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 2015  novembre 15 Domenica calendario

ALLONS ENFANTS

Lo stadio illuminato a giorno, silente come una tomba. Un mausoleo dello sgomento. Nel rettangolo verde migliaia di spettatori si abbracciano. Non li unisce la gioia della vittoria, ma la paura dell’ignoto. Del nemico invisibile che li attende là fuori nel buio oltre le gradinate, come attende tutti noi sulle strade che percorriamo nella vita quotidiana. Allo sport capita spesso di incrociare la grande storia, raramente ne diventa un simbolo. Ma quell’immagine dello Stade de France inghiottito dall’orrore, più ancora della spaventosa carneficina del Bataclan, rimarrà nella memoria collettiva come l’emblema della guerra di Parigi. L’attacco dello stato islamico al cuore del nostro continente. L’11 settembre dell’Europa.
La memoria riavvolge il suo nastro dolente e torna al 1972. L’attacco dei fedayn al villaggio olimpico di Monaco, 17 morti tra cui gli attentatori. Ma erano altri anni e altre tragedie: quel terrorismo atroce e persino l’assurdità di quella mattanza sembrano paradossalmente più leggibili della maledizione oscura che ci colpisce oggi. Guerrieri incappucciati annunciano: dopo Parigi, Roma che si prepara al Giubileo. Una minaccia violenta e irreale esonda dalla frattura tra civiltà, religioni e sette della stessa fede, come la faglia di un terremoto lontano che si apre d’improvviso sotto i nostri piedi e le nostre case, nei luoghi dove lavoriamo, preghiamo, ci divertiamo, facciamo il tifo e scateniamo la passione per un pallone. La nostra appartenenza più innocente e liberatoria contro la loro appartenenza cupa, enigmatica, sanguinaria. Uno scontro tra uomini e ombre .
Lo Stade de France è l’arena di Zidane e di Francia ’98, il Mondiale multietnico e multirazziale per eccellenza, l’indimenticabile festa dell’integrazione cantata da Youssou N’Dour. E invece adesso lo sport si scopre terribilmente vulnerabile. Mai si era sentito così al centro del mirino. Le ricostruzioni più attendibili dicono che allo stadio i terroristi cercassero la strage in diretta. Uno voleva entrare e farsi esplodere. L’altro avrebbe seminato la morte tra gli spettatori che si precipitavano all’uscita. Un ritardo o un intoppo nel sincronismo con le altre azioni avrebbe indotto i kamikaze a colpire dove e chi potevano, cioè gli avventori di un ristorante. Non fosse abortito il piano originale, avremmo sotto gli occhi con evidenza ancor maggiore il nuovo pericolo che ci minaccia. Lo stadio come palcoscenico ideale per il terrore: non c’è luogo più affollato, illuminato e coperto dai media. Lo stadio che diviene teatro di guerra, il peggiore degli incubi.
Tra sette mesi la Francia ospiterà l’Europeo di calcio e Parigi è candidata all’Olimpiade del 2024 contro a Roma. L’idea può sembrare bislacca ed è sicuramente impraticabile con le regole attuali, ma perché non pensare per una volta a Giochi congiunti, le due capitali unite nel segno della civiltà e dei valori dello sport in risposta alla barbarie? Intanto, sul fronte dell’attualità, monta a dismisura l’ansia per l’Europeo: si tratta di garantire la sicurezza per 51 partite in 10 città e per i ritiri di 24 squadre. C’è persino chi pensa sia giusto, o almeno opportuno, non giocare. Non ha capito nulla. E neppure ha ascoltato l’unica nota di conforto risuonata nell’orribile notte parigina. All’uscita dello Stade de France, gli spettatori hanno rotto il sudario del silenzio intonando la Marsigliese. Non c’era retorica in quel coro. Si davano coraggio urlando al nemico senza volto chi siamo e cosa faremo. Allons enfants , non prevarranno! O, per dirla con Houellebecq, non ci sottometteremo .