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 2015  gennaio 05 Lunedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA FINE DI SCHENGEN E I MIGRANTI


REPUBBLICA.IT
ROMA - Ennesima tragedia in quel tratto dell’Egeo che per tanti rappresenta la porta per l’Europa. Almeno 36 migranti, tra i quali diversi bambini e una donna incinta, hanno perso la vita quando l’imbarcazione su cui speravano di raggiungere la Grecia è affondata. I corpi sono stati riportati indietro dalla corrente: la polizia ha reso noto che 11 sono stati trovati sulla spiaggia di un complesso residenziale nel distretto ai Ayvalik, nel nord-ovest della Turchia, a poche miglia nautiche dall’isola greca di Lesbo; altri dieci erano sulla costa del distretto di Dikili.
L’imbarcazione partita da Smirne si è capovolta in mare a causa delle pessime condizioni meteorologiche. Otto persone sono state tratte in salvo dalla Guardia costiera che sta conducendo operazioni di ricerca in mare, mentre la polizia sta perlustrando la costa.
Neonato morto di freddo. Un piccolo profugo siriano di 4 mesi è morto di freddo nella tenda in cui si era rifugiata la sua famiglia nella provincia sudorientale turca di Batman. Il piccolo è stato identificato in Faris Khidr Ali. "Siamo scappati dalla morte, ma il nostro bambino è morto congelato qui", ha detto il padre, chiedendo l’aiuto delle autorità turche per un altro suo figlio di 3 anni.
Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), sono circa 700 le persone decedute e disperse lo scorso anno durante la traversata del mar Egeo. Nel 2015, sempre secondo l’Oim, un milione di migranti è arrivato in Europa.
Schengen è sotto pressione". "Schengen è sotto pressione. Stiamo lavorando per riportare la situazione alla normalità attraverso una serie di misure. Ma nessuno ha la bacchetta magica", così il portavoce della Commissione Ue. Margaritis Schinas. Per la salvaguardia dell’area di libera circolazione occorre "un efficace controllo delle frontiere esterne".
Chiusura frontiere, vertice Ue. Il commissario agli Affari interni e all’immigrazione Dimitris Avramopoulos ha invitato i rappresentanti dei governi di Svezia, Danimarca e Germania per "coordinare al meglio la gestione comune della pressione migratoria". Lo ha annunciato Schinas. La riunione di domattina a Bruxelles segue la decisione dei governi svedese e danese di reintrodurre i controlli alle frontiere in deroga temporanea a Schengen.
Alla riunione di domani a Bruxelles sono stati invitati il ministro svedese all’Immigrazione e alla Giustizia, Morgan Johansson, la danese all’Immigrazione e integrazione Inger Stojberg e il segretario di Stato agli Affari interni del governo tedesco, Ole Schroeder. L’obiettivo del commissario Avramopoulos, ha spiegato il portavoce Schinas, è quello di "migliorare il coordinamento fra i Paesi coinvolti per assicurare una miglior gestione della pressione migratoria". Nel frattempo, la Commissione ha avviato "un esame approfondito" sulle decisioni annunciate ieri dalla Svezia, ovvero l’introduzione di "controlli obbligatori dell’identità" di coloro che entrano nel paese attraverso "tutti i mezzi di trasporto", per verificare se tali decisioni sono coerenti con le norme europee. A una prima valutazione, ha spiegato la portavoce Tove Ernst, sembrano esserci le condizioni di una "minaccia grave alla sicurezza interna" per l’afflusso "senza precedenti" di migranti e richiedenti asilo. Tale condizione è la condizione necessaria per poter derogare al principio della libera circolazione, secondo quanto previsto dall’articolo 23 del codice Schengen.
Camera convoca ambasciatori. Laura Ravetto (Fi), presidente della Commissione Schengen della Camera, ha chiesto di convocare gli ambiasciatori di Svezia e Danimarca affinchè "vengano a riferire al Parlamento su quanto sta accadendo nei loro Paesi". "Se non si riesce a fare una difesa delle frontiere esterne con una forza europea - spiega Ravetto - inevitabilmente tutti gli Stati chiuderanno le frontiere interne e Schengen sarà sacrificato. Per l’Italia, sarà il danno e la beffa: continueremo a dover gestire gli sbarchi a Lampedusa, e dovremo fare la coda alle frontiere se vorremo andare nei Paesi limitrofi". "Se non sapremo proteggere le frontiere esterne - ribadisce Ravetto - finirà Schengen. E con la sua fine, saluteremo l’Europa".
