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 2016  gennaio 08 Venerdì calendario

CALCIO E POLITICA ALLA BERLUSCONI, QUELLO SCHEMA CHE NON VINCE PIU’

C’è stato un tempo in cui Silvio Berlusconi comprava tre olandesi (Ruud Gullit, Frank Rijkaard e Marco Van Basten) e allora anche l’Inter comprava gli olandesi (Dennis Bergkamp e Wim Jonk), e siccome il Milan aveva vinto con un allenatore preso dalle spensierate periferie del calcio (Arrigo Sacchi) pure l’Inter pensò di vincere con un allenatore del medesimo stampo (Corrado Orrico) e lo stesso fece la Juve (Gigi Maifredi). Non si rideva più del ganassa milanese che voleva portare il Milan in cima al mondo perché il Milan in cima al mondo ci era arrivato davvero. Però si continuava a ridere del ganassa che pensava di vincere le elezioni coi sondaggi, col partito di plastica, con la bella faccia e il buon umore in video e nel giro di un lustro tutti i partiti presero a compulsare sondaggi, a organizzare partiti liquidi (plastica liquida) e a cucinare risotti su Raiuno in seconda serata. Il Milan cambiò il calcio europeo, come Forza Italia cambiò la politica italiana e come - volendo una breve aggiunta - le reti Mediaset hanno cambiato l’intrattenimento televisivo: ognuno giudicherà se in peggio o in meglio, ma è stata innegabile rivoluzione.
È difficile sostenere l’incidenza del caso nel dolente declino parallelo della squadra, quella di calcio e quella politica - e mollando qui il lentissimo e inesorabile tramonto della spinta propulsiva delle emittenti. Milan e Forza Italia non sono soltanto accomunate da una dissoluzione di antica gloria, ma anche dalla certezza, incrollabile in Berlusconi e non si sa quanto nei suoi collaboratori, che basterà la ridiscesa in campo del vecchio guerriero, acciaccato e ostruito, per rimettere a posto le cose. Sarà sufficiente il tocco magico, così distratto dalle rovine giudiziarie, e si ritornerà a Palazzo Chigi e allo scudetto e infatti, lo scorso anno, mentre scontava la pena ai servizi sociali, il Presidente capitò a Milanello tre o quattro volte a cavallo di un paio di vittorie, nemmeno squillanti, e si riscoprì stregone. «Avete visto, mi è bastato tornare vicino ai ragazzi», diceva in un video di cui si faceva fatica anche a sorridere, e in cui lo si vedeva negli spogliatoi a fianco dell’allenatore, Pippo Inzaghi, e intento a trasmettergli il segreto del successo: «Devi gridare: attaccare!... Prova». E Inzaghi: «Attaccare!». «Più forte!». «Attaccareee!!!». Il tutto sotto lo sguardo imbarazzato dei giocatori.
Inzaghi è stato poi mandato via come era stato mandato via il suo predecessore, Clarence Seedorf, e come rischia di essere mandato via il successore, Sinisa Mihajlovic, senza dimenticare la madre di tutti gli esoneri: quello di Massimiliano Allegri ora impareggiabile alla Juve. Si frullano tecnici ai ritmi con cui si frullano piccoli e medi leader, bracci destri, ex fedelissimi: da Angelino Alfano a Denis Verdini, da Sandro Bondi a Raffaele Fitto, gente che conduceva il partito e a cui ora si dà il titolo di traditori, come a Inzaghi e fratelli si dà il titolo di incapaci.
Ci vorrebbe qualcuno con coraggio sufficiente da spiegare a Berlusconi che se si avvicendano con cadenza semestrale vicari forzisti e allenatori rossoneri, e poi si avvicendano candidati e giocatori, a decine e decine, e i risultati sono sempre quelli, forse un po’ dipende dal manico. Ci vorrebbe, soprattutto, un Berlusconi disposto ad ascoltare, liberato dalla diffidenza per cui si fa assegnamento soltanto sui familiari stretti, Barbara a cui è andato il Milan e Marina a cui sarebbe andata Forza Italia, se solo lei avesse accettato (Piersilvio tiene duro a Cologno Monzese). Ci vorrebbe, ancora, la consapevolezza che non ci sarà nessun mister Bee e nessun signor Salvini a restituire luce a vecchie e formidabili idee che, applicate oggi, sono inadeguate e malinconiche; mentre attorno gli ultimi scodinzolanti si disputano le briciole.