Luca Lippera e Cristiana Mangani, Il Messaggero 14/11/2015, 14 novembre 2015
HOLLANDE CHIUDE LE FRONTIERE: FRANCIA IN STATO D’EMERGENZA
«Le frontiere sono chiuse. Reparti militari convergono a Parigi: dobbiamo difenderci». Quando mancano pochi minuti alla mezzanotte, il presidente francese Francois Hollande, in diretta tv, annuncia a un Paese e a una capitale sconvolti che c’è una guerra in corso e che di fronte a una guerra il linguaggio non ammette più giri di parole. «È proclamato lo stato d’emergenza su tutto il territorio nazionale - precisa - rinforzi militari si trovano nella regione di Parigi per evitare nuovi attentati. Confermo la morte di decine di persone». «È in corso - rivela - una assalto delle forze di sicurezza». Dove, con quali modalità e contro chi non viene precisato. Ma dalla Francia, ammette, non si entra e non si esce: confini sbarrati, nel tentativo di prendere i terroristi in fuga, nella speranza di non farne entrare altri, nella certezza che una notte di sangue come quella dello Stade de France, del teatro Bataclan e delle sparatorie in tutta la città cambierà le cose per molto, molto, molto a lungo.
UN LEADER SCOSSO
Il presidente Hollande, poco prima, era stato prelevato dalle forze di sicurezza dallo Stade de France, dove era andato a vedere l’amichevole tra i transalpini e la Germania. È un uomo provato e scosso, quello che appare sugli schermi, perché attorno allo stadio, molto probabilmente, ha visto di persona quello che è accaduto dopo le azioni suicide dei kamikaze islamici. «Nel momento in cui vi parlo - dice - sono in corso attacchi terroristici senza precedenti. Dobbiamo dare prova di sangue freddo. Davanti alle difficoltà, la Francia deve essere forte. È stato proclamato lo stato d’emergenza su tutto il territorio nazionale. Abbiamo, su mia decisione, mobilitato tutte le forze possibili per neutralizzare i terroristi e mettere in sicurezza i quartieri».
«È UN ORRORE»
Mai in tempo di pace un presidente francese ha dovuto pronunciare tali e tante parole evocando una guerra aperta sul territorio nazionale: i quartieri di Parigi da mettere in sicurezza, la richiesta di rinforzi all’esercito, la quasi impotenza di fronte agli attacchi (ce ne sarebbero stati almeno sette, ndr) che hanno seminato sangue, morte e incertezza in una capitale che forse credeva di aver già pagato il suo tributo al terrorismo islamico con la strage di Charlie Hebdo. «È un orrore - aggiunge Hollande nella notte - Dobbiamo essere uniti. La libertà sarà sempre più forte della barbarie».
L’ALLARME IGNORATO
Giorni fa il sito France Info aveva rivelato una ipotesi dei servizi segreti di Parigi secondo la quale lo Stato Islamico stava architettando una serie di attentati in Europa. Si parlava di estremisti tedeschi o spagnoli per colpire la Francia. I terroristi, utilizzando persone con passaporto europeo, avrebbero tentato di sfruttare a loro vantaggio le falle create dal mancato coordinamento dei servizi di sicurezza a livello europeo. I fatti di ieri sembrano dimostrare che la segnalazione non sembra aver aiutato la “Direction centrale du renseignement intérieur”, i servizi di sicurezza transalpini, che si è trovata di fronte alla nuova offensiva difficilissima da prevedere proprio perché proveniente da mediorientali naturalizzati in Europa. Un modo per riuscire a sfuggire più facilmente allo screening dell’intelligence, partendo dal presupposto che gli stati europei non condividono tutte le informazioni sulle persone sospette.
IL PRECEDENTE
Le falle nel sistema di sicurezza erano già emerse nel caso dell’azione terroristica del Talys, quando Ayoub El Khazzani, il 21 agosto, ha tentato un massacro sul treno Amsterdam-Parigi. El Khazzani, di origine marocchina, aveva vissuto in Spagna dove era nel mirino dei servizi segreti per il profilo integralista. Era stato anche localizzato in Francia, Germania e Belgio, ma evidentemente senza che si attivasse il corretto flusso di informazioni tra i servizi segreti. Ieri sera Parigi ha pagato il conto.
Luca Lippera
Cristiana Mangani