uffizi. Arriviamo a un pianerottolo, di fronte a noi un’anonima porta in legno con citofono. Ci aprono Demetrio Sorace e Marco Fiorilli, i due angeli custodi della quadreria. Sono gentili e ospitali, quella è “casa” loro: la più ricca del mondo, un migliaio di metri quadrati arredati con oltre duemila dipinti «anche se negli ultimi 4-5 anni circa 300 tele sono migrate verso le sale nuove del museo e del Corridoio Vasariano», spiega Sorace. Forse li disturbiamo, stanno movimentando un ritratto fatto da Albrecht Dürer a suo padre e la Strage degli innocenti del Caroto. «No no, venite. Sa, ogni tanto facciamo degli spostamenti per ottimizzare gli spazi, la nostra politica è tappare ogni buco sulle pareti». Sorace e Fiorilli sono “vestali” perfette, solo loro sanno dove e come mettere le mani. Nel deposito sono conservati mille autoritratti (altri 600 si trovano nel Vasariano), la collezione più importante del pianeta che copre un arco temporale dal ’300 al ’700. Senza tralasciare i moderni Pistoletto, De Chirico, Carlo Levi, Ligabue. Per non perdersi nel dedalo dei corridoi, basta prendere come riferimento le gigantesche tele che li adornano. Utilizzando questo sistema “scopriamo” così la Sala dei Fiamminghi e poi quella dei bozzetti, i modelli che pittori del calibro di Poccetti, Allori, il Volterrano e altri approntavano per far vedere ai loro committenti quale sarebbe stato il risultato finale. Sono tanti gli angoli in cui andare a curiosare, ma il tempo è finito.

Servizi funebri per indigenti. Torniamo alla Piazza del Duomo, proprio di fronte al Campanile di Giotto c’è il palazzo della Misericordia. È un’Arciconfraternita nata nel 1244 con scopi di pubblico soccorso: il trasporto dei malati, l’assistenza ai carcerati, l’ottemperanza dei servizi funebri per gli indigenti, la cura degli orfani. Ancora oggi in città si dice «sta passando la Misericordia» quando un’ambulanza corre a sirene spiegate ma molti fiorentini ignorano la storia che c’è dietro. Nell’archivio ci attende Barbara Maria Affolter, una delle due curatrici. «Fino a dieci anni fa», spiega, «i nostri membri impegnati nelle opere pie giravano con una veste nera dotata di cappuccio che si chiamava “buffa”, serviva a tutelarli dal contagio (retaggio dei tempi della peste, ndr) ma anche a salvaguardare la loro privacy». Solitamente erano uomini forzuti, in grado di caricare in una gerla che portavano sulle spalle i caduti da cavallo o i malcapitati finiti nell’Arno. Nel 1909, qualcuno propose di dotarsi di una macchina, ma l’allora Provveditore Antonino Ciardi Duprè andò su tutte le furie perché «l’aiuto va dato con l’uso del proprio corpo», precisò.

Quei 500 mila “innocentini”. Persino Gianni Agnelli si avvalse dei servigi della Misericordia. L’Avvocato si ferì in un incidente automobilistico il 30 luglio 1944 e fu trasportato dalla pensione Beacci di via Tornabuoni a una casa di cura in via Venezia, la sorella Susanna avrebbe poi raccontato il fatto nel suo libro Vestivamo alla marinara. Grazie a questo archivio (e alle carte di famiglia donate dagli eredi degli “ascritti”) sono venuti alla luce fatti e personaggi prima sconosciuti. Uno di loro è Giuliano Ferraccini, detto “lo Spadaio”: attraverso i suoi registri di bottega sappiamo di due spadini forgiati per Cosimo I che doveva regalarli al figlio di sei anni, del duca Francesco, e dei collari d’oro per cani richiesti da Cristina di Lorena moglie di Ferdinando I. Oltre a commercianti e persone normali anche tanti “vip” si sono ascritti all’Arciconfraternita nel corso dei secoli, da Lorenzo il Magnifico e Amerigo Vespucci ai Reali di casa Savoia. Per rimanere in tema di solidarietà, ci spostiamo in piazza dell’Annunziata, all’Istituto degli Innocenti dove dal 1445 al 1875 venivano lasciati i “gittatelli”, i bambini affidati alla pubblica carità. «Questa è una bambina di nome Zanobina Maretti, registrata l’11 maggio 1874», spiega la presidente Alessandra Maggi mentre apre la pratica pescata negli splendidi scaffali in legno di cipresso. «Fu lasciata con la metà di un breve (quadratino di stoffa, ndr) nelle fasce», in tal modo la madre, che conservava l’altra metà, avrebbe potuto riconoscerla anche in futuro. Le origini di 500 mila bambini (gli “innocentini”), nati negli ultimi 600 anni a Firenze risiedono qui. Nella scheda di ognuno di loro sono annotati i costi della balia, il sussidio dato alla famiglia affidataria e altri dati molto interessanti. Oggi non è raro incontrare in queste stanze persone che hanno il sospetto di avere un nonno innocentino, «ma devono essere trascorsi almeno cento anni dalla registrazione, altrimenti non possiamo fornire informazioni», chiarisce Maggi. Il presidio di piazza dell’Annunziata divenne anche un importante centro di ricerca. Nel ’500 praticava già l’allattamento artificiale con latte di mucca e aveva inventato il «pippiolo» (antesignano del biberon), poi, nell’800, ospitò l’Istituto vaccinogeno per la produzione e distribuzione del vaccino antivaioloso. Alcuni di questi primati saranno celebrati nel nascente Museo degli Innocenti (inaugurazione il 23 giugno prossimo).

Il laboratorio degli alambicchi. L’ultima tappa della prima parte del nostro tour è una chiesa molto importante di Firenze, san Domenico. Basti sapere che nel ’400 vi predicò frate Girolamo Savonarola e vi trovò sepoltura Pico della Mirandola, accusato di eresia e poi graziato da Papa Alessandro VI. L’architetto Vincenzo Vaccaro ci saluta dalla cima di uno scalone in pietra e fa segno di seguirlo. Molti scalini dopo siamo finalmente nel sottotetto. Di fronte a noi, le otto capriate lignee realizzate da Michelozzo (l’architetto della famiglia Medici). Ognuna è decorata con motivi naturalistici e geometrici, in rosso, bianco, nero e blu. Su alcune ci sono emblemi familiari, come quello degli Altoviti, un lupo rampante bianco in campo nero. «Le infiltrazioni d’acqua sono sempre state il loro peggior nemico», dice Vaccaro che fino al 2009 ne ha curato il restauro. Ma san Marco cela anche un altro tesoro nascosto, un’antica farmacia chiusa vent’anni fa dove i monaci, già nel 1450, producevano tisane “prodigiose”, lo sciroppo di pino silvestre e l’Alchermes, il liquore amato da Lorenzo il Magnifico. Curiosando nei cassetti che recano i nomi delle erbe vi troviamo ancora piccoli e profumati involucri. All’entrata di una sala secondaria (quella che ospita il laboratorio con gli alambicchi) è attaccata al muro una tabella con delle “manine” di metallo dove i medici appendevano le ricette dei pazienti sulla base delle quali veniva poi prodotto il farmaco necessario. Un vero peccato che i segreti dei monaci-alchimisti si siano estinti insieme a loro.