Tommaso Ciriaco, il venerdì di Repubblica 13/11/2015, 13 novembre 2015
Monetine, manette e megafoni. La collezione privata di Marco Ferretti, il guardiano della Camera da 37 anni– Il guardiano del faro non dovrebbe mai andare in pensione
Monetine, manette e megafoni. La collezione privata di Marco Ferretti, il guardiano della Camera da 37 anni– Il guardiano del faro non dovrebbe mai andare in pensione. E invece «in primavera tocca a me» sorride Marco Ferretti, capo supremo dei commessi di Montecitorio. «Sono entrato alla Camera nel 1978, come assistente parlamentare. C’era Moro. Ero qui quando lo rapirono». A quel tempo aveva 28 anni, i successivi 37 li ha spesi pattinando sul marmo del Transatlantico. Dalla saletta del governo all’Aula, e ritorno. Un pendolo. Ora questa sentinella con i baffi saluta tutti e va a godersi la famiglia. Ai giardinetti porterà mille storie e mille giorni di ferie arretrate. Le mostrine sul polso ricordano che comanda lui. Quante ne ha viste, quante ne ha ascoltate. Il cappio sventolato dal leghista Orsenigo, per dire. Fu lui a strapparlo via, mentre Tangentopoli seppelliva una classe dirigente. Lo conserva assieme ad altri cimeli: «Metto da parte anche quell’oggetto, come tutti quelli sequestrati in Aula». Arresti, monetine, urla. Risse, mai come allora. «Diciamo che fu un periodo turbolento». Schiaffi in pieno Transatlantico. Nella «collezione privata» c’è anche un megafono del missino Teodoro Buontempo. E ancora un paio manette, che spaccò con un paio di tronchesi. Si è imbattuto nel décolleté dell’onorevole Cicciolina. Ha osservato i grillini scalare il tetto della Camera. Con loro ha ammirato l’alba, termos del caffè ma nessuna coperta: «Dove le prendevamo?». Quando il leghista Gianluca Buonanno ha brandito una spigola come fosse una spada, sempre lui hanno chiamato. L’hanno immortalato accanto ai potenti d’Italia: alto, abbronzato, con gli occhiali. E con un vezzo: «Conservo i ritagli delle foto. Ne ho una pila alta così». Sono tutte uguali: lui e un leader. Massimo D’Alema, Francesco Cossiga, Oscar Luigi Scalfaro, Enrico Letta, Silvio Berlusconi. Spessissimo, Berlusconi. Questione di feeling? Solo di statistica, risponde a tutti. «Berlusconi è in politica dal 1994, è normale che sia capitato spesso di lavorare con lui». Non confesserebbe mai simpatie o antipatie: «Lavoro per l’istituzione, punto». E infatti oggi accompagna Matteo Renzi per il Palazzo. Discrezione, sorrisi silenziosi, zero scatti di nervi. Cortese con tutti, senza esagerare. Passa un collega, ha un dubbio egli mostra una foto: «Lo conosci?». Archivio vivente della politica, ma anche del giornalismo. Un giovane Augusto Minzolini – prima di trasformarsi nel direttorissimo dell’era berlusconiana – gli ronzava attorno, come l’ape col miele. Un giorno un ospite di Montecitorio, che aveva donato il Presepe di Natale all’istituzione, gli dedicò una bottiglia di vino. Sull’etichetta c’è lui. Qualche collega gli ha dedicato una filastrocca, con una rima acidula: «Ferretti valletto perfetto». Ma la maggior parte dei commessi è affezionato a Ferretti e a quel lieve sigmatismo (la banalissima zeppola), che lui mescola con la cadenza romana. Guadagna benissimo. Troppo, secondo quasi tutti. Chi ha iniziato a lavorare prima del taglio ai costi della politica raggiunge cifre importanti (oltre i 135 mila euro lordi all’anno). Sarà gratificante anche la pensione. Ci andrà con mille giorni di ferie arretrate, quattro anni congelati che non gli pagheranno. «Se hai un incarico, lo svolgi fino alla fine», taglia corto. Il tempo di lavorare scade a giugno, ma magari lo richiameranno per collaborare nel tempo libero con la Camera. In fondo, il guardiano del faro non dovrebbe mai andare in pensione. Tommaso Ciriaco