Rientrata in porto ultima nave di Msf. Dopo otto mesi in mare, 20.129 persone soccorse e oltre 120 operazioni di ricerca e soccorso effettuate, la ’Bourbon Argos’, l’ultima nave di Medici senza frontiere (Msf) rimasta in azione, è rientrata in porto. "L’inverno ha ridotto il numero di persone che attraversano il Mediterraneo centrale", spiega Msf, che ritiene "vi siano abbastanza risorse per affrontare le necessità del momento", ma "rinnova l’appello alle autorità europee perché forniscano risorse adeguate e specifiche per evitare tragedie nei prossimi mesi, quando il numero di partenze presumibilmente aumenterà di nuovo". Nonostante la fine delle operazioni nel Mediterraneo centrale, l’organizzazione ribadisce che "rimane pronta ad intervenire" nuovamente. E ricorda le cifre del suo impegno nel 2015: le équipe di Msf a bordo delle tre navi di ricerca e soccorso hanno assistito oltre 23.000 persone in difficoltà, attraverso salvataggi diretti (20.129) e trasferimenti da
o verso altre navi. Msf ha partecipato a 120 diversi interventi di soccorso e più di 80 sbarchi in Italia. Delle 4.424 persone soccorse soccorse dalla Bourbon Argos il 43% aveva bisogno di cure mediche, 355 (8%) presentavano gravi condizioni di salute e 140 (1,4%) erano donne in gravidanza.

CHE COSA DICE SCHENGEN
LUSSEMBURGO - Il codice di Schengen permette agli Stati membri la reintroduzione temporanea dei controlli alle frontiere nel caso di una seria minaccia alla sicurezza interna o per problemi di ordine pubblico. Tuttavia si tratta di una misura con carattere eccezionale e di durata limitata.
Per eventi previsti, come ad esempio il recente G7 di Elmau, in occasione del quale Berlino ha chiuso temporaneamente i propri confini, uno Stato membro deve notificare agli altri Paesi Ue e alla Commissione, in anticipo, la propria intenzione.
Tuttavia, per quei casi in cui è richiesta un’azione urgente, lo Stato può reintrodurre i controlli ai confini con effetto immediato, a patto che assicuri che il carattere della misura è eccezionale, e che il principio della "proporzionalità" venga rispettato. La capitale dovrà poi notificare a Bruxelles entro una settimana dall’entrata in vigore della misura.
La reintroduzione dei controlli alle frontiere, in principio è limitata a 30 giorni. E la durata di qualsiasi blocco dovrebbe essere limitata al minimo necessario per una risposta alla minaccia.
D’altra parte la Commissione valuta le decisioni che le vengono notificate, e se considera che uno Stato membro stia violando una legge europea, l’esecutivo Ue può intraprendere un’azione formale contro le autorità del Paese, chiedendo loro di limitare l’effetto della misura ad una certa data o persino portandole di fronte alla Corte di Giustizia europea.
L’abolizione dei controlli alle frontiere interne non riguarda
però l’esercizio dei poteri di polizia dello Stato membro, e l’esercizio di questi poteri non è da considerare l’equivalente di controlli alle frontiere. In virtù di questo, i Paesi possono impiegare le proprie forze di polizia per condurre controlli a campione.

PEZZI SUL CORRIERE DI STAMATTINA
VIVIANA MAZZA
DALLA NOSTRA INVIATA
BRUXELLES Era dagli anni Cinquanta che i passeggeri in viaggio in treno dalla Danimarca verso la Svezia non dovevano mostrare un documento di identità. Invece dalla mezzanotte di domenica, in piena era Schengen, i controlli sul treno che corre sul ponte di Oresund, che da 15 anni collega Copenaghen a Malmö, simbolo dell’Europa senza confini, sono stati ripristinati per tutti, inclusi i pendolari. E in un effetto domino, da mezzogiorno di ieri anche Copenaghen li ha reintrodotti alla frontiera con la Germania. Per il momento per dieci giorni fino al 14 gennaio.
