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 2015  novembre 15 Domenica calendario

PATTO CON MOSCA PER SCONFIGGERE LO STATO ISLAMICO

Non basta dire «siamo tutti francesi». Non basta la commovente risposta dei social media che ha unito il mondo nel pregare per Parigi. Non basta la solidarietà dei leaders, da Rouhani a Putin. Non basta partecipare al dolore. Certo che siamo tutti francesi. E siamo insieme in una guerra mai voluta, mai cercata.
François Hollande ha ragione: l’attacco di venerdì sera è un atto di guerra. In un attimo, dalla spensieratezza di un venerdì sera la città delle luci è piombata in un impensabile coprifuoco. La risposta del Presidente francese alla carneficina è stata fermissima, dura. Se Parigi e la Francia, ripetutamente colpite, sono in prima linea, l’ondata di terrore che si è abbattuta sul quartiere Marais può arrivare in qualsiasi città europea e del mondo - è già avvenuto e la lista è lunga. In guerra siamo anche noi.
Lo Stato Islamico non nasconde la mano. Ha rivendicato prontamente e trionfalmente l’attacco degli «otto fratelli» suicidi e ben armati. Il nemico si dichiara. Sappiamo dov’è. Isis ha la pretesa di essere Stato; ha un territorio, un’amministrazione, un’economia. La coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, con partecipazione non offensiva italiana, cerca di «degradarlo». Ne ha fermato l’avanzata. Non ne ha scalfito l’arma più letale: il flusso continuo di jihadisti, reclutati e addestrati, con biglietto d’andata e ritorno. L’intelligence fa miracoli ma non è onnisciente. La minaccia continuerà fino a che lo Stato Islamico non verrà estirpato. Non saranno i peshmerga curdi o le raffazzonate truppe irachene e milizie iraniane a sloggiare definitivamente Isis dal territorio che occupa.
Eliminare lo Stato Islamico non elimina il terrorismo ma gli taglia le gambe. L’attacco di Parigi porta pertanto europei e americani a impegnarsi a fondo, militarmente e politicamente, per la disfatta dello Stato Islamico. Avremo bisogno di alleati. Dalla fine di agosto la Russia è intervenuta militarmente in Siria a sostegno di Assad. Ha bombardato (anche) lo Stato Islamico. Con l’attentato di Sharm el-Sheikh, ne ha pagato il prezzo, non meno elevato in vite umane dell’attacco di Parigi. Le basi per un’alleanza anti-Isis con Mosca ci sono. Le divergenze altrove (Ucraina) restano, e le sanzioni pure, ma non impediscono di unire gli sforzi contro la grave minaccia comune.
Estirpare lo Stato Islamico impone anche una soluzione per la Siria. Russi e occidentali sono divisi sul ruolo di Assad ma si possono trovare formule di compromesso e transizione. La Siria non tornerà ad essere uno Stato unitario se non nominalmente. L’importante è mettere fine a una guerra che, oltre che tragedia umanitaria, è stata ed è linfa vitale dello Stato Islamico. La barbarie dell’Isis non riabilita Assad, ma dobbiamo avere l’amaro coraggio e l’onestà di riconoscere che in situazioni come quella siriana (e altre) persino regimi dittatoriali sono meglio del caos che dà via libera al terrorismo. Basta guardarsi intorno.
Sulla carta tutti sono contro lo Stato Islamico. Se veramente così fosse Isis non sarebbe sopravvissuto, ingrandendosi e rafforzandosi. È necessario recidere la rete di comprensioni, traffici, finanziamenti e connivenze che circondano e alimentano lo Stato Islamico. L’Isis del giorno dopo Parigi non è più l’Isis dello scontro fra sunniti e sciiti, non è più l’Isis dei giochi anti-Assad; è l’Isis che attacca l’Europa. Non c’è più spazio per ambiguità nelle capitali o nelle banche e Ong arabe o per zone grigie alla frontiera turca.
Non c’è più spazio per ambiguità nel mondo musulmano. Moschee e governi arabi devono riconoscere nello Stato Islamico il principale nemico della loro religione. La guerra che ha insanguinato Parigi non è una guerra di fedi. Sarebbe assurdo pensare di essere in guerra con l’Islam, religione di oltre un miliardo e mezzo di persone, di monarchie mediterranee amiche, come Giordania e Marocco, di grandi Paesi democratici come Pakistan, Indonesia e Turchia. Ma i sopravvissuti di Bataclan non dimenticheranno facilmente il grido degli attentatori mentre premevano il grilletto dei Kalashnikov: Allahu Akbar. Sta all’Islam sconfessarli e condannarli.