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 2016  gennaio 08 Venerdì calendario

IL MIO CUORE VA A ZIG ZAG

Quegli orecchini pendenti che porta così spesso... «Me li ha regalati il ministro Roberta Pinotti per il mio compleanno». Le sue nuove amiche “pendono” tutte a sinistra? «Mi trovo benissimo. In Consiglio dei ministri siamo una forza, sembriamo tutte dello stesso partito». Come Le donne al Parlamento di Aristofane? «Con la stessa potente allegria». Dunque è vero che sta diventando comunista? «Dio me ne scampi. Mio padre, socialista anticomunista, inorridirebbe». E inorridirebbero anche i suoi padrini politici che sono una folla di destra: lei è stata la petite protégée di Tajani e poi di Bonaiuti, quindi di Alfano e ovviamente di Gianni Letta, ma anche di Brunetta e di Enrico Letta. Come ha fatto a conquistarli tutti? «La tenacia, la capacità di organizzare, un’ossessione per lo studio dei dossier...». I dossier sono feticci berlusconiani. «È vero. Primo: mai farsi beccare disinformati».
Eppure, quando la nominarono alla Sanità -115 miliardi l’anno, più del 7 per cento del Pil Beatrice Lorenzin sembrò a tutti molto fragile: «Partire sottovalutata è stata la mia fortuna». Dica la verità: da ragazzaccia di Ostia non ci credeva neppure lei. «Lo dico sempre a mia madre, che mai avrei pensato di diventare ministro a 40 anni. E ci ridiamo su». Ministro o ministra? «“Signora ministro”, come in Francia». Come votava da ragazza? «Radicale. Poi alla Fondazione Einaudi ho incontrato Antonio Martino e ho scoperto la forza del pensiero liberale». Liberale di destra. «Liberale».

Piccola, risoluta, a capo di uno staff tutto maschile, Beatrice Lorenzin parla di Sanità con la scioltezza di Umberto Veronesi: «Durante il semestre italiano a capo dell’Ue – racconta in tono scanzonato Claudio Rizza, il suo portavoce – quelli dell’Istituto “Pasteur” pensavano che fosse una di loro, una ricercatrice».
Quali sono i titoli per fare il ministro della Salute? «All’inizio un gruppo di medici mi rimproverò di non essere laureata». Un politico se lo può ancora permettere? «Chi sceglie la politica per passione la sceglie molto presto e la mette subito al primo posto». Dove ha fatto il liceo? «Al classico di Ostia, l’Anco Marzio, l’unico che c’è. Poi mi iscrissi alla Sapienza in Giurisprudenza, ma già lavoravo al Giornale di Ostia. Facevo la cronista pensando alla politica e non mi sono laureata. Me ne pento, anche se la storia d’Italia è piena di politici competenti ma non laureati». Pentiti anche loro? «Forse». E come prende le decisioni? «Studio molto i dossier che sono preparati dalle persone più competenti d’Italia, mi consulto con gli scienziati, ma la decisione che alla fine prendo è politica. Pensi che quei medici che protestarono poi mi hanno chiesto scusa».
Perché piace a sinistra anche se è molto cattolica ed è contro le adozioni gay? «Sono favorevole alla 194, sono per l’eterologa e sono prima di tutto un ministro e dopo una credente. E da credente non sopporto, per esempio, che nel Sud si preghino i santi per ottenere le guarigioni e surrogare la scienza e la medicina». Suo marito è cattolico? «No. E non siamo nemmeno sposati». Vive nel peccato? «Non mi ci sento». Suo marito, Alessandro Picardi, lavora in Rai. «È un manager». È cattolica di famiglia? «No, mio padre è ateo. E mia madre agnostica. La mia è stata una scelta personale». Incontri? «Una suora. E poi monsignor Fisichella. Quando era il cappellano della Camera sono andata con lui a un pellegrinaggio». Va a messa la domenica? «Se potessi, ci andrei ogni giorno. E credo nei segni spirituali. I miei figli gemelli, Lavinia e Francesco, che ho avuto a 43 anni, sono nati prematuri. Qualcosa, un movimento, chissà, mi spinse ad andare in ospedale senza l’apparenza di un motivo. Ebbene, per com’erano messi, rischiammo la tragedia». Dio le ha mandato un avviso? «Non dico questo. Penso però che la fede ti permette di vedere, sentire, ascoltare e comprendere».
Cosa fa papà Teodoro? «È in pensione. Era assistente di terra all’Alitalia. Nato a Pola, ha la mente aperta degli uomini di frontiera e non solo perché parla sei lingue». E lei? «Inglese e, meno bene, francese».

Beatrice Lorenzin viene da Ostia, 94mila abitanti. «Ma quando tornavo a casa, nel villaggio Alitalia, era come ritirarsi in un college». È una città che rifiutò di essere Comune perché voleva restare Roma fuori Roma. «L’identità è il problema degli ostiensi, il bisogno e lo sforzo di farsi accettare. La furia del marginale». Dunque viene da Ostia quell’aria carica, da timida appassionata, tutta fuoco e ghiaccio, che ha mostrato nel caso Stamina? «E se permette anche nella difesa delle vaccinazioni, nei tagli agli esami inutili, nella gestione della paura di Ebola».
A Ostia si impara a combattere? «È il Municipio che è stato sciolto per mafia. È il luogo dove Pasolini è stato ucciso da uno dei suoi ragazzi di vita. Ed è una città abusiva per due terzi». Ostia è la protagonista del film di Claudio Caligari candidato all’Oscar Non essere cattivo. «Anche di Amore tossico, dello stesso regista: altro film bellissimo». Si è mai drogata? «Mai. Ne ho visti morire troppi». I drogati della sua giovinezza erano tutti di sinistra? «No, ma a sinistra erano più vulnerabili, e nei centri sociali ne circolava tanta». I famosi centri sociali di Ostia, sono stati i suoi grandi nemici? «Nemici pasticcioni. Per errore bruciarono la macchina di mia madre». La odiavano perché era molto berlusconiana? «Mai fanatica». Be’, qualcosa di forte l’ha detta: «Guardi, hanno fatto una ricerca per mettermi in imbarazzo. Ho detto: “è un grande uomo di Stato”, “politicamente geniale”, “un leader abile”, “è intelligentissimo ed educatissimo”». Dunque lei è una voltagabbana? «Al contrario. E infatti, al di là dell’enfasi, confermo tutto, anche ora che la parabola politica di Berlusconi è finita». Adesso, però, loda Renzi. «Realizza quello che Berlusconi prometteva: fisco, giustizia, lavoro...».
Loda Renzi perché è attaccata alla poltrona? «I luoghi comuni sono peggio della droga. Gliene aggiungo un paio: “i politici sono tutti ladri”, “i politici si mettono d’accordo solo per aumentarsi lo stipendio”». Facciamo il gioco delle frasi fatte: i capelli corti danno un senso di pulito. «Ecco la mia: “L’importante è essere belle dentro”». Risponda a quest’altra frase fatta: Berlusconi e Renzi si somigliano come padre e figlio. «Berlusconi è un seduttore. Renzi è un comandante». L’ultima: Matteo Renzi è più a destra di Berlusconi. «Sul Welfare la più a sinistra è la Lorenzin, cioè io».