La Danimarca ha inviato una lettera di notifica a Bruxelles e il commissario all’Immigrazione Dimitris Avramopoulos ha avuto una conversazione con il ministro competente. Tutto secondo le regole di Schengen che prevedono, in casi eccezionali di pericolo per la sicurezza pubblica, la possibilità per un Paese di reintrodurre controlli alle frontiere per periodi fino a 30 giorni per un massimo di sei mesi, dietro notifica alla Commissione europea, che deve valutare il rispetto delle norme Ue. «Il governo non vuole che la Danimarca diventi la nuova grande destinazione per i rifugiati», ha spiegato il primo ministro Lars Loekke Rasmussen, alla guida di un governo di centrodestra. E ha specificato che «i controlli non vengono fatti a chiunque provenga dalla Germania» ed è escluso il traffico commerciale delle imprese. La Svezia lo scorso anno è stato il Paese dell’Unione Europea con la percentuale maggiore di richiedenti asilo in rapporto al numero di abitanti: ha una popolazione di 9,7 milioni (l’1,9% dei cittadini europei, circa un sesto degli italiani) e ha accolto 163 mila rifugiati, provenienti soprattutto da Siria, Iraq ed Afghanistan. Solo a novembre sono arrivati al ritmo di 11 mila a settimana, per la maggior parte passando per la Danimarca. Motivo per cui il governo svedese ora obbliga le compagnie di trasporto pubblico, che collegano i due Paesi, ad assicurarsi che i viaggiatori siano in possesso dei documenti di identità. Controlli sono istituiti sui traghetti tra Helsingor e Helsingborg, e sui treni e bus che percorrono il ponte di Oresund. A cascata è arrivata la decisione dell’esecutivo danese nei confronti della Germania, che nel 2015 ha accolto oltre un milione di rifugiati. Il timore è che si fermino a Copenaghen visto che non possono raggiungere Stoccolma. E infatti ieri solo un richiedente asilo ha tentato di attraversare il ponte.
Dunque il caso eccezionale invocato per sospendere la libera circolazione nello spazio Schengen è l’ondata migratoria cominciata nel 2015. Motivazione già usata nei mesi scorsi da Austria, Germania e Norvegia (che però non fa parte della Ue). Anche la Francia ha ripristinato i controlli alle frontiere per un periodo temporaneo, dopo gli attentati del 13 novembre, ma lì la causa era la minaccia terroristica.
Le decisioni degli Stati in ordine sparso per fronteggiare l’immigrazione stanno mettendo in crisi Schengen. La Germania non ha voluto commentare la decisione di Danimarca e Svezia, ma il portavoce del ministero degli Esteri tedesco, Martin Schafer, ha lanciato l’allarme: «Schengen è in pericolo». Schafer ha sottolineato che «la libertà di movimento in Europa e nella Ue è un bene molto prezioso, forse il traguardo più importante raggiunto negli ultimi 60 anni». E un portavoce del governo tedesco, Steffen Seibert, ha insistito sul fatto che sull’immigrazione «serve una soluzione a livello europeo. Non troveremo soluzioni nelle frontiere nazionali tra un Paese e l’altro». Argomentazione sostenuta anche dall’Italia. Nell’ultimo Consiglio europeo è stata affrontata la proposta della Commissione Ue di istituire una guardia costiera e di frontiera europea per garantire una gestione forte e condivisa dei confini esterni. E a marzo Bruxelles dovrebbe anche «svelare» le modifiche a Schengen su cui sta lavorando.
