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 2015  novembre 14 Sabato calendario

I TESTIMONI: «URLAVANO ALLAH È GRANDE E SPARAVANO DAI FINESTRINI DELLE AUTO»

«I terroristi uccidono tutti. Uno per uno. Sbrigatevi, venitemi a salvare sono al primo piano, ferito grave». Benjamin Cazenoves, un designer, riuscirà a mettersi in salvo, tra gli ultimi usciti vivi dal teatro Batclan di Parigi, messo sotto assedio da un commando di attentatori. Su Twitter lancia il suo appello disperato, dà indicazioni ai soccorritori. Marie Theobald è un’altra sopravvissuta: «Sono fuggita, c’era sangue dappertutto e sparavano con i mitra sulla folla». Lo scenario a Parigi è agghiacciante. La paura corre sui social, in presa diretta. Facebook in nottata attiverà una funzione per potere indicare ad amici la zona di Parigi in cui si è, se si è al sicuro o meno. I feriti, i testimoni raccontano minuto dopo minuto l’orrore e la mattanza. «Ma devvero si spara anche a Les Halles, io lavoro qua dentro», tweetta una commessa. Altri scrivono: «Non avvicinatevi a Les Halles, al Centro Pompidou, è pericoloso». Ma fino a notte fonda non si capisce se è vero. Ognuno ha un amico, un familiare, un figlio che potrebbero essere nel mirino ei terroristi. Anche Jeremy riesce a liberasi dall’inferno del Bataclan, ma dice di sentire «ancora sparare». «Gridavano Allah è grande e ammazzavano».
ATTACCO ALLA MOVIDA

Un ragazzo in motorino passa in Rue de la Fontaine au Roi appena dopo gli spari a Le Carillon, quando gli uomini di Allah hanno aperto il fuoco coi kalashnikov sulle comitive dei giovani radunate fuori dai locali. Nell’XI arrondissement. «Noi siamo passati in scooter alle 21.30 appena qualche secondo dopo i fatti - dice - Non c’era ancora la polizia. Abbiamo incrociato dei ragazzi che correvano in senso opposto al nostro e delle macchine sfrecciare. E la gente ci gridava: non passate per di qua, sparano». E il testimone continua: «Ho visto quattro o cinque corpi al suolo in un mare di sangue. Erano all’esterno de Le Phare du Canale. Tutti erano inebetiti, qualcuno barricato nei ristoranti». Il racconto rimbalza su Le Figarò. La mattanza ha luogo di venerdì sera, quando le strade e i locali sono pieni. Nel mirino i luoghi della spensieratezza: lo stadio, i bar, i ristoranti, la sala per i concerti, il centro commerciale. Stephane manda sul web le immagini del Bataclan, le gira dal suo appartamento dall’altro lato della strada. Improvvisa una telecronaca, in francese, poi in inglese. «Non si capisce cosa sta succedendo, arrivano decine di auto dei soccorsi». Si sentono gli spari, le grida, si vedono persone correre con le teste chine, schiacciate addosso alle pareti dei palazzi per allontanarsi dal luogo del massacro. Dalle finestre parigine ecco altre immagini dell’orrore: corpi in strada, qualcuno lancia giù lenzuola per coprirli. È una guerra. Julien è uno dei primi testimoni dell’attacco alla “Petit Cambodge”. Nome eloquente. È qui che è avvenuto il primo attentato, il più vicino al Charlie Hebdo, il più vicino a place de la Republique dove la Francia e il mondo si erano dati appuntamento per gridare di non avere paura dopo gli attentati di gennaio. «Gli spari saranno durati 30 secondi, un minuto al massimo. In tutto almeno una ventina, trentina di colpi», racconta Julien. E un’altra donna che abita lì vicino aggiunge: «Ho visto arrivare una macchina con sopra gente che ha cominciato a sparare all’impazzata». Un uomo che lavora come cameriere ha le lacrime agli occhi: «Facevano fuoco contro tutti, ci sono morti, feriti. Li conoscevo quei clienti». I testimoni, gli scampati appaiono zombie. Carneficina, sangue, orrore, sono le parole che si rincorrono. L’incubo è per le strade e dentro lo Stade de France. Tre boati forti, distinti, si sono uditi sugli spalti. Erano le bombe che esplodevano fuori. «Abbiamo pensato a un guasto all’amplificazione. All’uscita - racconta uno spettatore - la metà delle porte erano bloccate. Altri spettatori hanno gridato “sparano, sparano” e c’era un elicottero sopra di noi».
Alessia Marani