Laura Asnaghi, Affari&Finanza – la Repubblica 16/11/2015, 16 novembre 2015
SI CHIAMA SUTOR MANTELLASSI L’ULTIMA SFIDA DI ANTON MAGNANI
Milano «È da trent’anni che vivo di scarpe ». Ha un curriculum di tutto rispetto Anton Magnani, l’amministratore delegato di Sutor Mantellassi, il marchio che dal 2012 è di proprietà del gruppo coreano Eland. A lui, laureato in architettura e con trent’anni di esperienza sul fronte della calzatura griffata, è stato affidato l’incarico di ridare smalto al prestigioso marchio fiorentino che vanta oltre a una produzione di alto livello artigianale anche una galleria di “testimonial” davvero illustri. Nel piccolo museo, allestito nella nuova boutique di via Montenapoleone 3, a Milano, figurano, infatti, personaggi come Giorgio Strehler, Ezra Pound, Gabriele d’Annunzio, Henry Fonda, Oriana Fallaci e Marcello Mastroianni. Ci sono i loro ritratti e le scarpe realizzate appositamente per loro. Un heritage prezioso che Anton Magnani ha deciso di valorizzare per poter rilanciare il marchio nato nel 1912, data che compare nel logo, stampato oro, con due aghi incrociati sovrastati da una corona reale. La mano dell’artigiano è la componente fondamentale per Sutor Mantellassi che nella boutique milanese ha una stanza-bomboniera dove la vanità maschile si può esprimere all’ennesima potenza. È qui, infatti, che si possono ordinare le scarpe su misura scegliendo pellami, colori, modelli (fino a 15) e stringhe. In questa stanza delle meraviglie, il cliente può decidere se farsi fare le scarpe con pelli di canguro o struzzo, piuttosto che di alligatore o coccodrillo. E può selezionare i colori e i materiali delle fibbie o dei lacci, il tipo di suola e anche il disegno dei forellini impressi sulla punta. Scarpe così richiedono una attesta di sei mesi, con un prezzo che parte dai 4 mila euro. Bastano, invece, tre mesi e una cifra che va dai 1500 ai 1900 euro per gli ordini speciali, ovvero per le scarpe con una calzata più larga o più stretta o con una speciale forma che rispetta il disegno del collo del piede. E per scarpe così originali, il packaging è come una valigia, rivestita in lino e canapa, corredata di spazzole, lucidi e forme in legno. Sutor Mantellassi è il simbolo del “fatto a mano” con maestria e il negozio di Milano è stato studiato dall’architetto Luciano Giorgi in modo tale da esaltare questa peculiarità. I commessi sono preparatissimi e sanno raccontare bene come nasce una scarpa, quante sono le sue componenti (fino a 80) e quanti sono i passaggi necessari per completarla (non meno di 100). In boutique, ci sono sia le scarpe da uomo che da donna, messe in bella mostra, per essere toccate e ammirate. «Le scarpe sono oggetti di culto, soprattutto quelle fatte a mano» spiega Anton Magnani che si è laureato con Achille Castiglioni, uno dei più celebri architetti-designer italiani, che l’ha sollecitato a portare una tesi “non sulle solite sedie o sui soliti tavoli. Perché no una scarpa?”. Detto fatto. Magnani ha accettato la sfida e, da allora, la sua vita è stata costellata di scarpe griffate. Prima per Hugo Boss, poi per Clarks e Bally. E ora la sua sfida continua con Sutor Mantellassi, marchio che raggiungerà il suo break even nel 2016. «Siano in fase di consolidamento anche per quanto riguarda di distribuzione – spiega l’amministratore delegato – oggi abbiamo la boutique di Milano, di Firenze e di Kiev. Ma ci stiamo espandendo nel mondo, nei departement store che contano, dando una immagine contemporanea e di grande appeal alla nostra scarpa frutto di un artigianato di grande eccellenza». E non a caso nell’ultimo anno, il brand ha celebrato i 50 anni dell’anniversario delle impronte lasciate su Hollywood boulevard da Marcello Mastroianni che calzava scarpe Sutor Mantellassi, con un evento in 5 tappe. Sono stati coinvolti 5 personaggi, uno per ogni decade, del mondo della moda e del design. E a ognuno di loro è stato chiesto di interpretare la scarpa di Marcello nella maniera più vicina al gusto di oggi. Una iniziativa che ha contribuito a riaccendere i fari su un marchio e a renderlo desiderabile.
Laura Asnaghi, Affari&Finanza – la Repubblica 16/11/2015