Francesca Basso


ANNA MARIA CORAZZA BILDT
DALLA NOSTRA INVIATA
BRUXELLES «È una giornata tristissima per la Svezia e per l’Unione Europea. Il ponte di Oresund è uno dei più grandi successi di integrazione. Vi passano ogni giorno circa 30 mila persone, di cui 15 mila pendolari. È una regione perfettamente integrata, molte persone sono scioccate da questa decisione. Che deve essere temporanea, nel rispetto delle regole di Schengen». Anna Maria Corazza Bildt, rappresentante del Ppe, italiana eletta in Svezia e moglie dell’ex primo ministro Carl Bildt, risponde al telefono da Stoccolma. «Gli svedesi restano un popolo accogliente — spiega —. Questa decisione è il risultato di una situazione di emergenza. I documenti vengono chiesti a tutti, inclusi gli svedesi. Non significa che i rifugiati non possano più richiedere asilo. Ma a novembre ogni settimana arrivavano circa 11 mila immigrati e molti senza documenti. Nel 2015 abbiamo accolto 163 mila rifugiati, di questi 33 mila sono bambini non accompagnati che richiedono più risorse. Il nostro sforzo è doppio, la gestione della contingenza e l’integrazione attraverso la scuole e il lavoro». E i numeri danno ragione a Stoccolma. Lo scorso anno la Svezia è stato il Paese dell’Unione Europea con la percentuale maggiore di richiedenti asilo in rapporto al numero di abitanti. «Noi siamo 9,7 milioni. È come se l’Italia avesse accolto in proporzione un milione di rifugiati». La situazione di emergenza è stata un crescendo. «Il governo in carica, che è una coalizione di sinistra e verde, ha le sue colpe. Già nel 2014 era evidente che la pressione sul nostro Paese era molto forte. Ha continuato con un approccio ideologico per fare ora questa virata». Ma soprattutto c’è un problema di rispetto delle regole che ha «irritato» gli svedesi: «Noi facciamo sempre la nostra parte, ma siamo diventati un Paese di prima accoglienza perché altri non hanno fatto la loro prendendo l’identità dei rifugiati. Il nostro è stato il primo Paese della Ue dove sono stati ricollocati dei richiedenti asilo provenienti dall’Italia. Ci sono invece altri Stati che si sottraggono ai doveri di solidarietà, si sono rifiutati di accogliere chi aveva bisogno. Non c’è l’Europa solo quando si tratta di decidere la distribuzione dei fondi Ue». Per Corazza Bildt «è necessario controllare le frontiere esterne e seguire la via del ricollocamento, perché è l’unica via legale che consente ai rifugiati nei campi di entrare in un Paese evitando la tragedia del viaggio».
Fr. Bas.


SARZANINI
ROMA L’Italia è pronta a ripristinare i controlli alla frontiera con la Slovenia. Di fronte a un aumento dei flussi causato dalla chiusura delle proprie «porte» già comunicata da numerosi governi, saranno schierate le pattuglie di polizia e verificata la regolarità dei documenti di tutti coloro che attraversano i valichi terrestri e ferroviari. L’ultimo passo per la certificazione del fallimento definitivo del trattato di Schengen. In realtà l’accordo tra gli Stati dell’Unione Europea è già saltato da tempo. E non è l’unico. Anche il patto per la «relocation» dei migranti siglato a fine settembre sembra definitivamente archiviato: prevedeva che lasciassero il nostro Paese 80 stranieri al giorno, in tre mesi ne sono partiti appena 190, altri 50 andranno via entro il 15 gennaio. Nulla, in confronto a ciò che era stato promesso. E tanto basta per comprendere che non c’è alcuna politica comune di accoglienza.
Il flusso continuo
dalla frontiera
Nell’ultimo periodo è stato registrato un aumento degli arrivi in Italia dalla Slovenia. Stranieri che, secondo il Viminale, non vengono registrati dalla polizia locale e decidono di entrare nel nostro Paese per trovare accoglienza. I dati parlano di un numero che oscilla tra i 300 e i 400 a settimana e tanto basta per destare allarme. Il timore è che la decisione presa dai Paesi del nord Europa — in particolare Svezia e Danimarca — possa far aumentare la «pressione» in Italia. Anche tenendo conto della scelta della Francia di dichiarare lo «stato di emergenza» per tre mesi dopo gli attentati di Parigi e chiudere i confini. Di fronte a una ulteriore impennata degli ingressi l’Italia sarebbe costretta ad adeguarsi perché, viene sottolineato al ministero dell’Interno «alla fine rischiamo di dover pagare le conseguenze più gravi. Molti altri Stati non registrano tutti gli stranieri che arrivano, ma noi siamo gli unici ad essere stati sottoposti a procedura di infrazione». Riferimento esplicito alla comunicazione giunta da Bruxelles poco prima della pausa natalizia per contestare a Roma la mancata «registrazione» dei migranti attraverso il fotosegnalamento.
