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 2015  novembre 16 Lunedì calendario

LA FED E LA RIPRESA SENZA I ‘GOOD JOBS’

Manca un anno alle elezioni presidenziali Usa del 2016. Ed è naturale che i democratici cerchino di assicurare al paese il mantenimento del benessere recuperato dopo le paurose oscillazioni subite a partire dal 2008. Dovrebbe favorire una riaffermazione del candidato democratico nella corsa contro i repubblicani nel novembre prossimo. Ma quanto è cambiato l’ambiente economico americano e mondiale nel corso della crisi e delle misure prese per farvi fronte? Bernanke ha ridotto il tasso di interesse della Fed a zero. Lo ha tenuto a quel livello, e la Yellen ha persistito nella nuova politica monetaria. L’economia americana ha mostrato di essere capace di reagire a uno stimolo tanto drastico, portando il suo livello di crescita a una tollerabile ripresa. Lo stimolo monetario è riuscito a muovere i prezzi, ma essi mostrano una forte riluttanza ad accelerare. Sembra, secondo parecchi esperti, che la cosiddetta “curva di Phillips” sia tra le vittime illustri della drastica congiuntura interna e internazionale. L’ inflazione è in qualche misura tornata, ma non sembra essere ancora correlata al tasso di caduta della disoccupazione, come vorrebbe la teoria. Il vice governatore della Fed, Stan Fischer ha sottoscritto la decisione di far rialzare il tasso della Fed a dicembre affermando che la “curva di Philips” tornerà in auge. Quindi , malgrado la lettura meno drastica della virata offerta dalla Yellen, che invita ad aspettare una assai graduale curva del tasso nel futuro prossimo, il messaggio della Fed è parecchio ambivalente. La virata al rialzo è annunciata per metà dicembre. Ma mentre Fisher la giustifica con una riaffermazione della curva di Philips quale inevitabile e dunque da combattere addirittura preventivamente, la Yellen invita a credere che la virata del tasso della Fed non sarà reiterata nel futuro in maniera tanto drastica. Nella Fed due visioni si affrontano: Fischer difende la versione neoclassica che cerca di far convivere la nuova economia keynesiana con la teoria basata sulla scarsità. Lo stimolo monetario riesce a far aumentare la domanda di lavoro, ma mette in moto la spirale inflattiva. La Yellen è convinta che lo stimolo monetario deve muovere un mercato del lavoro modificato da due decenni di rivoluzioni tecnologiche. L’offerta della manodopera femminile è aumentata e la tecnologia ha messo a disposizione delle imprese la possibilità di creare domanda senza impegnare lavoratori a pieno tempo. Quindi, un’enorme espansione di lavori a mezzo tempo, pagati molto meno rispetto ai “good jobs” che offrono copertura sanitaria e pensione. L’arrivo dei Paesi emergenti come fornitori di beni a prezzi competitivi ha distrutto interi settori dell’economia e i lavori che offrivano di “buona qualità”. Il fenomeno si espande a macchia d’olio. Yellen sa benissimo che gli americani occupati sono parecchi meno del 60% della forza lavoro. Di fronte a queste modifiche strutturali può agire mantenendo il costo del denaro più basso possibile, mentre a livello internazionale la domanda dei fondi prestabili resta bassa. L’assenza della “curva di Philips” la spinge a perseverare. Il tasso di disoccupazione reagisce scendendo: è il segnale atteso dai teorici neoclassici per mostrare una reazione pronta della Fed. Ma la Yellen guarda anche ad altri indici che dell’economia presentano un’immagine meno positiva: teme che la discesa della disoccupazione si afflosci nel futuro prossimo. Ha dovuto rassegnarsi alla reazione neoclassica con l’annuncio del rialzo del tasso ma mostra di essere pronta a reagire a segnali negativi dall’economia reale. Ora ha soddisfatto i neoclassici, numerosi in campo democratico, e che temono la capacità di persuasione dei repubblicani nei confronti degli elettori che a loro volta temono il ritorno dell’inflazione. Sarebbe ingeneroso credere che Fischer sia un repubblicano. L’università da cui proviene ne ha prodotti pochi. Ha prodotto invece decine di valorosi economisti di fede neoclassica. Probabilmente essi, nei panni di Ben Bernanke non sarebbero stati capaci di far fronte alla crisi inventandosi le misure di emergenza per le quali il mondo gli è grato, e nemmeno mostrando le convinzioni neokeynesiane della Yellen, fortificate dalle teorie innovative del marito che hanno rivoluzionato la teoria monetaria e quella del mercato del lavoro scavando una fossa per le teorie neoclassiche. Tuttavia, mentre l’economia americana restava in stato comatoso nessuno ha osato rilanciare le ricette neoclassiche. Dove esse sono restate a tenere banco, predicate da una conventicola di economisti teorici e banchieri centrali che hanno imposto che alla moneta unica europea fossero date fondamenta neoclassiche, le economie dell’Europa sono restate a soffrire per una domanda interna soffocata e sono state spinte a crescere solo mediante le esportazioni. Inariditesi queste con la crisi della Cina e delle economie legate ad essa, si è messa in evidenza l’incapacità del “modello tedesco” di generare una sufficiente domanda. Ora i due modelli sono confrontabili. Quello americano crea domanda di lavoro nonostante la rivoluzione tecnica occorsa e l’invasione delle merci prodotte nei paesi a salari bassi. Se smette di farlo, la signora Yellen è pronta a invertire la politica della Fed. Anche la Bce si è mossa per finalmente spingere i tassi e provvedere i mercati di liquidità. Ha potuto farlo nonostante le regole del trattato specie per il favore della signora Merkel che ha protetto Draghi da banchieri ed economisti tedeschi. Prontamente, negli ultimi giorni i cosidetti saggi del comitato di economisti si sono ridestati, hanno messo a punto e rilasciato una ineffabile dichiarazione, nella quale mettono in guardia contro le intenzioni inflattive della Bce. Pure di fronte alla caduta del modell Deutschland per l’incapacità dei suoi gestori industriali e finanziari di obbedire a regole fondamentali di onestà commerciale e tecnica, i cinque saggi dell’ economia attaccano la Bce che sta cercando di salvare il salvabile. Evidentemente i cinque saggi non sono perturbati per il l’affermazione del Le-Penismo in Francia, dal ritorno degli Ustascia in Croazia, della destra cattolica in Polonia e di tutte le altre manifestazioni del profondo malessere popolare che tanti anni di deflazione a livello europeo hanno suscitato. Ora dettano a Draghi di perseverare nell’ errore imposto dalle politiche deflazionistiche. Quos deus perdere vult eos ipse dementat.
Marcello De Cecco, Affari&Finanza – la Repubblica 16/11/2015