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 2015  novembre 16 Lunedì calendario

L’ORA DELLO SPEZZATINO PER PROCTER

& GAMBLE –
New York Girato in parte a Roma, dove si svolgono spettacolari inseguimenti per le strade del centro, Spectre è il ventiquattresimo film di James Bond. E, come i precedenti della fortunata serie degli 007, è anche un prezioso veicolo pubblicitario di cui la P&G (Procter & Gamble), il più grande colosso mondiale di prodotti a largo consumo, ha di nuovo approfittato. I rasoi Gillette, che fanno parte del gruppo di Cincinnati, nell’Ohio, così come Dash, Tide e altri prodotti di uso quotidiano, hanno infatti sponsorizzato il nuovo film e prodotto uno spot televisivo di 30 secondi (scaricabile anche su YouTube) in cui si vede un energumeno che si scaglia contro un uomo che si sta radendo (e che potrebbe assomigliare vagamente a Daniel Craig). La vittima resta calma, sicura di sé. L’attacco fallisce e una voce suadente dice: “Fate uscire lo 007 che si nasconde in voi”. Spiega John Mang, vice presidente della Global Gillette: «Proprio come Bond, gli uomini tirano fuori il meglio di se stessi quando sono ben preparati». Del resto la campagna pubblicitaria della Gillette- P&G si intitola “Momenti Bond”. Funzionerà? I guru di Madison Avenue, luogo-simbolo del mondo pubblicitario, rispondono di sì e ricordano come la Procter abbia speso l’anno scorso 9,2 miliardi di dollari in pubblicità, di cui 4,6 negli Stati Uniti superando così i budget di ogni altra azienda e confermando il suo ruolo-guida nel mondo del marketing. Ma a dispetto di alcuni bei colpi, come il film di James Bond, e a dispetto delle sue dimensioni, della storia, della penetrazione capillare, della capacità dei managers, la stella Procter & Gamble non splende più come una volta. Le quotazioni del gruppo da 80 miliardi di fatturato annuo sono scese del 17 per cento dall’inizio dell’anno. Il fatturato del gruppo è calato del 12% nell’ultimo trimestre, in buona parte a causa dell’apprezzamento del dollaro, ma anche per le flessioni di Brasile, Russia e Cina, dove c’è stato un crollo nella propensione alla spesa da parte dei consumatori, che per la verità riguarda anche l’occidente. Un trend, questo, che è cominciato durante la crisi del 2007-08, ma non si è ancora normalizzato a dispetto della ripresa. Intanto c’è stato un avvicendamento al vertice della multinazionale. Dal 1° novembre David Taylor, un ingegnere elettrico che è stato per 35 anni nel gruppo, è diventato chief executive officer al posto di A.G. Lafley. Quest’ultimo, ormai sessantottenne, era stato alla guida del colosso una prima volta tra il 2000 e il 2009, raddoppiandone le dimensioni e acquisendo marchi come la Gillette, e poi era stato richiamato una seconda volta nel 2013 per fronteggiare le difficoltà. Anche adesso, nonostante l’arrivo di Taylor, Lafley, che è un personaggio mitico nel mondo del business americano, rimarrà come executive chairman, occupandosi soprattutto di delineare le grandi strategie e i modi per uscire dalle difficoltà. Il piano di ristrutturazione è già stato delineato dal board: la P&G sta tagliando i costi e ha deciso la dismissione di un centinaio di marchi per concentrarsi sui 65 che hanno maggiori margini di profitto. Così l’anno scorso sono state vendute le batterie Duracell alla Berkshire Hathaway di Warren Buffett per 2,9 miliardi di dollari, mentre nel luglio del 2015 sono stati ceduti i 43 marchi di bellezza per 12,5 miliardi di dollari alla francese Coty. Certo, il piano di Lafley-Taylor cambierà in parte la fisionomia di un gigante onnipresente. Basta entrare in ogni casa d’Italia, d’America o di altri 180 paesi del mondo per rendersi conto della diffusione capillare dei marchi di Cincinnati. Si calcola che 4,8 miliardi di persone al mondo usino i prodotti della P&G. Alcuni esempi: Dash, Ariel, Ace per il bucato; Mastro Lindo, Swiffer, Viakal per la pulizia e l’igiene della casa; Pantene, Oral B, AZ, Gillette per la cura della persona; Pampers e Tampax per pannolini e igiene femminile; Vicks per i farmaci da banco; Braun per i piccoli elettrodomestici. Nel gruppo ben 25 marchi sviluppano un fatturato di oltre 1 miliardo di dollari all’anno. Come si è arrivati a questi traguardi? E soprattutto, come faranno Taylor e Lafley a uscire dalle difficoltà? Non c’è dubbio che – in parte per la sua lunga storia, in parte per la cultura aziendale che l’ha sempre caratterizzata – la P&G abbia conquistato un posto molto particolare nel capitalismo moderno. Adesso ha 204 miliardi di dollari di capitalizzazione di borsa e 110mila dipendenti, di cui 1500 in Italia (2500 se si considera una joint-venture con Fater), dove è presente dal 1956. Ma certo, quando nel 1837 l’inglese William Procter e l’irlandese James Gamble fondarono la società, non potevano certo pensare che la loro fabbrica di saponi e candele avrebbe avuto una espansione simile. Procter e Gamble avevano sposato due sorelle di Cincinnati, Olivia e Elizabeth Norris, e fu proprio il padre delle ragazze a convincerli a mettersi in affari. Già nel 1858 la società raggiunse il primo milione di dollari di fatturato e 80 dipendenti. Durante la guerra civile vinse la commessa per rifornire sapone e candele all’esercito anti- schiavista dell’Unione, facendo così conoscere i suoi prodotti a decine di migliaia di soldati. Nel 1930, con l’acquisizione della Thomas Hedley inglese, cominciò a internazionalizzarsi. E negli stessi anni, avendo capito prima di altri il ruolo dei mass-media nel marketing, sponsorizzò una serie di programmi radiofonici. Si chiamavano “soap opera”, perché appunto promuovevano il “soap” (sapone in inglese) della P&G: e da allora quella espressione è entrata nell’uso comune in ogni angolo del mondo. Assieme al marketing, è stata soprattutto l’innovazione ad alimentare la crescita del P&G. Nel 1946 fu lanciato il detergente per bucato Tide, nel 1955 il primo dentifricio al fluoro, nel 1960 l’ammorbidente Downy e nel 1961 i primi pannolini usa-e-getta che avrebbero sostituito quelli di stoffa, che forse erano più ecologici, ma certo anche molto più scomodi. Adesso le nuove frontiere della P&G sono nell’hi- tech: ad esempio è uscito il primo spazzolino da denti “intelligente”, cioè collegato ad una app dello smartphone che indica dove concentrare gli sforzi. «L’innovazione si può applicare a ogni cosa», ricorda Lafley, che anni fa pubblicò assieme a Ram Charam un libro intitolato The Game Changer, il “Cambia-Regole” (del gioco). E proprio in occasione del lancio di quel volume l’ex-chief executive della P&G disse a Repubblica: «Molti pensano che i detersivi siano solo una commodity, come il grano o il petrolio, ma per milioni di donne e di uomini che fanno il bucato ogni giorno c’è una bella differenza tra un prodotto e l’altro. Ecco perché cerchiamo sempre di migliorare la qualità di Tide, che dopo tanti decenni dal lancio ufficiale detiene ancora il 42% del mercato americano».
Arturo Zampaglione, Affari&Finanza – la Repubblica 16/11/2015