Il piano
della polizia
Sono numerosi i fronti aperti e proprio nel tentativo di regolare i flussi, con la consapevolezza che la crisi mediorientale rischia di far affluire in Europa un numero sempre più numeroso di persone, la direzione Immigrazione della polizia ha predisposto un piano di intervento già consegnato al ministro Angelino Alfano. Prevede il ripristino dei controlli ai valichi terrestri e ferroviari con la Slovenia, lasciando invece libera la circolazione per quanto riguarda il traffico aereo. «Una misura straordinaria — chiariscono al Viminale — ma che diventerà operativa qualora dovessero aumentare gli ingressi e soprattutto continuare a mancare quel clima di collaborazione che era stato invece promesso nel corso dell’estate». Secondo le cifre aggiornate al 31 dicembre, nel 2015 sono giunte in Italia 153.842 persone, il 9% in meno del 2014 quando gli arrivi furono 170.100. Attualmente il dipartimento Immigrazione guidato dal prefetto Mario Morcone si occupa di assistere 103.792 persone. Ma rimane l’incognita per i prossimi mesi con la consapevolezza che la politica comune è rimasta sulla carta.
I numeri bassi
della «redistribuzione»
S econdo l’accordo siglato a fine settembre, Italia e Grecia avrebbero avuto la possibilità di far andare via 40 mila migranti — siriani ed eritrei — nei prossimi due anni. Il patto prevedeva l’assenso degli altri Stati «su base volontaria», ma la maggior parte si era impegnata a rispettarlo. In realtà sin da subito era apparso chiaro che non sarebbe stato semplice disporre le partenze, ma certo nessuno poteva prevedere che il flop sarebbe stato tanto clamoroso. A fronte di un progetto per il trasferimento di 80 stranieri al giorno, in più di tre mesi ne sono stati sistemati 190 oltre a 50 entro il 15 gennaio 2016. A meno di nuovi rinvii dell’ultima ora.

400 EURO ALLE FAMIGLIE CHE OSPITANO I MIGRANTI
MILANO La giunta del sindaco Giuliano Pisapia, a Milano, apre le porte delle abitazioni private ai migranti dietro un contributo alle famiglie ospitanti che può arrivare fino a 400 euro al mese. Il bando per selezionare e creare un elenco di famiglie disponibili ad ospitare «richiedenti e titolari di protezione internazionale» è già diventato un caso politico.
L’attacco più duro arriva dal segretario della Lega, Matteo Salvini: «Il Comune di Milano, giunta Pd-Pisapia, pagherà 400 euro al mese chi ospiterà un immigrato a casa sua. Roba da matti. Vergogna, questo è razzismo nei confronti degli italiani in difficoltà!» è il commento di Salvini affidato alla sua pagina Facebook. Subito dopo tocca a Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, che non si limita alla polemica ma annuncia azioni legali: «Il sindaco Pisapia vuole dare 400 euro al mese ad ogni famiglia che ospiterà un immigrato. È un atto illegale che FdI è pronta a denunciare in tribunale». La conclusione è simile a quella di Salvini: «Siamo pronti a dimostrare in ogni sede che quello di Pisapia è un atto di discriminazione e di razzismo nei confronti del popolo italiano». Interviene anche Forza Italia con il deputato Luca Squeri: «L’iniziativa del Comune ben rappresenta le priorità della sinistra: si offrono 400 euro alle famiglie italiane che decidono di ospitare in casa un migrante, ma se quelle stesse famiglie si trovassero in difficoltà, i 400 euro non li riceverebbero mai».
A difendere il bando è il candidato alle primarie del centrosinistra,l’assessore Pierfrancesco Majorino: «Con la collaborazione tra Anci e Governo e utilizzando risorse dello Stato possiamo finalmente sperimentare l’accoglienza di migranti titolari di protezione umanitaria. È una forma assolutamente vantaggiosa rispetto ad altre sul piano dei costi. Ovviamente la destra e la Lega gridano allo scandalo. Invece noi ne siamo orgogliosi e non ci fermiamo». Così come non si fermerà nel portare avanti un altro bando, quello per la realizzazione di 2 moschee nonostante le minacce di morte ricevute nei giorni scorsi. «Non retrocederemo di un passo sulla strada dell’integrazione culturale e religiosa ».
Maurizio Giannattasio